Sul sito del
Foglio figura l’intervento del Prof. Giovanni Fiandaca, tra i più noti penalisti italiani.
L’illustre cattedratico compare quale autore di molti articoli ospitati dalla testata della corrente Magistratura Democratica ed è invitato a congressi e convegni organizzati da quella “area culturale” della magistratura (forse anche di altre, ma Google questo offre ad una ricerca poco approfondita); si segnala, inoltre, come ostile ad un non meglio definito "populismo giudiziario".
Il succo del suo discorso, sfocia, non a caso, nell’evocazione di un “modello di magistrato”.
Ma si tratta di archeologia antropologica della magistratura italiana ove è nascosto (ormai non più, per fortuna) l’inganno logico ed ideologico messo in campo per frodare la Costituzione.
Solo una persona di nulla intelligenza s’impegnerebbe nel negare la “politicità” (anche) del giudicare e quindi della giurisdizione.
Nessuno mai oserà affermare che la sentenza non risenta (anche) delle personali convinzioni ideologiche e culturali del giudice.
Nessuno mai metterà in discussione la libertà dei magistrati di costituire associazioni PRIVATE ove confrontarsi e sostenersi.
Ma quello che la Costituzione vieta è l’organizzazione politica della giurisdizione che oggi avviene senza ritegno attraverso la pervasività delle correnti che occupano tutte le istituzioni che con la giurisdizione hanno a che fare, fino a trasmodare nell’invasione di settori amministrativi alla giurisdizione del tutto estranei, attraverso le chiamate "fiduciarie" della politica.
Ebbene la semplice idea di favorire od imporre “
il modello” di magistrato la combattiamo come la peste in quanto ne nega in radice l’indipendenza come individuo e, conseguentemente, tracina con sé l'Ordine in un disegno "politico".
E', quello del modello, il pretesto per vincolare il magistrato all'"
appartenenza".
Richiamare, proprio a tale riguardo,
deontologia e
scuola della magistratura - in sostanza sanzioni ed indottrinamento (di bimbi ormai pasciuti, visto che si fa ingresso in magistratura dopo i trent'anni) - dà il segno dell'autoritarismo insito in un progetto già dichiarato fallito dalla storia.
Oltreché sistematicamente cassato dal Consiglio di Stato.
Insomma, Professore, vuole anche lei punire le "mele marce"? Quanti altri De Magistris, Forleo, Nuzzi, Verasani, Apicella sacrificare sull'altare del "modello di magistrato" a lei (o ad altri) gradito?
Il suo "anticorpo", ci creda, è in realtà un veleno letale.
L’aver sottomesso, proprio con l’imposizione di “modelli” culturali - che poi significa politici e massonici - l’indipendenza dei singoli magistrati alla "forza" dell’ordine, ha determinato l’eversione che oggi solo un ignaro potrebbe negare.
Appare, quella del Prof. Fiancada, una confessione più che una difesa.
In questi casi è meglio un patteggiamento, Avvocato.
Fiandaca non perde occasione di "accusare" Nino Di Matteo. Conia il termine " populismo giudiziario alla Davigo o Di Matteo. Nonostante la o disgiuntiva, ed un interminabile discorso, non riesce nemmeno a cogliere le enormi differenze che intercorrono tra le due figure e pertanto l'impossibilità di porle su uno stesso tavolo. Fa un lavoro enorme, indossa e dismette lenti di ingrandimento e di rimpicciolimento, senza mai arrivare al nocciolo della questione: non dire che mai! nemmeno per un solo minuto Di Matteo è stato un populista e che è una figura di magistrato che nelle più alte sfere della cultura giuridica il mondo ci invidia.
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