Facendo seguito al post con il quale Felice Lima ha trattato la parte della motivazione della sentenza disciplinare nei confronti di Luigi De Magistris relativa al capo di incolpazione contraddistinto dalla lettera “E” (post che può essere letto a questo link), pubblichiamo uno scritto di Francesco Siciliano che analizza la parte della sentenza relativa al capo di incolpazione contraddistinto dalla lettera “A”. Un altro scritto di Francesco sul capo di incolpazione contraddistinto dalle lettera “C” può essere letto a questo link. Altre analisi tecniche, di Nicola Saracino, sui capi di incolpazione contraddistinti dalle lettere “B” e “G”, possono essere lette a questo link e a quest'altro.
di Francesco Siciliano
(Avvocato del Foro di Cosenza. Legale di Ammazzatecitutti)
Mi occuperò del capo della sentenza disciplinare nei confronti di Luigi De Magistris relativo all’incolpazione contraddistinta dalla lettera A).
Nella sentenza di condanna si individua quale argomento centrale del punto in esame la trasmissione, da parte del dott. De Magistris, del fascicolo 1217/05 alla Procura di Salerno ex art. 11 c.p.p. quando era gia avvenuta la revoca della titolarità da parte del Procuratore Capo e, sotto questo profilo, la verifica della “idoneità della detta giustificazione (quella fornita dall’incolpato NDR) ad elidere il disvalore della violazione …” nonché “... verificare se quest’ultima fosse senza alternativa, proporzionata ed idonea allo scopo” il tutto sulla base della grave violazione di non avere osservato la disposizione di cui all’art. 2 comma 1 decreto legislativo 20.2.06 n. 106 ai sensi del quale è stata modificata la titolarità dell’azione penale e la relativa delega ai sostituti nonché il potere di revoca della delega. Anche in questo capo di incolpazione e nella relativa condanna, trattandosi di procedimento comunque finalizzato all’irrogazione di una pena (rectius: sanzione) il CSM sembra essere incorso in violazione dei principi della successione delle leggi nel tempo e soprattutto nel principio del favor rei che impronta comunque ogni procedimento disciplinare e sanzionatorio del sistema giuridico italiano.
Invero per ben comprendere il mio sommesso punto di vista bisogna partire dalla considerazione che il fatto concreto attiene ad una notizia di reato e relativo procedimento penale recante il n. 1217/05.
Tale notizia di reato e la relativa assegnazione del fascicolo sono avvenuti nella vigenza della normativa innovata dal Dlgs. 20.02.06 n. 106 e, pertanto, la relativa titolarità dell’azione penale, precedentemente alla riforma, andava intesa nel senso assegnatole proprio dalla pregressa normativa.
Su questa va detto che con delibera del 19 febbraio 2004 il C.S.M. – richiamando anche la precedente e significativa risoluzione del 25 marzo 1993 – aveva ritenuto che la normativa primaria e secondaria abbiano abbandonato “ogni incidenza gerarchica” nel rapporto tra il Procuratore e gli altri magistrati adetti all’ufficio requirente.
Il rapporto andava e va, dunque, “qualificato in termini di sovraordinazione, quale conseguenza dei poteri di organizzazione e di direzione assegnati” al Procuratore.
“In altre parole – affermava il C.S.M. – non è più configurabile il pregresso modello gerarchico, cometestimoniato anche dalla sostituzione del concetto di delega con quello di designazione” (art. 70 comma 3° O.G.) per l’affidamento degli affari ai Sostituti da parte del Procuratore, “che meglio corrisponde al principio di eguaglianza dei magistrati tra di loro, e conferisce al designato una competenza (intesa in senso ampio) nella distribuzione interna all’ufficio del lavoro”.
A ciò si è aggiunto che la delega importa che il delegante non si spoglia dei propri poteri, che vengono svolti dal delegato, per così dire, “temporaneamente”, mentre con la designazione si attribuisce al designato un “potere proprio … con caratteri di maggiore stabilità”.
Il C.S.M. ha ritenuto, poi, rilevante il fatto che il legislatore abbia previsto la piena autonomia del magistrato in udienza, e la enucleazione del principio che il magistrato del P.M. deve ordinariamente seguire un processo dal suo inizio alla fine.
