di Nicola Saracino - Magistrato
E’ dunque giunta all’epilogo la vicenda disciplinare che ha riguardato il dott. Giorgianni al quale si addebitava di aver pronunciato, in pubblica piazza, quanto segue:
«Popolo italiano! Il green pass è abrogato. Oggi il popolo sovrano ha dato il preavviso di sfratto a coloro che occupano abusivamente i palazzi del potere. Oggi il popolo sovrano reclama giustizia per i morti che hanno causato, per le privazioni, per i nostri figli e per la sofferenza. E noi per loro vogliamo un processo, una nuova Norimberga. E allora qua davanti a voi voglio dire, da magistrato: sono venuto a onorare il popolo sovrano, il popolo di Roma! E a coloro che dicono che la mia posizione è incompatibile con il popolo, dico: io tra voi e il popolo scelgo il popolo sovrano e lascio la toga, lascio la toga. Roma, vi amo!».
Del caso avevamo già detto ai suoi esordi in un articolo dall’evocativo titolo “
Mezzi uomini”, tratto proprio da una sentenza disciplinare del CSM che, quella volta, escluse la responsabilità disciplinare di un magistrato attinto da incolpazioni similari a quella del dott. Giorgianni.
Uno dei fondamentali compiti della Corte di Cassazione è quello di assicurare la cd. “nomofilachia”: si vuole, cioè, che il massimo organo giurisdizionale assicuri che la legge sia applicata uniformemente, a tutela dello stesso principio di uguaglianza dei cittadini al suo cospetto (art. 3 Cost.).
Perché se in un caso si dice A ed in altro caso, simile al primo, si dice B, sulla base della stessa legge, è chiaro che i cittadini vengono trattati da disuguali.
Proprio per questo motivo è tradizione che quando la Corte di Cassazione affronta vicende sulle quali si rinvengono “precedenti”, ovvero pronunce già emesse in casi analoghi, essi siano espressamente ricordati nella sentenza, vuoi per dare continuità all’orientamento consolidato, vuoi per discostarsene ma spiegando chiaramente le ragioni che impongano il superamento della vecchia impostazione.
Nulla di tutto ciò nella sentenza n. 7498 dell'8 marzo 2022 nella quale, in relazione al merito dell’accusa disciplinare mossa al dott. Giorgianni, si legge esclusivamente questa motivazione:
“…deve, infine, essere rammentato, alla luce dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 170 del 2018, n. 224 del 2009 e n. 100 del 1981), che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino, ma ha al contempo le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale, al fine di stabilire i limiti che possono essere opposti all'esercizio di quei diritti. Tali limiti sono giustificati sia dalla particolare qualità e delicatezza delle funzioni giudiziarie, sia dai principi costituzionali di indipendenza e imparzialità (artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, e 108, secondo comma, Cost.) che le caratterizzano. Come affermato da Corte cost. n. 170 del 2018, i principi costituzionali appena richiamati «vanno tutelati non solo con specifico riferimento all'esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche quali criteri ispiratori di regole deontologiche da osservarsi in ogni comportamento di rilievo pubblico, al fine di evitare che dell'indipendenza e imparzialità dei magistrati i cittadini possano fondatamente dubitare». L'esercizio dei diritti fondamentali di cui agli artt. 17,18 e 21 Cost. consente al magistrato, continua Corte cost. n. 170 del 2018, «di manifestare legittimamente le proprie idee, anche di natura politica, a condizione che ciò avvenga con l'equilibrio e la misura che non possono non caratterizzare ogni suo comportamento di rilevanza pubblica».
La Sezioni Unite non solo hanno “dimenticato” di considerare i precedenti che in casi analoghi erano pervenuti a soluzioni opposte, in senso liberale.
Ma addirittura invocano - a giustificazione della configurabilità dell'illecito disciplinare - quella stessa sentenza della Consulta n. 100 del 1981 che aveva invece indotto la Sezione Disciplinare del CSM ad assolvere il magistrato per la pubblica manifestazione del suo pensiero (Sezione Disciplinare, sent. n. 70 del 2003).
E’ significativo, infine, che assumano un peso decisivo nell’economia dell'impostazione censoria le sentenze della Corte Costituzionale n. 224 del 2009 e n. 170 del 2018 che hanno riguardato il caso, del tutto diverso, dell’iscrizione dei magistrati a partiti politici, vietata dalla legge.
Nella seconda delle due pronunce, collegata alla vicenda del sindaco di Bari Michele Emiliano, la Consulta era chiamata a delibare la compatibilità con la Costituzione della norma di legge che impedisce ai magistrati di iscriversi ad un partito politico e non dell’esercizio di diverse libertà fondamentali. Tanto è vero che per limitare la diretta attività politica dei magistrati vi è una specifica legge, poi sopravvissuta al vaglio di costituzionalità compiutone dalla Corte Costituzionale; in quella sentenza il riferimento ai limiti delle libertà fondamentali riguarda soltanto quelli posti dalla legge.
Ma nessuna legge impone modalità di esercizio delle libertà fondamentali differenziate per i magistrati rispetto a tutti gli altri cittadini. Concetti che erano - fino ad oggi - patrimonio acquisito della giurisprudenza disciplinare, anche delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Un sentenza monca, quindi, quella appena emessa, perché non ha offerto argomenti nuovi per superare la giurisprudenza in materia.
Una mezza sentenza.
Un intero passo indietro nella tutela delle libertà di tutti.
I giudici sono soggetti soltanto alla legge, recita la costituzione con ulteriori prescrizioni che rendono l’ordine giudiziario assolutamente indipendente.
RispondiEliminaAppare quindi ovvio che, non solo altri giudici, ma anche ogni comune cittadino, senza essere torturato, possa dire: più alto nella parete sale lo scarafaggio (di Kafka) più fa rumore quando cade sul pavimento.
Non posso condividere e non condivido il comportamento del dott.Giorgianni in quanto posto in contrasto agli enormi sforzi che in tutto il mondo si fanno per combattere una pericolosissima pandemia che ha già ucciso sei milioni di persone. Tanto premesso, nessuno può negare che a seguito di un, neanche tanto attento esame delle decisioni della S.C., il principio di "nomofilachia" , elemento essenziale a giustificare l'esistenza della stessa giurisdizione, appare un mero spettro. L'assenza di elementi nuovi per superare la giurisprudenza in materia in violazione dell'art. 3 cost., si configura quale violazione dei diritti naturali dell'uomo, della LIBERTA', e pertanto vero strumento di tortura.
RispondiEliminaSiamo famosi nel mondo, e a ragione, per la nostra capacita di essere coerenti sia con il rispetto delle leggi che, quando occorre, con la legittima disobbedienza. Unico problema: questo Blog. E la moltitudine di altri magistrati che non si adeguano. Mi faccio il segno della croce: il magistrato Carlo Renoldi designato dal Ministro a capo del DAP, a seguito di critiche che lo vogliono nemico del carcere duro e del fine pena MAI per i mafiosi, ha sentito il bisogno di chiarire le proprie opinioni scrivendo una lettere (pubblica) al medesimo Ministro.
RispondiEliminaNoi comuni mortali prendiamo atto: di un Ministro che si contraddice in caso di riconferma della nomina; ed in ogni caso, di un magistrato che si è già contraddetto. Invero, visti i tempi, avremmo tanto bisogno di Ministri e Magistrati coerenti non con l’Italia, bensì, con sé stessi.