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La riforma abbraccia un terreno vastissimo.
Ciò rende impensabile l’idea di svolgere analisi e considerazioni a 360 gradi e rende necessario e inevitabile concentrarsi su alcuni temi specifici.
Anche in quest’ottica, peraltro, le considerazioni che andrò a svolgere non potranno che essere molto sintetiche.
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Avverto tuttavia il dovere e la necessità di lasciare agli atti di codesta illustrissima Commissione un giudizio sintetico globale sul complesso dell’intervento riformatore.
Esso nasce dalla avvertita esigenza e con le dichiarate intenzioni di riavvicinare o comunque di avvicinare maggiormente l’assetto ordinamentale della Magistratura al disegno costituzionale.
Orbene, tale esigenza e tali intenzioni risultano tradite dall’esito concreto del disegno riformatore, soprattutto nella conformazione potenzialmente risultante dalle proposte emendative presentate dal Governo lo scorso 25 febbraio.
Si delinea una Magistratura sempre più somigliante alla brutta copia di un esercito di soldati agli ordini di capi e capetti. Si imbocca radicalmente la strada che conduce alla formazione di un corpo di magistrati sempre più identificabile nel modello burocratico-conformista costituente la contraddizione plateale del modello costituzionale della giurisdizione come funzione sovrana esercitata diffusamente da magistrati soggetti soltanto alla legge e all’uopo professionalmente legittimati e attrezzati
Il giudizio sintetico globale a cui facevo cenno, pertanto, non può che essere fortemente negativo.
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Anche se molto rapidamente, non posso esimermi dal richiamare l’attenzione della Commissione su due interventi inseriti nelle proposte emendative presentate dal Governo venerdì scorso, interventi che ritengo particolarmente allarmanti per l’indipendenza della giurisdizione.
Il primo è rappresentato dalla norma che abroga formalmente l’istituto dei “carichi esigibili”, che costituisce un importantissimo presidio di qualità della giurisdizione. Ancorché tale istituto sia rimasto finora colpevolmente inattuato da parte del CSM, la sua formale abrogazione costituirebbe comunque un grave arretramento sul piano della garanzia della qualità della giurisdizione e, in definitiva, dei diritti delle persone.
Il secondo è costituito dalla norma, ancor più pericolosa per l’indipendenza della giurisdizione e palesemente incostituzionale che, sopprimendo dall’art. 2 della legge c.d. sulle guarentigie l’unico dato realmente conformativo dei casi di trasferimento d’ufficio per c.d. “incompatibilità ambientale”, di fatto abroga il principio fondamentale di inamovibilità dei magistrati sancito dall’art. 107 della Costituzione.
La norma investe principalmente la vita professionale dei cc.dd. “magistrati scomodi”, ossia quei magistrati ai quali capita di imbattersi nel dovere di fare cose scomode, non gradite, e che si determinano ad agire con rigore e professionalità, resistendo a qualsiasi tipo di condizionamento.
Ebbene, questa norma mette in pericolo proprio la vita professionale di questi magistrati e, con essa, il principio di uguaglianza di tutti dinanzi alla legge.
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Ciò detto, il tema principale su cui mi soffermo è quello della composizione del CSM.
Senza dubbio è il tema per il quale è maggiormente avvertita l’urgenza di intervenire, dovuta, da un lato, alla pessima prova data dal sistema vigente e, dall’altro, all’imminenza della prossima scadenza elettorale.
L’obiettivo dell’intervento in questa materia è lucidamente e chiaramente denunciato nelle relazioni che accompagnano i progetti riformatori: si tratta di “riportare l’organo di autogoverno autonomo della magistratura alle sue funzioni costituzionali e di spezzare il legame con le realtà associative che lo hanno piegato a interessi di parte” (v. relazione di accompagnamento al PDL Bonafede del 28 febbraio 2020).
Si tratta, in breve, di liberare il CSM dall’occupazione delle correnti.
Bene, rispetto a questo obiettivo, dire che il nuovo sistema di formazione del CSM sia deludente, con tutta franchezza, è un eufemismo che suona come un premio immeritato per questo progetto.
Infatti, l’articolato sistema elettorale previsto dalla proposta di riforma lascia assolutamente inalterato il potere delle correnti di programmare a lungo termine l’occupazione del CSM, con tutto ciò che a cascata ne discende.
La cartina di tornasole di quanto appena osservato sta nel fatto che nelle relazioni che accompagnano i singoli articoli che intervengono sul tema non c’è una parola che sia una su come le nuove norme possano consentire il perseguimento e, tanto meno, il raggiungimento, degli obiettivi dichiarati in termini generali.
Ma v’è di più. Se l’originario disegno non era in nessun modo efficace rispetto all’obiettivo, pur così esattamente individuato e rappresentato, la proposta emendativa riesce a far peggio. Non tanto per la diversità del sistema elettorale, altrettanto se non ancora più complicato e farraginoso di quelle predisposto dal progetto Bonafede, quanto piuttosto perché alcune piccole buone cose che erano presenti in quest’ultimo, vengono soppresse dalle proposte emendative.