Nella delibera il C.S.M. richiamava, quale base normativa del suo deliberato, in primo luogo proprio l’art. 70 dell’O.G., che nella originaria formulazione si riferiva ad un Procuratore che esercita “le sue funzioni personalmente o a mezzo dei dipendenti magistrati”; mentre, a seguito del d.p.r. 449/88, si riferisce unicamente ai poteri di direzione e di organizzazione dell’ufficio.
Nella medesima delibera si fa riferimento all’art. 16 del D.L.vo 511/46 (che stabilisce un potere di sorveglianza del Procuratore sui magistrati dell’ufficio) nonché il già citato art. 7 ter O.G. sui poteri dei Procuratori la cui posizione, pur se sempre sovraordinata rispetto ai sostituti che fanno parte dell’ufficio, non può però essere intesa quale esercizio di un potere assoluto da parte del Procuratore medesimo, che, anzi, deve rispettare tutte le individualità e le professionalità presenti nell’ufficio, quale espressione della autonomia ed indipendenza che attiene a ciascun magistrato, anche requirente.
Questa “gestione sovraordinata” si estrinsecava – secondo il C.S.M. nella delibera del 19 febbraio 2004 – essenzialmente in un potere di direzione ed organizzazione in generale dell’ufficio.
Potere che doveva articolarsi secondo i moduli approvati dal C.S.M. a mezzo della normativa secondaria sui criteri generali di organizzazione delle Procure (normativa che si è andata precisando e definendo negli ultimi anni), e che viene, poi, sottoposto al controllo prima dei Consigli Giudiziari, e successivamente da parte dello stesso Consiglio Superiore.
La normativa primaria e secondaria che ha determinato l’assegnazione del fascicolo in discorso al dott. De Magistris, quindi, non è in alcun modo una delega dell’azione penale ai sensi dell’art. 2 comma 1 D.L.vo 106/2006 quanto invece una designazione ai sensi della normativa primaria e secondaria vigente al momento della formazione del fascicolo 1217/05.
Sulla base di tale limpida ed incontrovertibile considerazione non è così chiaro in termini di rapporto tra le norme succedutesi nel tempo che la designazione (cui è connaturata una maggiore stabilità della titolarità dell’azione penale da parte del sostituto) si sia trasformata sic et simpliciter in delega con potere di revoca irrevocabile non fosse altro per la considerazione che la legge dispone per l’avvenire.
Tale argomento, ovviamente, non è una discettazione sulla successione della legge nel tempo quanto una valutazione del comportamento dell’incolpato che, in sede di giudizio cui consegue la sanzione, deve essere improntato al principio dell’applicazione (e quindi della normativa da porre a base della valutazione) della normativa più favorevole al reo (mi si passi il termine davvero improprio).
La titolarità del fascicolo da parte del dott. De Magistris quindi è nata come designazione ex art. 70 O.G. e su tale titolarità i principi stabiliti dal Capo dell’Ufficio valgono quale espressione del potere di direzione (da intendersi in senso tecnico: direttiva che il destinatario può motivatamente disattendere) e del potere di sorveglianza sui Magistrati dell’Ufficio.
Su tale base è di dubbia collocazione “il termine” della coassegnazione al sostituto dott. De Magistris non essendo pacifico il rapporto tra le leggi succedutesi in questa materia.
MA VI E’ DI PIU’.
Costituisce principio pacifico nella giurisprudenza della Sezione disciplinare, seppure con riferimento alla figura del GIP, il principio secondo il quale la mancata preventiva astensione del Giudice rispetto ad un atto del suo ufficio costituisce violazione dell’art. 18 R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, con compromissione del prestigio delle funzioni esercitate quando ovviamente si ricorra nelle ipotesi in cui valga tale dovere di astensione che, pertanto, non può essere successiva alla emanazione di un atto ma immediata e preventiva (cfr CSM - Sentenza del 19.9.2003/23.3.2004 n. 85/2003 Reg. dep. - Presidente Buccico - Estensore Salmè).
