giovedì 28 febbraio 2008

Altre considerazioni tecniche sulla sentenza del C.S.M. nei confronti di Luigi De Magistris: il capo B)


Facendo seguito al post con il quale Felice Lima ha trattato la parte della motivazione della sentenza disciplinare nei confronti di Luigi De Magistris relativa al capo di incolpazione contraddistinto dalla lettera “E” (post che può essere letto a questo link), e al post con il quale Francesco Siciliano ha trattato il capo di incolpazione contraddistinto dalla lettera “C” (post che può essere letto a questo link) pubblichiamo uno scritto di Nicola Saracino che analizza la parte della sentenza relativa al capo di incolpazione contraddistinto dalla lettera “B”). Un altro scritto di Nicola, sul capo di incolpazione contraddistinto dalla lettera “G”, può essere letto a questo link.

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di Nicola Saracino
(Magistrato)



Mi occuperò del capo della sentenza disciplinare nei confronti di Luigi De Magistris relativo all’incolpazione contraddistinta dalla lettera B).

L’incolpazione è stata formulata nei seguenti termini testuali (l’intero atto di incolpazione può essere letto a questo link):

«B) della violazione degli artt. 1 e 2, 1° co. lett. a), g), e u) del D.Lgs. 109/2006 per avere, con grave e inescusabile negligenza, emesso, nell’ambito del procedimento penale n. 3750/0321-n. 444/05-21, denominato “Toghe lucane”, in data 5.6.2007, un decreto di perquisizione locale nei confronti del dr Vincenzo Tafano, Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Potenza, ed altri, eseguito il successivo 7.6.2007, connotato da gravi anomalie, quali l’evidente non pertinenza della motivazione (attestata altresì dal successivo annullamento del Tribunale del riesame con ordinanza in data 3.7.2007) nella parte in cui richiamava procedimenti penali sforniti di qualsivoglia attinenza ai reati ipotizzati, con conseguente illegittima diffusione dei relativi atti di indagine, e violazione del diritto alla riservatezza delle persone impropriamente nominate, tra le quali due magistrati del Tribunale di Potenza, che si ipotizzava avessero una relazione extraconiugale fatto, pur se eventualmente fondato, del tutto indifferente sia ai fini indiziari sia ai fini della motivazione dell’atto».

La difesa di Luigi De Magistris sul punto è stata la seguente (l’intera memoria difensiva può essere letta a questo link):

«In ordine alla contestazione di cui al capo B) evidenzio:

Infondatezza dell’addebito. Si tratta di decreto di perquisizione particolarmente motivato in cui tutti gli elementi ivi indicati rappresentavano i fatti allo stato da contestare agli indagati, nonché le fonti di prova poste alla base del provvedimento emesso. Decisi di effettuare una discovery ampia per consentire agli indagati di conoscere subito le contestazioni e le fonti di prova, per garantire loro di potersi difendere immediatamente in modo compiuto, così come rappresentai allo stesso Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Potenza al momento dell’esecuzione dell’atto da me curato personalmente unitamente alla polizia giudiziaria. Ricordo perfettamente che rappresentai al dr Tufano le ragioni dell’articolata motivazione sostenendo che si trattava degli elementi fino ad allora raccolti e che mi sembrava corretto consentire alle persone coinvolte, tenuto anche conto del ruolo istituzionale ricoperto, di difendersi punto per punto.

Nella mia esperienza professionale, non più breve, pensavo bisognasse eventualmente difendersi da addebiti con riferimento a provvedimenti privi di motivazione e non certo per atti con motivazioni troppo articolate. Certo ogni scelta è opinabile, criticabile, impugnabile nelle sedi giurisdizionali, forse in questo caso vi è stato uno zelo per esigenze di garanzie, ma non credo certo si tratti di un provvedimento abnorme.

Non mi risulta, contrariamente a quanto sostenuto dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione nell’atto di incolpazione, che il decreto di perquisizione nei confronti del dr Tufano sia stato annullato dal Tribunale del Riesame (ricordo solo a me stesso, comunque, che le perquisizioni non si annullano, semmai i sequestri effettuati a seguito delle perquisizioni: probabilmente si tratta di meri refusi in cui si sono imbattuti sia il Ministro della Giustizia che il Procuratore Generale della Corte di Cassazione).

