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martedì 6 ottobre 2020

Perché il 20 ottobre Davigo cessa dalla carica di consigliere del CSM


 

di Giuliano Castiglia
Magistrato
 
Il 20 ottobre 2020 l’attuale consigliere del CSM Piercamillo Davigo compirà 70 anni e sarà conseguentemente collocato in quiescenza.

Il Consiglio di Stato, in epoca non sospetta, ha avuto modo di affermare che la qualità di appartenente all’ordine giudiziario, ossia la qualità di magistrato ordinario, “costituisce condizione sempre essenziale e imprescindibile per l’esercizio della funzione di autogoverno, e non solo per il mero accesso agli organi che la esercitano. In altri termini, il fatto che il legislatore non abbia espressamente previsto la cessazione dall’ordine giudiziario per quiescenza fra le cause di cessazione della carica di componente del C.S.M. dipende non già da una ritenuta irrilevanza del collocamento a riposo, ma dall’essere addirittura scontato che la perdita dello status di magistrato in servizio, comportando il venir meno del presupposto stesso della partecipazione all’autogoverno, è ostativa alla prosecuzione dell’esercizio delle relative funzioni in seno all’organo consiliare” (Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 16 novembre 2011, n. 6051).  
 
In un corposo articolo del 31 luglio 2020 su Questione Giustizia, Nello Rossi, Direttore della Rivista, in linea col dictum del Consiglio di Stato appena richiamato, sostiene che il consigliere del CSM, eletto tra i magistrati, che cessi di essere magistrato per collocamento in quiescenza, decade dalla carica di consigliere; sostiene che, quindi, a partire dal prossimo 20 ottobre, data in cui, per raggiunti limiti di età, sarà collocato in quiescenza, Piercamillo Davigo decadrà dalla carica di consigliere del CSM.
 
Lo scritto di Rossi ha tanti pregi. Fra questi, senz'altro quello di avere dato il la a un dibattito su una questione che fino a quel momento, almeno negli ambienti dei palazzi di giustizia gravati dal peso del clima pandemico, era rimasta serpeggiante. 
 
Alla tesi del Direttore di QG e all'assunto che sarebbe, a detta del Consiglio di Stato, “scontato”, sono state mosse alcune obiezioni che si fondano su due dati: 1) la previsione dell’ultimo comma dell’art. 104 della Costituzione, secondo cui «i membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni»; 2) la mancanza di una disposizione che preveda espressamente la decadenza del componente togato del CSM a seguito del collocamento in quiescenza.
 
Si tratta, a parere di chi scrive, di dati inidonei a provare l'assunto contrario alla tesi del Consiglio di Stato e del Direttore di QG e, dunque, inidonei a giustificare la permanenza di Piercamillo Davigo nella carica di componente del CSM anche dopo il suo pensionamento.
 
Ciò in considerazione sia di aspetti di ordine sistematico generale, sia di disposizioni espresse che riguardano la composizione del Consiglio e le sue articolazioni interne (Sezione disciplinare) sia, infine, delle conseguenze paradossali e inaccettabili che discenderebbero dall’accoglimento della tesi, per così dire, pro Davigo.

Quanto al primo profilo, è agevole rilevare che l’art. 104 della Costituzione, nel prevedere che «i membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni», si riferisce, collettivamente, alla consiliatura e non ha nulla a che fare con i mandati individuali dei singoli consiglieri e con eventuali specifiche cause di cessazione di tali mandati.

Diversamente, se la norma in questione imponesse, a prescindere, un inderogabile mandato quadriennale per ciascun componente elettivo del Consiglio, sarebbero incostituzionali tutte le norme che prevedono la decadenza dei membri elettivi del CSM, tra cui quelle relative alla condanna irrevocabile per delitto non colposo e alla sanzione disciplinare più grave dell’ammonimento.

Infatti, mancando una disposizione analoga a quella prevista dall'art. 65 della Costituzione, che rinvia alla legge per la previsione dei «casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di deputato e di senatore», dette cause di decadenza dei componenti del CSM, a fronte di un norma costituzionale che fisserebbe in quattro anni la durata del loro mandato elettivo, non avrebbero la necessaria copertura costituzionale.