Nella richiamata decisione, invero, si è affermato che “la disciplina dell’astensione del giudice trova fondamento nell’esigenza di garantirne l’imparzialità e la terzietà, che, anche alla luce del novellato art. 111 Cost., costituiscono requisiti essenziali del giusto processo e quindi della giurisdizione. Per questa ragione, secondo l’orientamento costantemente seguito da questa sezione e dalla Corte di cassazione, il dovere deontologico di astensione non è limitato alle sole ipotesi nelle quali è imposto dalla legge ma ha una portata più ampia e si estende a tutte le fattispecie in cui l’astensione stessa è solo consigliata dalle circostanze del caso concreto che rendano prevedibili sospetti di compiacenza o parzialità nell’esaminare e decidere una determinata questione, così da compromettere il prestigio del magistrato e dell’ordine giudiziario (così Cass., 25 marzo 1988, n. 2584). Conseguentemente si è ritenuto che la violazione dell’obbligo di astensione in presenza di gravi ragioni di convenienza integra una violazione di regole basilari della deontologia professionale nello svolgimento dell’attività giudiziaria e pertanto la lesione del prestigio dell’ordine giudiziario è in re ipsa e deve essere ravvisata sulla base del mero accertamento della violazione (Cass. 24 gennaio 2003, n. 1088)”.
Nella richiamata decisione, quindi, anche avendo riguardo alla fattispecie concreta della decisione richiamata, ciò che rileva, ai fini del prestigio delle funzioni esercitate, non è l’astensione, comunque, avvenuta, ma la preventiva astensione del Giudice, qualora ne ricorra la necessità. Stante tale dato di partenza è evidente che a nulla rileva la contestuale astensione del Procuratore Capo unitamente alla revoca della delega (rectius: designazione ex art. 70 O.G.) atteso che, per il prestigio delle funzioni, rilevate le ragioni che imponevano o consigliavano l’astensione il Procuratore Capo avrebbe dovuto preventivamente astenersi richiedendo se del caso – fatto successivamente avvenuto – l’intervento della Procura Generale attesa la remissione della codelega da parte del Procuratore Aggiunto.
D’altra parte le argomentazioni circa “la necessaria preventiva completa comunicazione delle emergenze processuali e delle iniziative da intraprendersi” sembrano contrastare con il concetto di designazione già richiamato a proposito della titolarità dell’azione penale nella vigenza della pregressa normativa.
Alla luce di queste considerazioni appare quantomeno dubbio che la novellazione della titolarità dell’azione penale e le connesse prerogative del Procuratore Capo si applicassero sic et simpliciter al fascicolo già nella titolarità del dott. De Magistris designato ex art. 70 vecchio O.G.. ciò che invece è pacifico è che per effetto del principio del favor rei il comportamento dell’incolpato andava valutato sotto il profilo della normativa più favorevole (trattandosi di fattispecie in cui ve era stata una successione di leggi nel tempo) e, pertanto, la mancata restituzione del fascicolo andava valutata non come ipotesi di “insubordinazione” ex art. 2 comma 1 decreto legislativo 20.02.2006 n. 106, ma alla stregua del concetto di designazione e di titolarità dell’azione penale da parte del sostituto per effetto della normativa in vigore al momento dell’attribuzione del fascicolo trattandosi di norma più favorevole all’incolpato.
Di contro la sentenza impugnata pone a fondamento della fattispecie la più sfavorevole normativa novellata (sfavorevole sotto il profilo della individuazione della violazione grave e della correlativa sanzione applicabile) atteso che, evidentemente, l’applicazione della normativa più favorevole avrebbe determinato la eventuale violazione delle sole disposizioni organizzative del Procuratore Capo e non anche la violazione del D.lvo 106 2006.
Invero, in applicazione di tale più favorevole normativa, si sarebbe dovuti giungere a diverse conclusioni per le seguenti considerazioni.
Andava innanzitutto considerato che il provvedimento di termine della coassegnazione si inseriva su un fascicolo derivante da designazione ex art. 70 O.G.; che, allo stesso modo, il dovere di astensione – avendo il Procuratore Capo appreso la ragione di opportunità di astenersi – per come affermato nella richiamata sentenza disciplinare era coevo al medesimo provvedimento di termine della coassegnazione; che al momento del provvedimento non risultava altro coassegnatario avendo il Procuratore aggiunto rimesso la codelega e non essendoci sino a quel momento comunicazione del Capo dell’Ufficio di conferma della validità della coassegnazione; che, applicando la normativa più favorevole, si potevano prendere in considerazione le conclusioni cui era giunta più volte la sezione disciplinare come nella sentenza Proc. n. 119/2003 R.G. - Sentenza del 3.12.2004/20.1.2005 n. 131/2004 Reg. dep. - Presidente Buccico - Estensore Mammone; che, comunque, si trattava di situazione particolare e nuova in cui era dubbio se si applicava l’istituto della delega e della revoca di essa per come definito dalla novella.