Non è vero che non vi sia adeguata motivazione sulla pertinenza così come indicato nelle imputazioni formulate dall’Ispettorato del Ministero della Giustizia. Un’attenta e non superficiale lettura dell’atto fa evidenziare l’esatto contrario, si tratta di provvedimento motivato anche con riguardo alla pertinenzialità della motivazione e delle cose da ricercare. Sul punto è sufficiente ricordare, a mero titolo esemplificativo, a dimostrazione della correttezza dell’operato dell’Ufficio, che nel verbale analitico di sequestro espletato all’esito della perquisizione al dr. Tufano, alla sua costante presenza, sono stati indicati gli atti acquisiti con riferimento al decreto di perquisizione e nessuna obiezione è stata sostanzialmente evidenziata con riferimento alla pertinenza del materiale appreso. E’ sufficiente leggere il verbale di perquisizione e sequestro per rendersi conto del modo con cui hanno operato il PM e la Polizia Giudiziaria.

Con riferimento all’annullamento del Tribunale del Riesame si evidenzia che solo un indagato – l’avv. Labriola – ha presentato istanza di riesame e che, quindi, gli altri indagati hanno ritenuto di prestare acquiescenza al provvedimento e non sottolineare alcuna censura nella fase incidentale del procedimento penale. Non posso che rilevare che è nell’essenza stessa della “vita” del procedimento penale che un provvedimento possa essere annullato, confermato o riformato. Potrei dire che spesso la Corte di Cassazione ha accolto miei ricorsi contro decisioni del Tribunale del Riesame di Catanzaro (da ultimo il mio ricorso, proprio nel procedimento penale cd. toghe lucane, contro l’annullamento da parte del Tribunale del Riesame dei sequestri successivi alle perquisizioni, nei confronti degli indagati dr.ssa Genovese e dott. Cannizzaro), così come altre volte la stessa Suprema Corte ha respinto miei ricorsi: mi sembra assolutamente ovvio tutto questo.

Non corrisponde al vero la circostanza che vengono richiamati procedimenti penali sforniti di qualsivoglia attinenza ai reati ipotizzati (ogni elemento indicato nel decreto aveva ed ha una valenza indiziaria, salvo che gli organi disciplinari non vogliano sostituirsi al giudice naturale per legge, peraltro ad indagini in pieno svolgimento) e quindi, di conseguenza, alcuna illegittima diffusione di atti d’indagine vi è stata.

Non vi è stata violazione del diritto alla riservatezza in quanto quest’Ufficio ha ritenuto di inserire le dichiarazioni di Magistrati del distretto della Corte d’Appello di Potenza che hanno fatto propalazioni che, a loro dire, anche con riferimento alla indicata relazione extraconiugale, servivano a comprendere compiutamente la ricostruzione dei fatti-reato per cui si procedeva e l’andamento di alcuni processi. Non è questo il caso di pubblicazioni, ad esempio, di stralci di intercettazioni dal contenuto privato e personale che non sono di alcun rilievo penale, si tratta, invece, di dichiarazioni di un magistrato del Tribunale di Potenza che sono state da lui rilasciate, con assunzione di responsabilità, con riferimento a condotte criminali che quest’Ufficio stava ricostruendo, con particolare riguardo a rapporti tra magistrati ed esiti di processi penali».



La sentenza – che può essere letta integralmente a questo link – tratta la questione alle pagg. 14-19, nei seguenti termini testuali:

«Con riferimento al capo B)

- che in data 5.6.07 il dott. De Magistris ha emesso decreto di perquisizione locale nel procedimento n. 3750/03 relativo a V. Tufano, G. Labriola, L. Fasano, F. Bubbico ed altri (cfr. doc. pag. 3262 faldone fascicolo generale proc.to n.10/07 R.O.);

- che il Tufano risulta indagato in ordine al reato di cui agli artt.110-323 c.p. mentre il Labriola in ordine ai reati di cui agli artt. 319 ter-321-416 c.p. (cfr. pag. 1 del decreto);

- che nella parte iniziale del provvedimento si premette che la procura della Repubblica di Catanzaro sta svolgendo indagini su un sodalizio in grado di condizionare l’attività delle istituzioni attraverso la collusione di intranei alle stesse (magistratura, forze dell’ordine, amministrazioni locali e ministeri);

- che il provvedimento prosegue quanto al Tufano rappresentando che egli appare essere “il punto di riferimento di taluni avvocati e magistrati al fine di esercitare le proprie funzioni per danneggiare altri magistrati ed altri avvocati che, nell’ambito delle loro funzioni si sono trovati ad avere a che fare con i “poteri forti” operanti in modo anche occulto in Basilicata”; quanto al Labriola che lo stesso è in grado attraverso radicate collusioni all’interno della magistratura di influire sull’andamento di procedimenti giudiziari, perseguendo interessi affaristici ed occulti (cfr. pag. 2);