D'altra parte, come è stato osservato da Giovanni Maria Flick, basterebbe il confronto col secondo comma dell'art. 135 della Costituzione, secondo cui «i giudici della Corte costituzionale sono nominati per nove anni, decorrenti per ciascuno di essi dal giorno del giuramento», per rendersi conto che, quando ha inteso riferirsi al mandato individuale, la Costituzione lo ha chiaramente esplicitato.

Inoltre, che l’ultimo comma dell'art. 104 della Costituzione si riferisca esclusivamente alla consiliatura, collettivamente considerata, e non abbia nulla a che fare col mandato consiliare del singolo componente elettivo del Consiglio, trova conferma nell’art. 39 della legge 195/1958.

Nel regolare le modalità di sostituzione del 
«componente eletto dai magistrati» che, «per  qualsiasi ragione», cessi dalla carica prima del quadriennio, tale norma fa riferimento non già alla «scadenza» del mandato relativo al singolo componente ma, espressamente, appunto, alla «scadenza del Consiglio superiore della magistratura».

Ciò che scade, dunque, non è il mandato del singolo consigliere bensì l'intero Consiglio, ovviamente nella sua sola componente elettiva (i membri di diritto, ovviamente, non scadono ma decadono dall'incarico quando, per una qualsiasi ragione, cessano di rivestire la carica alla quale si ricollega l'appartenenza di diritto al CSM).
 
D’altra parte, vi è un ulteriore e dirimente dato che evidenzia la riferibilità della previsione dell’ultimo comma dell’art. 104 della Costituzione alla consiliatura nel suo complesso e non al mandato del singolo consigliere e, dunque, la totale inconsistenza dell’argomento pro Davigo fondato su tale disposizione.
 
Tale dato è costituito dalla consolidata prassi – costituzionale si può dire, come tale indubbiamente fonte del diritto – concernente il mandato di coloro che sono subentrati a comporre l’organo, nel corso della consiliatura, a seguito di cessazione anticipata del mandato di altro componente.

In plurime occasioni, infatti, si è verificato che, 
per una qualche ragione (dimissioni, decesso, ecc.), un membro elettivo del Consiglio abbia cessato dalla carica e che, allo stesso, sia subentrato altro componente secondo le previsioni di cui al già richiamato articolo 39 della legge 195/1958. 

Ebbene, in tutti questi casi il mandato del subentrante non è certo durato quattro anni ma è cessato alla scadenza quadriennale della consiliatura.

Gli ultimi casi si sono verificati nel corso della consiliatura 2002-2006.

Infatti, nel corso di essa, ordinariamente esplicatasi dal 31 luglio 2002 al 31 luglio 2006, il mandato di alcuni membri elettivi è cessato anticipatamente.

In tali casi, il mandato dei consiglieri subentrati, com'era ovvio che fosse, non è durato quattro anni ma, per tutti costoro, al pari di quello degli altri consiglieri, è cessato al 31 luglio 2006, scadenza naturale della consiliatura. Per esempio, al consigliere Lanfranco Maria Tenaglia, cessato dalla carica l'8 marzo 2006, è subentrato il consigliere Marco Devoto, il cui mandato è iniziato il 13 marzo 2006 ed è cessato il 31 luglio 2006, registrando dunque una durata di poco inferiore ai quattro mesi.

È di tutta evidenza che, se l’ultimo comma dell’articolo 104 della Costituzione si riferisse al mandato del singolo consigliere, nel caso del consigliere Devoto e nei numerosi altri casi analoghi verificatisi nel corso del tempo, tale norma sarebbe stata inspiegabilmente violata.

Ma v’è di più. Come è noto, l’attuale consiliatura è stata funestata dalle dimissioni di un numero di consiglieri tale che - complice la spartizione correntizia dei posti, comportante un numero di candidati uguale o di pochissimo superiore al numero dei componenti - la norma che prevede la sostituzione del consigliere cessato dalla carica con il primo dei non eletti della sua stessa categoria, è rimasta inoperante per mancanza di candidati non eletti che potessero subentrare a quelli dimessisi.

Pertanto, come è previsto per questi casi, si è dovuto procedere a elezioni suppletive per la sostituzione, sinora, di ben cinque consiglieri eletti tra i magistrati.

