E’ apparso ieri un interessante
articolo a firma di Francesco Storace che dà conto dei forti contrasti insorti in Commissione Parlamentare Antimafia sull’opportunità di dare la parola a Luca Palamara.
Eppure l’iniziativa di ascoltarlo era stata proposta, autorevolmente, dal presidente della Commissione, l’On. Nicola Morra.
Ed anche l’oggetto dell’esame non è di quelli banali: approfondire origine e finalità della confabulazione tra il Ministro dell’Interno dell’epoca (Marco Minniti) ed il dott. Luca Palamara circa la nomina, poi avvenuta, del nuovo Procuratore Nazionale Antimafia (per l’appunto), il dott. Federico Cafiero De Raho.
Orbene, che non interessi ad una Commissione Parlamentare antimafia la preoccupante interlocuzione di un Ministro, per giunta il Ministro dell’Interno, sulla nomina del capo della procura nazionale antimafia è cosa molto sorprendente.
Perché - al netto di rapporti privati ed amicali che potrebbero pur sempre emergere e quindi relegare il fatto nell’ambito dell’usuale sistema della “raccomandazione” che ormai pare essere la cifra del funzionamento del CSM, permeabile a qualsiasi pressione esterna - deve essere escluso con certezza, a tutela della stessa democrazia, che l’interessamento del Ministro dell’Interno al neo Procuratore Nazionale Antimafia non avvenisse a titolo personale, ma quale portatore degli interessi della maggioranza politica che sosteneva il suo governo, in contrapposizione con quelli dell’opposizione, per giunta con l’”aggravante” delle innumerevoli fonti di conoscenza di notizie riservate che proprio al Ministro dell’Interno fanno capo.
Il tema può definirsi di enorme importanza e che se ne parli poco ne è solo una severa conferma.
Un’ultima chiosa.
E’ addirittura divertente che l’On. Pietro Grasso venga descritto come un forsennato attivista, tutto teso ad impedire l’audizione del dott. Luca Palamara ad opera della Commissione parlamentare che anche lui compone, chiedendo ripetutamente la verifica del “numero legale” (di questo passo resteranno solo i numeri in quell’ambito).
Dev’essere, sicuramente, un dispettoso contrappasso dantesco.
Il “giudice” Pietro Grasso è diventato (meritoriamente) famoso per aver condotto processi contro la mafia, i più importanti dei quali sfociati in severe condanne proprio grazie alle dichiarazioni di un “pentito”, cioè di un soggetto che, precedentemente coinvolto nel sistema criminale, decise di allontanarsene ed offrire la sua collaborazione alla giustizia, anche a fronte di alcune garanzie e benefici.
Il dott. Palamara in nulla è paragonabile a quel pentito, vuoi perché alcun illecito (neppure disciplinare) è stato definitivamente accertato a suo carico, vuoi perché egli offre la sua collaborazione senza invocare contropartite di sorta.
Eppure tutti fuggono al cospetto di ciò che potrebbe e vorrebbe dire.
V’immaginate il giovane giudice Pietro Grasso lasciare in tutta foga l’aula d’udienza all'ingresso del pentito per non ascoltare ciò che ha da dire?
Si sarebbe perso tutto il meritato successo, anche da uomo politico, che proprio quel pentito ne ha decretato.
Il cammino nella notte continua, ma la selva non è più oscura. O meglio, sarà ancora notte, ma, una impercettibile Aurora fa già intravvedere pianura.
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