Da ciò consegue l’errore della sentenza nella parte di cui al capo A).
Carissimo Avv. Siciliano,
RispondiEliminai capi d'imputazione, smembrati, sviscerati e opportunamente commentati da Lei, ma anche da altri esperti del Diritto, cadono come cadono le perle di una collana cui viene reciso il filo.
Nel caso in specie non c'è da tagliare alcun filo, tanto deboli appaiono le argomentazioni del CSM, che le addotte motivazioni si rivelano, subito, di non solida tenuta, appunto "sfilacciate", immediatamente deboli dal punto di vista Giuridico e troppo tempestive.
La vicenda de Magistris, dopo l'avocazione dell'Inchiesta "Why Not" (20 Ottobre 2007), subisce una repentina impennata tanto che, nel giro di qualche mese, egli viene condannato dal CSM nei termini e con le motivazioni che noi tutti conosciamo.
Tutto questo accade con sorprendente rapidità e, nel contempo, nessuno si accorge che ci sono mafiosi in circolazione soltanto perchè un Giudice ha bisogno di otto anni per scrivere una sentenza.
Le due vicende, "stranamente", non sono commentate dai rappresentanti della politica che, a parte qualche timida presa di posizione, subito arretrata, si guardano bene dal commentare e/o stigmatizzare l'uno e l'altro fatto.
Nonostante tutto "minacciano" riforme della Giustizia, senza minimamente pensare che, invece, sarebbe più che mai urgente svelare i volti di quanti, per negligenza o forte convincimento, cedono il passo alle tante arroganti in-Giustizie.
Temiamo, in questo nostro arrovellarci su cose che ci appaiono fin troppo chiare, che la sorte toccata al PM Luigi De Magistris, forse anche peggiore, possa toccare al GIP Clementina Forleo, per la quale la Procura generale della Cassazione ha disposto il rinvio a giudizio.
L'appuntamento è per il 27 Giugno 2008 davanti alla sezione disciplinare del CSM, dove la Dott.ssa Forleo sarà processata per le sue "forzature" sulla vicenda Unipol-BNL.
Anche in questo caso, com'è avvenuto per il Dott. De Magistris, crediamo di conoscere, sperando di sbagliare, l'esito della sentenza, per le cortesi "anticipazioni" forniteci in tempi non sospetti dalla Dott. Vacca, membro Laico del Centrosinistra nel CSM.
Spero tanto di poter continuare a godere, insieme ai commentatori di questo ospitale Blog, dell'odierna Libertà di espressione, poichè temo, che tra le "minacciate" riforme della Carta Costituzionale, possa esserci una riformulazione dell'Art. 21 (quella dell'Art. 3 è già nella mente di tanti).
Un abbraccio
Fuori tema? (...o no).
RispondiEliminaVorrei segnalare un articolo di Giuseppe D' Avanzo
(la Repubblica 12-03-2008) http://www.libertaegiustizia.it/rassegna/rs_leggi_articolo.php?id_articolo=2786
Sarebbe auspicabile qualche commento professionale al caso descritto, che, secondo me e` simbolico del modo di procedere da una parte della Magistratura.
Premetto di essere una profana in campo legale, ma ho passato molti anni nella ricerca scientifica a razionalizzare tra "cause" ed "effetti".
Inoltre vivo in Inghilterra da molto tempo ed anche se non condivido parecchie attitudini anglosassoni, devo inchinarmi dinanzi ai continui riferimenti dei Giudici al cosidetto "senso comune" che diventa la base del giudizio, valutazione e decisione.
Grazie.
E. Clarke
Londra
Credo proprio che le migliori difese di de Magistris e Forleo, ma ancor più dei principi dell'uguaglianza di ognuno di noi davanti alla legge, siano quelle di fare conoscere a quanti più possibile in Italia il calvario cui sono sottoposti questi due servitori delle nostre istituzioni.