Ciò ha comportato che, in seno a una consiliatura che ha avuto inizio il 25 settembre 2018, siano subentrati prima i consiglieri Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, insediatisi il 21 giugno 2019, e poi
, a seguito di elezioni suppletive, i consiglieri Antonio D’Amato e Antonino Di Matteo, insediatisi il 10 ottobre 2019, nonché il consigliere Elisabetta Chinaglia, insediatasi il 17 dicembre 2019. 

Orbene, la consiliatura avrà la sua scadenza naturale il 25 settembre 2022 e a nessuno, sinora, è venuto in mente che ciò non riguarderà anche il mandato dei consiglieri Marra, Pepe, D’Amato, Di Matteo e Chinaglia.

Se fosse vero quanto si sostiene per Davigo, dovrebbe giocoforza ammettersi che il mandato di Giuseppe Marra, Ilaria Pepe, Antonio D’Amato, Antonino Di Matteo ed Elisabetta Chinaglia non scadrà il 25 settembre 2022 ma il 21 giugno 2023 per Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, il 20 ottobre 2023 per Antonio D’Amato e Antonino Di Matteo e il 17 dicembre 2023 per Elisabetta Chinaglia.

E dovrebbe giocoforza ammettersi che, in vista di ogni successiva scadenza, tutti i magistrati saranno chiamati, ogni volta, a nuove elezioni, onde eleggere i successori dei consiglieri di volta in volta in scadenza.
 
E, non potendosi escludere altre dimissioni ovvero altri eventi implicanti la cessazione dalla carica di taluno degli attuali consiglieri, la situazione potrebbe ulteriormente complicarsi fino all'astratta possibilità di giungere, seguendo il percorso indicato da chi propugna la riferibilità al mandato del singolo consigliere dell'ultimo comma dell'art. 104 della Costituzione, a una elezione per ogni singolo membro elettivo del Consiglio.
 
Tot capita tot electiones!

Non è chi non veda la semplice assurdità di tutto questo.

Sotto altro profilo, la tesi secondo cui il collocamento in quiescenza non comporterebbe la cessazione del mandato consiliare elettivo, inderogabilmente quadriennale, non considera che la qualità di magistrato è, con tutta e indiscutibile evidenza, un requisito della capacità elettorale – del c.d. diritto di elettorato passivo – dei componenti del CSM eletti, a norma del secondo comma dell’art. 104 della Costituzione, 
«da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie»

In altri termini, l'assenza della qualità di magistrato è una causa di "incandidabilità" alla carica di componente togato elettivo del CSM.

Orbene, è principio pacifico, ripetutamente affermato anche dalla Corte costituzionale e mai messo in discussione, che tali cause – quelle di incandidabilità – non solo precludono la candidatura ma, se sopravvenute al mandato elettorale, comportano la decadenza dell'eletto.

Si tratta di un dato insuperabile: come chi non è dotato della capacità elettorale non può partecipare alle elezioni, del pari chi perde tale capacità nel corso del mandato cessa dalla carica elettiva.

Ai dati di ordine sistematico-generale sin qui considerati, si aggiungono specifici rilievi discendenti dalla considerazione di disposizioni riguardanti la composizione del Consiglio e della Sezione disciplinare.

Come è noto, la componente togata elettiva del CSM è costituita da 16 magistrati, dei quali 2 eletti tra i magistrati che esercitano funzioni di legittimità e i restanti tra i magistrati che esercitano funzioni di merito (10 giudicanti e 4 requirenti).

A sua volta, a norma dell’art. 4 della legge 195/1958, la Sezione disciplinare del CSM è composta da 6 componenti effettivi e 4 supplenti.

A norma dello stesso articolo, detti componenti sono, espressamente, o 
«eletti dal Parlamento»«magistrati» che esercitano determinate funzioni.

In particolare, è prevista la presenza, tra i 6 componenti effettivi e tra i 4 componenti supplenti, di
«un magistrato con esercizio effettivo delle funzioni di legittimità».

Quindi, anche perché in questo caso la tanto invocata norma espressa c’è, non c’è dubbio alcuno che, conseguita la pensione, non essendo più
«magistrato», Davigo non potrà più comporre la Sezione disciplinare.

Del resto com’è a tutti noto, l’esclusiva ragione della scansione a "tappe forzate" del procedimento disciplinare nei confronti di Luca Palamara sta proprio nella necessità di completarlo prima del pensionamento di Davigo.

