Giovedì 30 maggio il Consiglio dei Ministri ha varato il
disegno di legge costituzionale di riforma dell’ordinamento giudiziario.
Come spiega Nicola Saracino in “Una
riforma utile perché dannosa”, su queto Blog, l’articolato si impernia
su tre pilastri: la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri
con la creazione di due distinti CSM, entrambi presieduti dal Presidente della
Repubblica; la selezione mediante sorteggio dei componenti dei due nuovi Consigli;
la sottrazione al CSM della competenza a emettere «i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati» e
l’attribuzione della «giurisdizione
disciplinare nei riguardi dei magistrati ordinari» a un giudice di nuovo conio, definito «Alta Corte», composto da magistrati, professori
universitari e avvocati, anch’essi selezionati mediante sorteggio come i
componenti dei due Consigli superiori.
Va riconosciuto che, al netto dei processi alle intenzioni,
non si vedono solo ombre.
Sulla separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri si sono spesi fiumi di parole e c’è davvero poco da aggiungere.
Checché se ne pensi, salvo a volere bandire dal campo delle
democrazie liberali varie compagini statali che si presentano, in materia, più
mature dell’Italia, è innegabile che la separazione, di per sé, non conduce il
Paese fuori dal perimetro della c.d. rule of law.
La Politica, dunque, ha certamente il diritto di farla. Resta
da vedere se saprà conquistarsi anche la necessaria legittimazione, per la
quale non basta la potenziale maggioranza dei numeri in Parlamento ma occorre
fare Politica con la “P” maiuscola.
Sul versante dell’ANM, se il giusto timore è sempre stato
l’assoggettamento del pubblico ministero all’esecutivo e il connesso abbandono
del principio di obbligatorietà dell’azione penale, sarebbe opportuno approfittare
di questo progetto. Esso, infatti, non solo esclude tali eventualità ma, al
contempo, scongiura i progetti alternativi che, invece, le implicano.
Per il secondo pilastro, il sorteggio dei componenti dei due
nuovi Consigli superiori, il progetto si fa decisamente apprezzare.
In queste ore, a correnti riunite, tornano a fioccare le
solite invettive contro la selezione a sorte dei componenti del CSM.
Col sorteggio, la Politica mirerebbe alla mortificazione dei
magistrati, facendoli passare – si dice ingannevolmente – per persone “incapaci
di scegliersi i propri rappresentanti”.
È il processo alle intenzioni, che lascia il tempo che
trova.
Ad ogni modo, è di tutta evidenza che la selezione per
sorteggio dei componenti del CSM, lungi dal mortificare i magistrati, ne
valorizza il ruolo, riconoscendo il primato della funzione giurisdizionale,
ormai negletta nella prassi quotidiana, e la legittimazione di tutti i
magistrati, in virtù di tale primato, alla piena e diretta partecipazione al
c.d. “circuito dell’autogoverno della giurisdizione”, che finalmente sarebbe
sottratto al giogo dei sodali delle camarille correntizie.
Ma anche volendo restare nella via del processo alle
intenzioni, sarebbe sin troppo facile osservare, guardandosi intorno a
trecentosessanta gradi, che l’oligarchia correntista – che da decenni occupa abusivamente
l’Istituzione consiliare – avversa il sorteggio dei componenti del CSM per la
semplice e sola ragione che mira a conservare il potere di sistematica
programmazione della composizione del CSM con tutto ciò che, a cascata, ne
discende.
Così, pur di contrastare la possibilità di un CSM liberato
dalla legge delle appartenenze partitiche (togate e non) e riconsegnato alla
legge delle regole, ha ormai gettato definitivamente la maschera, proclamando
apertamente una funzione politica del CSM, chiaramente incompatibile con la Costituzione
vigente.
Col terzo pilastro del progetto riformatore, quello che si
vorrebbe impiantare sul terreno disciplinare, siamo invece al buio più pesto.
Molteplici sono le ragioni per le quali l’idea dell’Alta
Corte disciplinare è profondamente sbagliata e gravemente dannosa.
Non è possibile, in questa sede, svolgerne la trattazione.
Un aspetto non si può fare a meno di considerare.
L’istituzione di un giudice unico della disciplina dei
(soli) magistrati (ordinari), addirittura sia in prima che in seconda istanza,
si porrebbe in radicale contrasto col carattere diffuso che la Costituzione
(vigente) attribuisce alla funzione giurisdizionale. Il rischio che, sul punto,
il progetto di riforma possa violare i principi supremi dell’ordinamento,
quelli che neppure una riforma costituzionale può intaccare, non sarebbe allora
da sottovalutare.
Quanto sarebbe più semplice, dando attuazione alla
Costituzione (vigente), ricondurre al CSM l’iniziativa disciplinare,
inopinatamente sottrattagli, a vantaggio della Procura generale della
Cassazione, da un legislatore ordinario assai distratto e poco avvezzo a
correggere le distorsioni provocate dalle sue stesse scelte!
Del resto, per replicare al tanto suggestivo quanto fallace
argomento secondo cui il CSM “tende
a non sanzionare mai neanche le violazioni più grosse”, su cui si
fonderebbe l’opzione Alta Corte, è sufficiente porsi un paio di domande.
Cos’ha fatto il Ministro della Giustizia, al quale la
Costituzione assegna la titolarità dell’azione disciplinare contro i
magistrati, per contrastare tale asserita tendenza? In particolare, con
riferimento allo scandalo delle nomine, tanto strombazzato a supporto delle
necessità di una profonda riforma dell’ordinamento giudiziario, quali e quante
iniziative disciplinari sono state attivate dal Ministro e disattese dal CSM?
La risposta a queste domande – nulla o simil nulla! zero o
simil zero! – rivela tutta l’inconsistenza dell’argomento.
Due ulteriori considerazioni, al riguardo, sono di immediata
evidenza: la prima è che questo giudice unico di nuovo conio, con tutto il
contorno che dovrebbe poi circondarlo, di alto, anzi di altissimo, avrà
sicuramente il costo di gestione; per il resto, e siamo alla seconda considerazione,
con un CSM non più espressione del partitismo correntizio e politico ma
composto mediante sorteggio, questa nuova immaginifica Corte sarebbe totalmente
priva di ogni ragione.
Ecco che il secondo pilastro del progetto varato dal
Consiglio dei Ministri, quello del sorteggio, potrebbe fungere da cardine di
una soluzione equilibrata da dare a un rinnovato assetto ordinamentale della
magistratura.
La condizione è che la Politica sappia essere tale, placando
l’istintiva tendenza dell’esecutivo a fagocitare le altre funzioni sovrane e
sapendo ben discernere, anche nel settore giudiziario, i diversi ambiti
giurisdizionale e amministrativo.
Potrebbero auspicabilmente registrarsi, su questo cardine, la caduta della tanto singolare quanto inutile Alta Corte e alcune puntualizzazioni sullo status del pubblico ministero separato, idonei a blindarne l’indipendenza dall’esecutivo, magari nel contesto di un unico CSM diviso in due Sezioni separate (davvero singolare l’idea di un Presidente della Repubblica bifronte, al vertice di due ordini giudiziari separati, costantemente in potenziale conflitto tra loro), con un Plenum chiamato a pronunciarsi solo su alcune peculiari questioni, se del caso in seconda istanza rispetto alle decisioni delle Sezioni.
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