di Nicola Saracino - Magistrato
I magistrati sono inamovibili, nessuno li può trasferire.
Luoghi comuni.
E’ un fake clamoroso se detto in questi termini, ma il Costituente non era certo dispensatore di cattive informazioni.
Semmai supponeva che la Carta fosse destinata a lettori attenti e bene intenzionati.
Ecco il primo comma dell’art. 107 della Costituzione:
I magistrati sono inamovibili. Non possono essere … destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso.
La prima frase parrebbe inutile, perché smentita da quella che la segue.
Eppure affermare - a livello costituzionale - il principio dell’inamovibilità del magistrato serviva a rafforzarne la “resilienza” a pressioni e condizionamenti nell’esercizio della funzione, indipendente rispetto a qualsiasi altro potere, imparziale rispetto alle parti.
Un magistrato trasferibile, magari mentre conduce le indagini o un processo, è un magistrato debole e con lui s’indeboliscono i connotati di indipendenza e terzietà della funzione assegnatagli dalla Carta fondamentale.
Sarà meno indipendente, meno imparziale, meno resistente alle pressioni esterne.
Ed ecco la “chiave” per leggere il seguito della disposizione costituzionale.
Accantonata l’ipotesi del trasferimento volontario, il Costituente ha assegnato al legislatore il fondamentale compito di individuare specifiche ipotesi (i motivi) che, contro quella fondamentale regola, giustifichino l'eccezione.
L’attuale situazione normativa contempla l’ipotesi del trasferimento disciplinare e quella del trasferimento in via amministrativa, per c.d. “incompatibilità ambientale”.
Quanto alla prima categoria di trasferimenti “coatti” basterà in questa sede dire che essi, per la scellerata interpretazione della normativa operata dal Consiglio Superiore della Magistratura, intervengono a procedimenti e processi in corso non scansando l’ipotesi che il disciplinare risulti strumento di diretta interferenza sull’operato del magistrato.
E’ però l’attualità a richiamare l’attenzione sulla seconda classe di trasferimenti forzati, quella del trasferimento disposto autoritativamente dal CSM in base all’art. 2 della legge cd “delle guarentigie” ( Regio Decreto Legislativo 511 del 1946) il cui testo - ovviamente interpolato dopo l’entrata in vigore della Costituzione - prevede: “I magistrati di grado non inferiore a giudice, sostituto procuratore della Repubblica1 o pretore, non possono essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni, se non col loro consenso. Essi tuttavia possono, anche senza il loro consenso, essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni, previo parere del Consiglio superiore della magistratura, quando si trovino in uno dei casi di incompatibilità previsti dagli artt. 16, 18 e 19 dell'Ordinamento giudiziario approvato con R. decreto 30 gennaio 1941, numero 12, o quando, per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità. Il parere del Consiglio superiore è vincolante quando si tratta di magistrati giudicanti . In caso di soppressione di un ufficio giudiziario, i magistrati che ne fanno parte, se non possono essere assegnati ad altro ufficio giudiziario nella stessa sede, sono destinati a posti vacanti del loro grado ad altra sede . Qualora venga ridotto l'organico di un ufficio giudiziario, i magistrati meno anziani che risultino in soprannumero, se non possono essere assegnati ad altro ufficio della stessa sede, sono destinati ai posti vacanti del loro grado in altra sede. Nei casi previsti dai due precedenti commi si tiene conto, in quanto possibile, delle aspirazioni dei magistrati da trasferire.”
E’ proprio questa la norma alla quale, in adempimento del vincolo dell’art. 107 Cost., spetta di determinare con precisione i “motivi” che consentono di spostare, controvoglia, un magistrato.
E quindi, coerentemente con i valori di indipendenza ed imparzialità tutelati dalla Costituzione, s’è previsto che non possa incarnarli il magistrato che operi nella sede ove un suo parente avvocato possa essere chiamato a difendere davanti a lui; si è pure evitato che in uno stesso ufficio giudiziario operino magistrati tra loro legati da vincoli di parentela o coniugio, ad evitare conduzioni familistiche della giustizia.
Si tratta di ipotesi sufficientemente definite che rendono comprensibili a tutti (i cittadini) i “motivi” di un trasferimento.
Lo stesso non può dirsi per l’ulteriore ipotesi del trasferimento dei magistrati che “per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità.”.
In questo caso il legislatore, anziché adempiere direttamente al compito che la Costituzione (incautamente) gli assegnò, ha messo in campo una delega in bianco in favore del CSM lasciandolo libero di decidere quando si realizza l’incompatibilità di un magistrato, legittimandone il relativo trasferimento per “motivi” non previamente stabiliti ed individuati dalla legge.