Se il Consiglio Superiore dovesse riconoscergli questa sorta di ultrattività consiliare, Davigo sarà il singolarissimo primo componente eletto del CSM non legittimato a far parte della sezione disciplinare.

Non solo. Se questa sarà la decisione del Plenum, si determinerà l'ancor più singolare situazione di una Sezione disciplinare priva di un suo componente, quantomeno supplente.

Infatti, come si è evidenziato, i due componenti del CSM eletti tra i magistrati che esercitano funzioni di legittimità sono entrambi necessariamente componenti, uno effettivo e l'altro supplente, della Sezione disciplinare. Se Davigo cesserà di essere magistrato ma continuerà a essere componente del CSM, l'organo si troverà con un solo «magistrato»
 eletto tra coloro che esercitano funzioni di legittimità e, conseguentemente, la Sezione disciplinare sarà priva di un suo componente, effettivo o supplente.

Una situazione, questa, non solo palesemente contraria alla legge ma altresì implicante il rischio di paralisi del funzionamento della Sezione disciplinare del CSM.

C'è ancora un'altra cosa da dire.


La matassa dell’ultrattività consiliare del magistrato pensionato porta a ulteriori conseguenze paradossali e insostenibili.

A svolgerla per intero, infatti, dovrebbe pervenirsi alla conclusione che, putacaso tutti i consiglieri togati si dimettessero dalla magistratura o fossero collocati in quiescenza nel corso del mandato consiliare, ciò non avrebbe alcuna incidenza sulla composizione del CSM; verremmo ad avere, molto semplicemente, un CSM composto soltanto da due magistrati: il Presidente e il Procuratore generale della Cassazione.

Non ci sarebbero, però, 
«magistrati» per far funzionare la Sezione disciplinare. 

Ma per gli eroi, si sa, tutto è possibile; non ci sono ostacoli.

I guai sono per gli altri: "sventurata la terra che ha bisogno di eroi", diceva il Poeta.


3 commenti:

  1. Contra ius clarum opinando: può il presidente della repubblica che cessa dalla sua carica continuare a presiedere il C.S.M.? e può il magistrato che conclude il suo ruolo di magistrato, tutelare l'autogoverno e l'autonomia della magistratura rispetto agli altri poteri dello stato nel medesimo modo relativo al tempo della sua elezione ? dispone degli stessi poteri e soprattutto oneri ? mantiene il medesimo "relativo collegamento morale" con l'organo super partes che "rappresenta", ossia assicura il rispetto della "specificità della quote" relative alle varie categorie? requisito, questo, voluto dal costituente al fine di evitare potenziali corporativismi.

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  2. Buonasera la tesi del dr Castiglia che il dr Davigo al compimento il 20 Ottobre dei 70 andra' in pensione da magistrato e di conseguenza decadra' da consigliere del CSM,a me sembra ineccepibile.Se posso aggiungere non solo perche' in passato ci sono state pronunce in questo senso(Consiglio di Stato ecc), ma anche semplicemente per logica, essendo arrivato al CSM da togato. Sennonche' non darei la cosa per scontata, alla luce di giudizi recentemente espressi pubblicamente dal Procuratore generale Cassazione e piu' di recente sulla stampa da un consigliere in carica, se non ricordo male Morra.
    Aggiungendo a queste perplessita' il fatto che Davigo e' nella commissione CSM che giudichera' il Dr Palamara diventa un intreccio non facile da districare.
    Spero di sbagliarmi augurandomi una Giustizia piu' degna del nome. Giammauro PASQUALE

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  3. Il CSM bensì organo di rilevanza costituzionale(104 Cost.), le modifiche legislative sulla composizione, struttura, funzionamento ecc., sono oggetto di legge ordinaria. Da ciò deriva che: a) le sentenze del consiglio di stato hanno valore vincolante; b) l'attenzione che bisogna porre nel trattare questa materia(costituzionale) deve essere di altissimo livello; c) SOPRATTUTTO, l'interesse supremo in ordine a questa materia è di esclusiva appartenenza della Comunità-Stato, per cui le sentenze del consiglio di stato che dichiarano l'assenza di interesse del cittadino a denunciare, e/o impugnare gli atti del consiglio superiore della magistratura vanno considerate illegittime con riferimento a qualunque atto in oggetto, e gravemente arbitrarie in caso di interesse specifico del cittadino.

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