Per esempio:
- il divieto di costituzione di gruppi all’interno del CSM che aveva una forte valenza simbolica di stigmatizzazione di quelle dinamiche partitiche all’interno del CSM che ne condizionano il funzionamento secondo distorsive logiche di appartenenza;
- il divieto di elezione, tra i componenti laici del CSM, di coloro che sono o sono stati nei due anni precedenti membri del Governo e delle Giunte regionali;
- il sorteggio per la formazione delle Commissioni che aveva il positivo effetto di contrastare la formazione secondo strette logiche di appartenenza anche di tali organismi e, quindi, di contrastare la genesi delle determinazioni del CSM secondo dette logiche.
A ciò deve aggiungersi che quest’ultima proposta esalta il raggruppamento delle forze e l’apparentamento dei concorrenti in vista del conseguimento dell’elezione.
Quindi, se la versione originaria del progetto riformatore era totalmente deludente in relazione al dichiarato obiettivo di contrastare il correntismo, la versione che risulterebbe dall’ultima proposta emendativa si muove addirittura in una logica opposta a quella dichiarata, ossia – come è stato efficacemente affermato dal Prof. Marini che codesta Commissione ha audito in data 1.3.2022 – in una “logica di riconoscimento giuridico e di consolidamento delle correnti”.
Insomma, è evidente come si avalli e si riconosca giuridicamente quella che sinora è stata una distorsiva situazione di fatto, ossia la natura politico-partitica del CSM, tutto questo in macroscopico contrasto con l’assetto costituzionale e con le stesse dichiarazioni di intenti che ispirano l’intervento riformatore, intervento che, a questo punto, non si può esitare a definire pseudo-riformatore.
Sorge spontanea, quindi, la domanda se veramente la Politica intenda contrastare il virus del correntismo che si è insinuato nel corpo dell’autogoverno della magistratura e la malattia della correntocrazia che conseguentemente lo affligge.
E viene inevitabilmente il sospetto che la Politica deprechi il correntismo e la correntocrazia a parole; che nei fatti, però, li voglia e li alimenti.
L’alternativa ci sarebbe. E ormai è ben chiara a tutti. Essa nasce dalla elementare considerazione che nessun sistema che lasci alle correnti il potere di programmare a lungo termine, di formare e infine di designare i candidati al CSM, nessun sistema che consenta tutto questo è in grado di contrastare l’occupazione correntizia del Consiglio e i deleteri fenomeni del correntismo e della correntocrazia che tutti, a parole, dichiarano di volere sconfiggere.
Per contrastare non le correnti in sé ma questi fenomeni degenerativi, che muovono dall’occupazione partitica quasi militare dell’Istituzione consiliare, con tutte le vastissime conseguenze che ne discendono, occorre dunque intervenire non sul sistema di distribuzione dei seggi tra i diversi candidati alle elezioni ma sul metodo di selezione delle candidature.
Più precisamente, occorre sottrarre alle correnti il potere di designare i candidati al CSM. Come? Attraverso il sorteggio dei candidati.
È il metodo del c.d. “sorteggio temperato”, ossia del sorteggio dei candidati al CSM in un numero multiplo dei componenti da eleggere.
Si obietta che il sorteggio sarebbe umiliante per i magistrati e incostituzionale.
Non è così.
Lungi dall’essere umiliante, il sorteggio esalta la dignità di tutti i magistrati e il principio costituzionale della loro distinzione soltanto per diversità di funzioni che è l’unico espressamente richiamato nelle premesse della relazione di accompagnamento al PDL Bonafede del 28 settembre 2020, a testimonianza dell’importanza riconosciuta a tale principio nell’economia della riforma.
Che nel sorteggio non ci sia nulla di umiliante per i magistrati lo testimonia il fatto che, nel recente referendum consultivo organizzato dall’ANM, ben il 42% dei votanti, contro le indicazioni di tutte le correnti riunite, hanno coraggiosamente espresso il proprio favore verso questo metodo.
Umilianti, semmai, sono i guasti e i danni causati dai richiamati fenomeni del correntismo e della correntocrazia, divenuti negli ultimi anni di pubblico dominio.
Il sorteggio non è incostituzionale.
Originariamente si diceva che il sorteggio fosse incostituzionale perché l’art. 104 Cost. stabilisce che i componenti non di diritto del CSM sono «eletti».
È stato sin troppo facile rispondere a questa obiezione osservando che il “sorteggio temperato” non solo lascia intatta la qualità di «eletti» dei componenti del CSM ma garantisce che essi siano realmente degli «eletti» e non dei “designati” dalle correnti a seguito di elezioni farsa come quelle in cui i candidati sono in numero di pochissimo superiore o addirittura esattamente corrispondente ai componenti da eleggere.
Allora, naufragata questa prima obiezione di incostituzionalità, i detrattori del sorteggio hanno ripiegato sul diritto di elettorato passivo. Si diche che il sorteggio, sia pure temperato, limitando la libertà di candidarsi, sarebbe in contrasto con il diritto di elettorato passivo di tutti i magistrati.
