Ci si potrebbe chiedere come mai,
sia paure scontando la sicurezza in
sé stessi e l’ottimismo di cui si deve
armare qualsiasi esponente politico, ci sia tanto impegno, direi quasi
accanimento, per ottenere tale risultato nonostante la storia insegni, che spesso il manico del coltello
cambia di mano e che anche il politico più brillante potrebbe trovarsi a
desiderare un pubblico ministero imparziale.
In realtà questa riforma, al pari di molte che riguardano la giustizia, è ispirata alla ideologia imposta dal potere economico internazionale che fa della concorrenza e della competitività il nuovo Moloc al quale sacrificare i figli primogeniti e anche quei diritti fondamentali come l’autonomia e l’indipendenza del giudice (compreso quello che esercita le funzioni di pubblico ministero) che sono stati il frutto di tante lotte e, letteralmente, di tanto sangue versato per superare le organizzazioni sociali autoritarie e oligarchiche che hanno caratterizzato il passato di ogni nazione occidentale e che tutt’ora caratterizzano molti stati del Sud e dell’Est del mondo.
L’attuale fase del pensiero
neoliberale prevede infatti che tutto venga sacrificato al mito della
competitività, ormai penetrato in ogni aspetto della vita sociale, trasformando
l’individuo, da libero cittadino di uno Stato democratico e destinatario di diritti fondamentali, a
imprenditore potenzialmente soggetto solo alla legge del mercato, ossia alla
concorrenza, e quindi avvezzo a lottare con ogni mezzo per realizzare
l’interesse privato anche a scapito di quello pubblico, proprio come succede nella finanza
internazionale che, non essendo assoggettabile ad alcuna legge o giustizia, è abituata a violarle tutte secondo il
principio “Too big to pay “ fatta eccezione ovviamente per la legge del più forte.
La strada della finanza
globalizzata porta direttamente alla costituzione di una nuova classe di
feudatari mondiali che governano i popoli come i nobili governavano la plebe:
somministrando benefici e castighi a sudditi schiavi e opportunamente
lobotomizzati dal consumismo.
Il mito della competitività è
facilmente individuabile in ogni proposta di legge che riguarda la giustizia
italiana e in particolare nell’attenzione all’efficienza senza efficacia che
caratterizza ormai la maggior parte delle proposte di riforma e costituisce “il
Carma” al quale i dirigenti degli uffici giudiziari sono chiamati ad
uniformarsi se vogliono ottenere la conferma nei ruoli organizzativi o la
progressione in una carriera, sempre più staccata da quella di giudice al punto che potrebbe essere facile
ipotizzare, dopo la separazione delle carriere dei pubblici ministeri, anche la separazione delle carriere dei
direttivi alienati dall’esercizio della
giurisdizione.
Il progetto di controllo della
magistratura da parte della massoneria teorizzato nei programmi della loggia P2
sembra proprio si stia realizzando attraverso questo cambio nella cultura e
nella propensione di molti colleghi a barattare l’esercizio e l’orgoglio della
giurisdizione con il piedistallo di dirigente. La cultura della verità con
quella, meglio remunerata, della meschinità se non addirittura della
mistificazione che da anni caratterizza la gestione correntizia di carriere e
disciplina nella magistratura.
Nel mio piccolo sto avendo esempi
frequenti dell’interpretazione,
assimilabile a quella del cane da
guardia, che direttivi e semidirettivi, fanno della loro funzione dimenticando di essere anzitutto dei giudici e non
apprezzando il privilegio al quale questa organizzazione
sociale li ha ammessi: di poter
amministrare giustizia soggetti solo
alla legge.
La separazione del pubblico
ministerio dalla giurisdizione e la sua gerarchizzazione sarebbe un grave e determinate passo verso la gestione del potere
di sanzione penale a beneficio
dei soggetti privilegiati ( quelli che già nell’attuale sistema hanno le risorse economiche per far durare i
processi oltre i termini di prescrizione e per
fare trasferire i pm scomodi mediante
la connivenza tra politica amica e correnti disponibili) e
pertanto verso l’ asservimento
dell’esercizio dell’azione penale al potere della finanza che è il burattinaio sempre meno nascosto delle
istituzioni politiche e fortemente determinato ad estendere il suo controllo
anche su quelle giudiziarie.
La separazione delle carriere
darebbe ulteriore impulso alla cultura della competizione a scapito della
giurisdizione poiché un pm separato non potrebbe rifiutare la gerarchia
oppressiva passando alle mansioni giudicanti e quindi sarebbe costretto ad
accettare la logica del compiacimento ossia della competizione non per l’applicazione della legge, ma per assicurarsi il favore del
superiore ai fini della carriera od anche solo per non rimanere
isolato tra i carrieristi compiacenti.