RispondiEliminaE' chiaro che difendere, come fanno loro, uno Stato i cui illegittimi occupanti hanno messo radici non è impresa da poco.
Avrei preferito de Magistris e Forleo in politica ma, visto il loro importante ruolo istituzionale, se sostenuti da un vasto consenso popolare che gli manifesti la semplice solidarietà si possono ottenere altrettanti buoni risultati per il ripristino in Italia della dignità perduta.
bartolo iamonte
Per E. Clarke.
RispondiEliminaGentile Lettrice,
Lei scrive:
"Inoltre vivo in Inghilterra da molto tempo ed anche se non condivido parecchie attitudini anglosassoni, devo inchinarmi dinanzi ai continui riferimenti dei Giudici al cosidetto "senso comune" che diventa la base del giudizio, valutazione e decisione".
E riporta un articolo nel quale un giornalista scrive fra l'altro:
"Alla vigilia di una nuova stagione politica, la magistratura dovrebbe ricordare che non può reggere, all´infinito, un conflitto con le opinioni diffuse e condivise. Pena, perdere ogni credibilità".
Il mio modesto pensiero è il seguente (ma badi che lo dico come una opinione fra le altre e, in questa sede e senza avere a disposizione gli atti del processo, non ho alcuna pretesa di dire cose certe e trovo, anzi, complessivamente imbarazzante e poco intelligente "giudicare" un fatto e un processo senza gli atti del processo):
1. Trovo pericolosissimo questo richiamo al "senso comune" e al comune sentire dell'opinione pubblica. Il "processo di piazza" è una cosa barbara e incivile. Il "popolo" che giudica atecnicamente è una cosa da caccia alle streghe, da linciaggio, da bestie.
C'è un illustre precedente di questo. Un giorno un giudice, giudicando un imputato, lo trovò innocente. Ma si sentì in forte imbarazzo, perchè "la gente" lo diceva colpevole. Non avendo il coraggio di fare quello che il D'Avanzo (persona dalle competenze professionali elevate, ma dall'uso delle stesse a volte decisamente opinabile) contesta a noi (cioè decidere anche contro il "senso comune"), si presentò al popolo e chiese loro cosa fare. Il popolo non ebbe dubbi. Il giudice si adeguò, per evitare quello che D'Avanzo chiama il "conflitto con le opinioni diffuse e condivise".
Così Gesù Cristo venne crocifisso e Barabba liberato.
Se il giudizio migliore è quello della "gente comune", i Tribunali vanno subito chiusi, i giudici professionali licenziati e le questioni risolte per acclamazione popolare con processi organizzati nello stile della trasmissione trash (a mio parere) "Forum".
2. Il giudice di Bari ha tenuto il padre dei bimbi morti agli arresti domiciliari e una parte dell'opinione pubblica urla chiedendone la liberazione, perchè sarebbe innocente. Se lo stesso giudice lo avesse liberato, altra parte dell'opinione pubblica e addirittura una parte della stessa che urla oggi urlerebbe per la liberazione di un padre che ha avuto tanta poca cura dei suoi figli da perderli nel modo che almeno in parte sappiamo.
Il principe del foro avv. Taormina, quando iniziò l'indagine di Cogne, andò a Porta a Porta a dire che era assurdo che i giudici non arrestassero immediatamente la sig. Franzoni, evidentemente colpevole e, quando lei poi fu arrestata, lo stesso avv. Taormina è andato di nuovo a Porta a Porta a dire quanto fosse assurdo che fosse stata arrestata la sig. Franzoni, certamente innocente.
L'opinione pubblica si è stracciata le vesti ritenendo piccola una pena di sei anni per un rumeno che ha ucciso delle persone guidando un furgone ubriaco e lo pretende ancora in carcere. La stessa opinione pubblica non ha detto niente quando è stata scarcerata l'altroieri una gentile signora italiana che, uccisa una bimba con l'auto, ha pensato bene di fuggire via.
Il "senso comune" è un metro di giudizio molto pericoloso, sia perchè è molto dificle accertare quale sia, sia perchè esso spesso, pur essendo "comune", non è per niente "buono".
La mia personalissima opinione è che giudicare in Tribunale (perchè altra cosa sono i giudizi politici, morali, estetici, culturali, ecc.) sia un atto tecnico, che va compiuto secondo regole tecniche e che va sottoposto a verifiche tecniche.