Orbene, innanzi tutto va osservato che il diritto di elettorato passivo ben può essere disciplinato e limitato dalla legge in funzione di interessi meritevoli di tutela quanto meno pari a quello a candidarsi, come certamente è l’interesse all’imparzialità delle istituzioni di garanzia.
Ma, soprattutto, l’obiezione non tiene conto del fatto che, rispetto alle elezioni dei componenti togati del CSM, la Costituzione non riconosce alcun diritto di elettorato passivo a tutti i magistrati.
Questo non lo dice Castiglia.
Lo dice innanzi tutto chiaramente il testo dell’art. 104 Cost., il quale stabilisce che i componenti siano eletti «da tutti i magistrati», quindi attribuendo a “tutti” i magistrati il diritto di elettorato attivo, ma non prevede che l’elezione avvenga “tra tutti” i magistrati e stabilisce semplicemente che essa avvenga «tra gli appartenenti alle varie categorie».
La Costituzione, quindi, non esige affatto che tutti siano candidabili ma esige soltanto che i candidati siano differenziati in ragione delle «varie categorie» dei magistrati.
Ma lo dice, ripetutamente e chiaramente, anche la Corte costituzionale:
- con la sent. 168/1963, nella quale si afferma che per la formazione del CSM, dal punto di vista dell’elettorato passivo, la Costituzione esige soltanto che i componenti siano scelti tra i magistrati appartenenti alle varie categorie;
- con la sent. 87/1992, nella quale si afferma che l’espressione magistrati “appartenenti alle varie categorie” – cioè quella con la quale la Costituzione delinea la platea dei soggetti tra i quali devono essere «eletti» i componenti del CSM – non significa “tutti i magistrati ordinari”.
Il “sorteggio temperato”, dunque, sarebbe una soluzione pienamente rispettosa del dettato e dello spirito costituzionale, che vuole un autogoverno apartitico, apolitico, legale e imparziale.
E sarebbe l’unico modo per porre fine a un assetto contrassegnato dall’occupazione correntizia del CSM, in cui i componenti «eletti» non sono lì, come vorrebbe la Costituzione, perché rappresentativi delle varie categorie dei magistrati ma sono lì perché rappresentanti delle correnti che li hanno fatti eleggere, assetto questo sì macroscopicamente incostituzionale e che dovrebbe essere debellato così come si legge nelle stesse dichiarazioni di intenti che accompagnano il progetto di riforma, dichiarazioni alle quali finora, purtroppo, non hanno fatto seguito coerenti previsioni riformatrici.
Il tema è strettamente connesso a quello tanto discusso della c.d. “politicizzazione della Magistratura”.
Se la Politica vuole contrastare efficacemente questo fenomeno, non pensi, peraltro in palese contrasto con la Costituzione e per fare fronte del resto a casi sempre più sporadici, a limitare l’accesso al Parlamento dei magistrati, che sono indubbiamente portatori di un bagaglio di preparazione e di esperienza potenzialmente preziosissimo per la vita parlamentare.
Pensi, piuttosto, alla depoliticizzazione e de-partitizzazione del CSM: pensi a de-correntizzare il Consiglio Superiore della Magistratura.
Quindi, se veramente volete una Magistratura non politicizzata e un CSM libero dalle correnti, il suggerimento che mi sento convintamente di dare a codesta Commissione e, più in generale, al Parlamento, anche in vista della prossima imminente scadenza elettorale, è quello di introdurre il “sorteggio temperato” per le elezioni del CSM.
Una ricetta facile, lineare e risolutiva.
Non perdete l’occasione.
non si tratta di non perdere l'occasione: il problema è serissimo (quasi identico a quello di putin e prima di gheddafi, portati in italia a feste da ballo). mattarella, draghi e cartabia dovranno farsene carico, sono -anche- i commissari di questo parlamento il quale li ha imposti ad operare in sua vece, preso (per fortuna) atto della propria incapacità a riformare il sistema, non solo della magistratura.
RispondiEliminaChe a tutti i costi deve essere rafforzato il "correntismo" in modo ferreo, idoneo ad stroncare il fenomeno dei magistrati "scomodi" è un fatto certo e a tutti evidente. I magistrati scomodi sono aumentati di numero e costituiscono un pericolo elevatissimo per la possibilità di portare in giudicato decisioni palesemente abnormi. Ciò preoccupa tanti e in modo serio!!!
RispondiEliminaE comunque, sarà sicuramente mia ossessione, sono convinto che il disastro della giustizia è cominciato prima delle stragi mafiose, per acuirsi proprio a causa di esse. Una magistratura che si è data (meglio, hanno dato) l'impropria missione di sconfiggere le mafie è finita con il suo vice-capo che viene attaccato sia da chi l'ha voluto a quel posto che da chi l'ha contrastato; nel mentre, egli, s'immerge sempre di più nel ruolo del protagonista del film "Non ti muovere". Eppure era noto che non esiste mafia se non in combinazione con la politica. Ed invero, abbiamo dovuto sorbirci insieme alla disintegrazione della magistratura, anche una letturatura e una filmografia che ci hanno, di proposito, obinubilato il cervello.
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