Dillo tu se uno è incompatibile.
L’unico, blando, elemento ad oggi capace di orientare la discrezionalità del CSM che si accinga ad imporre il trasloco ai magistrati è dato dalla indicazione del motivo come “qualsiasi causa indipendente da loro colpa”.
Perché se c’è colpa questa deve essere individuabile a priori, occorrendo che la condotta del magistrato integri un illecito disciplinare per il quale la legge consenta il trasferimento.
La categoria dei trasferimenti “punitivi”, se lasciata aperta ad ipotesi non previamente fissate, schiude la via all’arbitrio di chi è chiamato a decidere della vita del funzionario pubblico e poco cambia che si tratti di un Ministro o del Consiglio Superiore della Magistratura: entrambi sono capaci di abusare dei propri compiti.
Ebbene, il disegno di legge governativo in materia di ordinamento giudiziario la cui facciata - sfacciatamente - mostra l’intento di rafforzare le garanzie dei singoli magistrati al cospetto del correntismo dominante al CSM, eliminando il riferimento alla “causa indipendente da loro colpa”, spazza via anche quell’unico criterio che limitava il trasferimento del magistrato contro la sua volontà.
Per effetto dell’abrogazione auspicata dal Governo la “guarentigia” suonerà, beffardamente, così: “I magistrati possono essere trasferiti quando per qualsiasi causa non possono nella sede occupata svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità”.
Ognuno apprezzerà il totale svuotamento del primo comma dell’art. 107 della Costituzione perché i magistrati divengono trasferibili, a discrezione del “capo” - quel CSM elettivo lasciato in mano alle Correnti e quindi “politico” - anche con intenti punitivi ben oltre i limiti, già molto estesi, del trasferimento disciplinare.
Poveri noi (ad eccezione di me, ovviamente): negli anni per avere giustizia mi sono rivolto ad ogni principe del foro. dalla Sicilia alla Lombardia. Le risposte più o meno, a parte un vero cultore del diritto che era già in fin di vita per un male incurabile, sono state che il caso processuale era molto complesso e loro per via del carico di lavoro non potevano seguirlo come avrebbe meritato.
RispondiEliminaOggi mi è tutto chiaro, del sistema non sono mai stati immuni neppure i Principi.
DILLO TU SE UNO E' INCOMPATIBILE ! ! ! L'assunto è di rilevanza capitale. Prima o poi qualcuno do doveva porre in essere. Oggi dopo l'era Palamara non può essere differito.
RispondiEliminaSegnalo che l'art. 2 è stato piegato a fini impropri.
RispondiEliminaLe chat di Palamara fotografano raccomandazioni, e quindi condotte per definizione dolose.
Ebbene esse, invece di stimolare l'azione disciplinare del P.G. presso la S.C., sono state dirottate artatamente nel procedimento ex art. 2, sicché il Plenum le ha 'dovuto' archiviare.
Il colmo è costituito dal fatto che al Plenum ha partecipato anche il P.G.; il quale, trascorso un anno dalla piena conoscenza della notizia, non può più agire disciplinarmente (art. 15, 1° D. lgs. n. 109 del 2006).
E'il diritto bellezza!! Se fosse un ...gioco (di società) sarebbe perfino divertente; ma non lo è!
IL DIRITTO BELLEZZA. Ho impressione che agli italiani dispiace molto a parole e in sostanza, lo trovano molto(direi moltissimo) divertente, fino alla tragedia finale.
RispondiEliminaSempre più viene fuori una fotografia, autenticità riscontrata in tutte le cancellerie di ogni Organo giudiziario, che nitidamente effige il degrado della magistratura. Il guaio è che tra gli stessi magistrati non sono pochi quelli che se ne fregano, o hanno paura; tanta è stata la violenza esercitata contro di loro, negli anni, dalla politica. Eppure, senza l'apporto degli stessi magistrati ciò sarebbe stato impossibile. C'entra qualcosa la lotta alle mafie(?): doveva sì, essere essa, compito dello Stato nel suo insieme, ma nei termini e nei modi prescritti dalla Costituzione e, soprattutto, tenendo conto che il nervo primordiale della "mafia italiana", rispetto a qualsiasi altra organizzazione criminale, è costituito in prevalenza da ignoranza, vigliaccheria, servilismo e tragedia (greca). È stato quindi deleterio, con questi infidi nemici capaci di deteriore qualsiasi convivenza civile, delegare per il suo contrasto soltanto super-pubblici ministeri con ampie deleghe d'indagine dalle quali, off-limits, sono soltanto i membri del "sistema", da cui (illegalmente) dipendono. O ne fanno parte.
RispondiElimina