Questi sono, a mio modesto parere, il processo e la civiltà.
Sono sempre più spaventato da un popolo che reclama, invece, oggi linciaggi e domani salvacondotti, che crede più a Porta a Porta che alla Corte di Assise di Roma, che considera Giuseppe D'Avanzo un buon punto di riferimento.
Quanto alle corti anglosassoni, inglesi e americane, spesso la gente non sa esattamente come funzionino.
Periodicamente qualcuno, parte in uno dei tanti giudizi che curo, viene nel mio ufficio e mi dice: "Ah come sarebbe bello se fossimo in America!".
Allora io gli chiedo: "Gentile Signore, davvero lei vorrebbe essere processato da un gruppo di cittadini preso a caso e del tutto privo di competenze tecnico giuridiche, che la giudicherebbero senza esporre da nessuna parte e in nessuno scritto le motivazioni del loro verdetto (le sentenze anglosassoni non hanno la motivazione nel merito del verdetto, perchè il "valore" del verdetto è tutto nel fatto che "il popolo lo ha voluto"), con una sentenza inappellabile (l'appello nei paesi anglosassoni non è un diritto e si fa solo se la Corte di Appello si convince che nel primo giudizio c'è stata una qualche nullità) e immediatamente esecutiva?"
TUTTI mi rispondono che questo non lo vorrebbero.
La prego davvero di considerare le mie solo come personali opinioni e di sapermi davvero grato a Lei per la Sua squisita cortesia, per l'attenzione con la quale ci segue e per la Sua graditissima e preziosa presenza fra noi.
Un caro saluto.
Felice Lima
Gent. Dott. Lima,
RispondiEliminaSono io che la ringrazio per la Sua esauriente, convincente e, se mi posso permettere, appassionata risposta!
Buon lavoro
E. Clarke
SE PUO' ESSERE UTILE AL DIBATTITO, LO STESSO D'AVANZO ANNI FA HA APPELLATO 5000 INDAGATI PER MAFIA IN UN ANNO IN PROVINCIA DI RC, COME 5000 PENDAGLI DA FORCA, PUR ESSENDO EGLI A CONOSCENZA CHE OLTRE IL 50% DEGLI INDAGATI PER MAFIA VENGONO PROSCIOLTI GIA' PRIMA DEI RELATIVI PROCESSI. QUESTO SUO GARANTISMO VERSO IL POVERO PAPPALARDI MI SORPRENDE NON POCO.
RispondiEliminaGrazie mille ad E. Clarke che ci ha segnalato l’articolo di D’Avanzo di ieri. Sinceramente mi ero preoccupata che, dopo la notizia del rinvio a giudizio di Clementina Forleo davanti alla sezione disciplinare del CSM, D’Avanzo non ci avesse ancora deliziato con le sue perle di saggezza sulla magistratura. E invece eccolo, puntuale come sempre !!!!
RispondiEliminaD’Avanzo ha portato avanti per mesi una campagna diffamatoria nei confronti dei magistrati, in particolare di Clementina Forleo, che non ha eguali, e leggere alcune frasi del suo articolo, secondo me gravissime , ci dà la misura dell’accanimento che c’è in Italia nei confronti della magistratura (e della giustizia). Inoltre, mi sembra proprio che l’intento non sia commentare il caso Gravina, ma dare un’altra stoccata ai magistrati, e “casualmente” proprio nel giorno in cui esce la notizia della Forleo…
Riporto alcune frasi che non hanno bisogno di commenti:
“Negli affari giudiziari bisogna diffidare di chi mena fendenti forsennati nella convinzione di avere tra le dita la corda della verità.”
“Una ritorsione, ecco che cosa sembra la decisione del giudice.”
”Sono decenni che il processo italiano è in crisi di efficienza, di risultati e di credibilità, un ordigno maligno che sanziona prima dell´accertamento e, quando accerta le responsabilità, non riesce a punirle.”
“Sono i contrappesi politici alla fine a potenziare i contrappesi tecnici perché sono utili a incentivare nei giudici un atteggiamento di autolimitazione (self-restraint); sono in grado di essere un buon deterrente alla manipolazione delle norme.”
“Un´opinione pubblica stanca, diffidente, sospettosa della consorteria togata ha "autorizzato" la politica a individuare contrappesi.”