Nella nostra categoria purtroppo
c’è tanta voglia di padroni e di controlli esterni che dettino le regole magari
inventandone di strampalate e illogiche come la quantificazione delle sentenze
riformate, o delle condanne
ottenute, per misurare il merito del giudice come se il lavoro di
chi giudica possa essere valutato sulla base di risultati numerabili e non in
base al sentimento di giustizia che è riuscito a soddisfare.
Sarebbe interessante capire in
quale misura il pensiero unico neoliberale
stia infiltrando la psicologia del giudice al punto da fargli ritenere
normale che il suo lavoro possa essere equiparato a quello di chi si occupa
di un qualsiasi bene di consumo
facilmente valutabile in base alle quantità prodotte.
Ci si dovrebbe chiedere in quale
misura tale pensiero unico sia a tal punto suggestivo da far preferire la
certezza di una valutazione professionale quantitativamente orientata, alla consapevolezza morale di aver utilizzato
nel modo migliore il proprio tempo lavorativo per rendere giustizia e verità, ( con buona pace della
statistica da relegare dove dovrebbe rimanere
ossia nei cassetti dei burocrati che se ne godono la consultazione) .
Ovviamente non condivido l’idea
di chi ritiene che la separazione delle carriere dei pubblici ministeri da
quelle dei giudici possa essere utile per salvare questi ultimi dalle trame di
controllo perché la battaglia per l’esercizio indipendente della giurisdizione
come quella per la democrazia deve essere combattuta ogni giorno, ad ogni
livello, da ogni cittadino e da ogni giudice senza lasciare indietro nessuno.
Vogliamo veramente che
l’interesse privato diventi la nuova divinità e che anche lo stato sia
organizzato come se fosse un’impresa volta a perseguire guadagni ( o risparmi)
, e non a garantire diritti magari rimanendo
inerte innanzi allo scempio
dell’ambiente, al sacrificio dei diritti umani, indifferente alle sofferenze
dei più deboli e immemore della cultura della legalità e della solidarietà per obbedire alle direttive della finanza
internazionale?
A mio avviso è giunta l’ora di
sostituire lo slogan ormai datato: “ meno stato e più mercato” con il nuovo :
“meno finanza, più solidarietà e
giustizia”
Nn si può che rimanere inchinati per immisurabile tempo, alla lettura di questo intervento. Ma ovviamente non smuoverà nessuna coscienza, d'altronde i sistemi riscontrati sul funzionamento della magistratura cosa ci dicono? Piuttosto a meravigliarmi è la classe forense, che anziché essere a fianco della giurisdizione indipendente, con la scusa di non essere considerata dal pm, è da tutt'altra parte.
RispondiEliminaUna precisazione a proposito dei "numeri": a qualcosa servono.
RispondiEliminaDa giudice, se faccio 100 sentenze e me ne riformano 5, è un conto. Se me ne riformano 50 qualche domanda inizio a farmela sulla mia capacità.
Che non misuro sul "senso di giustizia" che ho suscitato nella comunità: io faccio il giudice, non lo sceriffo.
Caro sconosciuto
RispondiEliminaIn realtà per avere una valutazione attendibile sulle capacità di quel giudice occorrerebbe considerare quante di quelle 50 sentenze di riforma a loro volta venissero riformate a loro volta.
sulla riforma delle sentenze c'è stato un giudice che in tema di mafia le riformava tutte. i fatti sono due: quel giudice è risultato crocifisso; per la legge dei "numeri", invece, è considerato (forse un mafioso) quanto meno, un corrotto. tanto per dire che nella giustizia i numeri non contano. contano in politica, quando si computano i voti (non mafiosi, ovviamente).
RispondiEliminaCondivido parola per parola.
RispondiEliminaGrazie.
rosario russo
Sicuramente chi chiede l’abolizione dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale(112 Cost.; 50c.p.p.), non sa cosa dice, un “minus habens”. Chiede di travolgere la colonna portante del principio di uguaglianza davanti alla legge(3 Cost e 20 Carta dei diritti fondamentali, dell’U.E.). Principio oggi ridotto ad uno spettro. Ma almeno lo si può invocare a gran voce. Con la sua eliminazione nemmeno questo è possibile, e chi lo chiede con forza potrebbe essere perseguito o peggio perseguitato. A costoro, a questo punto, si consiglia di chiedere, anche l’abrogazione dell’art. 3 Cost. al fine di travolgere anche il principio di uguaglianza “nella legge”, consentendo anche al legislatore e di riflesso al governo, di legiferare ad personam, in pieno diritto.
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RispondiEliminaI mali in elenco, purtroppo, oggi sono ben presenti nel “sistema palAmara”. Con l’aggravante, che si è in presenza di una sterminata miriade di piccoli ministrelli, che fanno quello che vogliono senza che nessuno può fare nulla. Per cui poter individuare un preciso responsabile, il ministro, e denunciarlo, è male minore. Tuttavia un tentativo (bisogna stroncare a forza il “sistema palAmara”), per salvare il pubblico ministero dal diventare un super poliziotto, vale la pena tentarlo a tutti i costi.