Sono giorni nei quali riemerge l’accanimento del CSM contro la collega Gabriella Nuzzi e quindi rivivono le vicende che più di dieci anni or sono condussero alla decapitazione della Procura della Repubblica di Salerno.
Questo blog è una sorta di bacheca storica su quei fatti e chi ne ha voglia può farsene un’idea in questa sezione del sito.
In soldoni, tra i principali addebiti mossi ai PM salernitani vi era quello di avere “osteso” nella motivazione, ritenuta sovrabbondante, di un provvedimento di sequestro fatti e nomi di persone che secondo il CSM di Nicola Mancino ed anche secondo l’ANM di Cascini e Palamara non erano rilevanti ai fini processuali.
Quel decreto di sequestro - i cui autori pagarono caramente sul piano disciplinare tanto da sopportarne ancor oggi le conseguenze – superò ogni vaglio nei gradi di impugnazione processuali ed era, dunque, legittimo.
Molti dei nomi citati nel provvedimento di sequestro sono poi riapparsi in successive vicende di cronaca giudiziaria, talvolta legate al mondo massonico.
Il CSM, in ogni caso, riuscì nel suo intento di “dare una lezione”: ostendere è peccato, meglio nascondere.
Che la lezione sia stata assimilata e che quindi la libertà di informazione e di stampa non fossero tra le priorità del CSM (e del Presidente della Repubblica dell’epoca) ha condotto al risultato che spesso i pubblici ministeri inseriscano nel fascicolo processuale di parte, quello che formano in vista del processo, anche atti che sanno benissimo di non utilizzare perché inutili ai fini dell’accusa dell’imputato.
Se ne è parlato qui con specifico riferimento alle chat di Luca Palamara, il cui inserimento nel fascicolo del pm di Perugia ostacola la loro pubblicazione, con potenziale minaccia di sanzione penale.
Ora, la scelta di fondo compiuta dal CSM del 2010 è collegata ad una visione dei diritti costituzionali che mette arbitrariamente in secondo piano la libertà di informazione, il diritto di critica, il diritto dei cittadini di essere informati dei fatti – sia ben chiaro – di rilevanza pubblica, di pubblico interesse.
E tali sono sicuramente le trame del potere giudiziario, sia che esse tendano alla spartizione dei posti di vertice, sia che mirino a penalizzare una parte politica a vantaggio dell’altra.
Memori e timorosi del “boato” salernitano i cui echi giungono ai giorni nostri, i pubblici ministeri perugini hanno inserito nel fascicolo processuale, in blocco, tutte le chat di Luca Palamara, senza distinzione alcuna tra ciò che è rilevante processualmente e ciò che, invece, non lo è.
Essendo ormai pubbliche le accuse penali mosse al dott. Palamara ed avendo letto (sebbene non tutte) le chat siamo in grado di affermare che la grandissima parte di esse non è pertinente ai fatti penali che gli vengono imputati.
Se non saremo smentiti dal futuro andamento del giudizio penale contro Luca Palamara sarà d’obbligo constatare - Costituzione in mano e con "sconcerto" almeno pari a quello dell'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - che l’abnormità all’epoca ravvisata nell’ostensione di atti di indagine nel corpo della motivazione di un provvedimento giudiziario non supera quella da scorgere oggi nell’occultamento all’opinione pubblica di documenti di notevole interesse sui quali essa dovrebbe poter formare la propria coscienza.
Non è compito dei pubblici ministeri stabilire ciò di cui - lecitamente – la stampa possa far uso.
Le chat di Luca Palamara costituiscono tecnicamente dei documenti - non sono intercettazioni – e se vi è interesse pubblico alla notizia, in democrazia devono poter essere pubblicati.
A ciascuno la scelta di quale "abnormità" punire, dirà molto di lui.
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