Da qualche parte, tra i vari comunicati ufficiali, ho letto
che la rinuncia al voto di oltre il 40% dei magistrati italiani è il segnale di
una rinuncia alla partecipazione democratica di persone che “invece hanno
scelto di non votare, per protesta, perché si era alla terza elezione
suppletiva, per la pandemia, per sfiducia in reali cambiamenti”. E, di contro,
che il voto di “5710 colleghi” ha rappresentato “un no chiaro al sorteggio”.
Ho letto anche reazioni scomposte, nel solco di una ideologia, diffusa all’interno della categoria degli “eletti”, che tende a emarginare ed escludere ogni pensiero non in linea al collettivismo giudiziario.
Errori, dunque, che si sommano a errori.
Il dato di verità è, tuttavia, evidente. Ed è tutt’altro che
negativo.
La rinuncia al voto è soltanto ciò che è rimasto a molti. E’
l’affermazione di una forza di opposizione individuale, la volontà di
riappropriarsi della propria identità e dignità professionale, l’abiura delle
pratiche clientelari che devastano l’istituzione.
Qualcuno nei giorni scorsi, in vista del voto, mi ha detto:
“Se so che una sostanza è velenosa non la assumo, ne sto lontana. Se non posso
farne a meno di assumerla, significa che ho un problema di dipendenza e allora
ho bisogno di aiuto”.
Il voto, dunque, visto non come “partecipazione democratica”, ma come una “dipendenza”.
Dipendenza patologica, per il bisogno insopprimibile di ricondursi a un collettivo, che assicuri protezione e premi, senza il quale non si è nulla.
Dipendenza patologica, per assenza di consapevolezza della propria
identità e diversità, della potenza straordinaria di risorse individuali in
grado di condurre a scelte decisive.
Personalmente credo che l’astensione abbia significato
alcune cose:
-
fallimento dell’Unità Associativa;
-
fallimento della politica mistificatoria
sull’azione dell’autogoverno;
-
fallimento della politica di denigrazione ed
emarginazione delle minoranze.
Il che indurrebbe, ancora una volta, a riflessioni profonde
sull’esigenza, fortissima, di un effettivo cambio di rotta. Un’esigenza
individuale avvertita ed espressa da oltre il 40 % dei magistrati italiani,
destinata sicuramente a crescere fuori dalle correnti. Un 40% che non
necessariamente si identifica in gruppi strutturati.
Una quota di oltre il 40% è evento di enorme rilevanza. Purtroppo nel caso in questione, dice poco. Sono pochissimi coloro che pur avendo la possibilità di sostenere la tesi del sorteggio, unica possibilità di poter dimostrare di volersi staccare dalla massa che oggi viene poco ben vista, nulla ha fatto. Per non dire poi che nulla fa per dimostrare di non appartenere alle fiumane delle correnti.
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