“Ci si augura che, nel prossimo Parlamento, non si debba ancora assistere al conflitto infinito tra le toghe e la politica. Anche i magistrati dovrebbero capirlo ed evitarlo. Soltanto applicando la legge con equilibrio e saggezza.”
Nessun giornalista si è invece domandato come mai il CSM condanna a due anni e qualche mese di perdita di anzianità un magistrato che impiega otto anni per scrivere una sentenza, lasciando a piede libero un intero clan mafioso, con tutte le gravissime conseguenze che questo comporta, ed invece si accanisce con tanta solerzia ed efficienza contro magistrati che “lavorano troppo”. E’ più grave l’“abnormità” di un provvedimento (ammesso e non concesso che tale abnormità sussista) oppure l’omissione di un provvedimento, che causa la scarcerazione di quattro esponenti di primo piano di Cosa Nostra per scadenza dei termini di custodia cautelare?
Scusate se reintervengo, ma, visti gli altri interventi duramente critici (e li condivido) nei confronti di D'Avanzo (che fa un uso molto "politico" - nella migliore interpretazione - del suo giornalismo), ci tengo davvero moltissimo a lasciare chiaro che io, pur con le divergenze di opinione che ho esposto, ho davvero molto apprezzato l'intervento di E. Clarke (simpaticamente, "Mimma").
RispondiEliminaE voglio dire anche, per solidarizzare con Lei, che effettivamente i provvedimenti dei magistrati (P.M. e G.I.P.) di Bari sono oggetto di grandissime discussioni credo in tutti gli ambienti giudiziari: proprio ieri nel Tribunale dove lavoro sentivo un gruppo di avvocati discutere animatamente chi difendendo una tesi chi l'altra.
E aggiungo anche che è vero che questa storia dei bambini di Gravina di Puglia, come altre non meno gravi - penso per esempio alla storia delle maestre dell'asilo di Rignano - costituiscono snodi davvero problematici nei rapporti fra magistratura e paese e si prestano a perplessità anche fondate sull'uso della custodia cautelare.
Ciò che, in sostanza, vorrei sottolineare è:
1. che la divergenza di opinioni sui criteri di giudizio dei provvedimenti dei magistrati non voleva in alcun modo sottovalutare l'oggettivo interesse dell'intervento di Mimma;
2. che è grandissimo interesse della Redazione, mio e del blog tutto che i lettori possano esprimersi serenamente, senza timore che le loro opinioni appaiano minoritarie rispetto ad altre;
3. che la fatica che ci dobbiamo sobbarcare è quella di analizzare ogni singolo fatto in maniera concreta, rifuggendo sia da aprioristiche condanne della magistratura che da aprioristiche difese della stessa.
Grazie davvero a tutti Voi dell'attenzione e della pazienza.
Un caro saluto a "Mimma" e a tutti.
Felice Lima
Vittorio Grevi (Docente di diritto penale a Pavia) e notista del Corriere della Sera, oggi su questo giornale ha duramente attaccato il Gip Romazzi perché ha adottato un provvedimento cautelare, arresti domiciliari, e contestualmente cambiato il capo di imputazione, in assenza di una specifica richiesta in tal senzo come previsto dalla legge, da parte dell'Ufficio di Procura.
RispondiEliminaSiccome non mi fido tanto di Grevi, ci terrei a conoscere il vostro parere in merito.
bartolo
Per Bartolo.
RispondiEliminaGentile Bartolo,
l'osservazione tecnica del prof. Grevi mi appare fondata.
Scrivo "mi appare", perchè, purtroppo, non ho il tempo per leggere l'ordinanza della collega di Bari, per verificare con sicurezza se lei, come dice il prof. Grevi e come appare senza avere letto l'ordinanza, non si è limitata a mutare la qualificazione giuridica dello stesso fatto, ma ha anche mutato il fatto per il quale il P.M. procede.
La questione tecnica è di quelle complesse e l'ideale in casi del genere sarebbe tacere fino a quando non si è letto il provvedimento.
DovendoLe però una risposta sollecita e dovendoLa anche a "Mimma", che per prima oggi ha posto il problema del provvedimento in questione, devo dire che la critica del prof. Grevi mi appare, allo stato, tecnicamente fondata.
Un caro saluto.
Felice Lima