Nei giorni scorsi, su una testata di corrente, è stata pubblicata una bizzarra analisi di alcune parti del libro, "Il Sistema", che raccoglie le confessioni di Luca Palamara.
Mi pare che questo scritto inviti a guardare il dito anziché la luna, come accade di frequente ogni qual volta si parli delle esternazioni del dott. Palamara.
Anzi più che al dito accusatorio si presta attenzione alla sua unghia che si ritiene sporca.
L’articolo si dilunga infatti in tutta una serie di incongruenze presenti nel libro-intervista, alcune delle quali avevo notato anche io nel leggerlo, quasi a voler concludere che quanto in esso riferito sia frutto solo della immaginazione del narratore (eloquente è il paragone calcistico della finale dei mondiali dell’82 che l’autore propone).
Ora, non credo che il dott. Palamara stia raccontando fatti che lo hanno coinvolto in prima persona - unitamente all’organo collegiale all’interno del quale operava - perché sia sinceramente pentito e questo nemmeno mi interessa. Penso che, invece, dovrebbe interessare a tutti quello che racconta e se le cose che dice sono riscontrabili, piuttosto che cestinarle in ragione solo della loro provenienza.
Peraltro l'ex presidente dell'Anm in più occasioni ha tenuto a precisare che tutti i fatti che vengono riferiti nel libro sono riscontrabili mentre l'altro autore ha sottolineato che lo staff della casa editrice ha sottoposto ad una attenta verifica documentale il racconto del dott. Palamara.
Del resto un simile scrupolo è perfettamente comprensibile in ragione della gravità e del numero degli autori di condotte inappropriate, e spesso anche illecite, che il libro menziona.
Non bisogna poi dimenticare che molti dei fatti che il dott. Palamara denuncia hanno già trovato una formidabile conferma nella memoria del suo smartphone, altri andranno accertati con una paziente opera di ricerca dei riscontri, se c’è una effettiva volontà in tal senso. Dunque, non si tratta di fatti immaginari.
Del resto,
la diffusione delle chat ha confermato quanto già tutti sapevano, perché di una
evidenza palese (solo chi non voleva vedere non ha visto), vale a dire la
spartizione cencelliana di qualsiasi incarico di “prestigio” tra le correnti in
relazione al “peso” di ognuna: dalle nomine dei direttivi e semidirettivi, ai
fuori ruolo, ai posti di magistrato segretario (con riferimento a questi ultimi
incarichi, autorevoli esponenti del sistema delle correnti non ne hanno fatto
mistero) a quelli al Massimario, alla Suprema Corte o alla Procura Generale,
con le votazioni a pacchetto.
Nello stesso
senso depongono le sonore e talora umilianti bacchettate del giudice
amministrativo, che in alcuni casi ha letteralmente stracciato le delibere
consiliari (a tale ultimo proposito è particolarmente istruttiva la sentenza
del Consiglio di Stato che ha annullato tutte le ultime nomine alla SSM).
Ebbene, a
fronte di tutto questo preoccupante contesto, l'autore del contributo, invece
di esaminare le cause che hanno creato il sistema raccontato dal Luca Palamara si sofferma su alcuni dettagli del suo racconto.
Certamente
anche questi sono importanti, ma è enormemente più importante cercare di individuare i rimedi alla gravissima crisi in cui è precipitata la magistratura.
Rimedi che
certamente non possono essere quelli provocatoriamente indicati nello scritto (Tiriamo
a sorte, tanto per dire, il prossimo procuratore di Roma).
Sfugge
all’autore dell'articolo che nessuno ha mai proposto di sorteggiare i
direttivi o i semidirettivi, quanto piuttosto (la faccio breve, perché la
proposta è nota ed è stata in più occasioni esposta da altri molto meglio di
me) di coinvolgere mediante la rotazione tutti i magistrati con una determinata
anzianità di servizio nel coordinamento dell’ufficio, in modo tale da
realizzare una partecipazione orizzontale alla gestione dell’ufficio,
certamente più in linea con il dettato costituzionale. In tale modo si
eliminerebbero d’emblée le file di questuanti, che elemosinano nomine, di cui
vi è ampia traccia nelle chat del dott. Palamara.
Le
valutazioni di professionalità ed il diritto di tribuna degli avvocati negli
organi di autogoverno locale, questioni certamente importanti, si rivelano
palliativi che non risolvono il problema. Anzi, a mio sommesso avviso,
distraggono dalla sua soluzione.
Un’ultima
notazione di carattere generale: non penso che soggetti che fino ad ora sono
stati pienamente inseriti nel sistema e che ci hanno condotto nel baratro in
cui ci troviamo siano capaci di autoriformarlo, così come penso che il problema
non si risolva cambiando le persone.
L’unica soluzione
è il cambio delle regole.
Si esce dal
pantano con la rotazione degli incarichi (in relazione alle nomine dei
direttivi e dei semidirettivi) e con l’elezione dei consiglieri superiori da un
ampio paniere di sorteggiati (in relazione al governo della vita professionale
dei magistrati ed alla salvaguardia della loro indipendenza interna).
La magistratura potrebbe cominciare a riacquistare credibilità se, sulla base dei fatti descritti da Palamara, gli uffici competenti per territorio iscrivessero qualche notizia di reato.
RispondiEliminaSarebbe un evento paragonabile al primo passo sulla luna.