- che nella parte relativa agli elementi emersi nei confronti del Tufano (cfr. pag. 2 e ss.) sono riportate le dichiarazioni rese dal dott. A. Iannuzzi, g.i.p. del tribunale di Potenza nell’audizione del 30.3.07 ed in un esposto depositato il 12.5.07;

- che nelle predette dichiarazioni il dott. Iannuzzi riferisce di un accanimento nei suoi confronti del procuratore generale Tufano, autore di rilievi ingiustificati nei confronti del suo modo (ma anche di quello di altri) di esercitare la funzione giurisdizionale (sempre in relazione a vicende giudiziarie contraddistinte dal coinvolgimento di personalità di rilievo) ma inerte rispetto ad altri fatti ritenuti ben più gravi (cfr. pagg. 8-18);

- che con specifico riguardo alla parte dell’incolpazione relativa ad una relazione extraconiugale tra magistrati, nel decreto si riporta una affermazione in cui, il dott. Iannuzzi, premesso che “al dott. Tufano sembra essere sfuggita un’altra circostanza” riferisce, premettendo ancora, sia pure come “condizionale d’obbligo”, un “sembra”, di una relazione sentimentale intercorrente tra un giudice ed una pubblico ministero di Potenza impegnati nello stesso processo ed indicati nominativamente;

- che la circostanza appare riferita in quanto ritenuta indicativa della non equanimità del procuratore generale “particolarmente attivo e solerte nel segnalare presunte violazioni” del detto g.i.p., ma non altrettanto pronto ad evidenziare un altro fatto grave in quanto idoneo a compromettere l’immagine di chi esercita la funzione giurisdizionale, che deve essere caratterizzata da terzietà ed indipendenza;

- che il decreto prosegue con la indicazione degli elementi di riscontro alle dichiarazioni del dott. Iannuzzi (cfr. pagg. 18 e ss.);

- che tra i predetti elementi non se ne indicano di relativi alla citata relazione sentimentale ed alla conoscenza della medesima da parte del procuratore generale (né alla loro eventuale esistenza si fa cenno nella memoria difensiva); che il giudice asseritamente coinvolto nella relazione sentimentale, con missiva del 3.7.07 diretta al CSM ha negato (cfr foglio 2797 faldone n. 3-4 proc. n. 10/07 R.O.) di aver avuto alcuna relazione sentimentale con la collega pubblico ministero, nonchè chiarito e documentato (cfr successivo foglio 2940 relativo a missiva diretta al presidente del tribunale di Potenza recante timbro del 7.2.07) di aver ricevuto a gennaio 2007 una lettera anonima del seguente tenore “si prega astenersi altrimenti foto e registrazioni con dott.ssa (segue cognome). Proc. Basilischi grazie” e di averla trasmessa al presidente del tribunale rappresentandogli la sua assoluta serenità, rimettendo a lui comunque ogni decisione e chiedendo la trasmissione dell’anonimo alla procura della Repubblica di Catanzaro;

- che sia il giudice sia la pubblico ministero hanno rappresentato il (intuibile) nocumento subito a livello sia personale sia professionale, dalle dichiarazioni del dott. Iannuzzi e dalla loro diffusione (cfr la memoria-esposto del giudice riportata a pag. 155 e ss. della relazione ispettiva del 8.9.07 nonché la richiesta del 23.7.07 di apertura pratica a tutela della pubblico ministero a foglio 5251 faldone n. 6 proc. n. 10/07 R.O.);

- che ancora, con specifico riferimento alla parte di incolpazione inerente all’avvenuto richiamo di “procedimenti penali sforniti di ... attinenza ai reati ipotizzati”, con conseguente impropria indicazione di persone, dalla lettura del decreto è facile individuare la circostanza, richiamata anche dal procuratore generale nella sua requisitoria, relativa alle dichiarazioni del tenente colonnello dei Carabinieri S.P. (cfr pagg. 107 e ss.); che infatti nel decreto sono riportate le dichiarazioni rese dall’ufficiale relative ad indagini svolte nel 1994/95 con riguardo ad “orge che a suo dire (della collaboratrice M.T.B.) si sarebbero svolte a Policoro”; dichiarazioni nelle quali si fa espressamente il nome, quali persone che erano state indicate come partecipi, del Labriola e di un altro avvocato (anch’egli parte del procedimento penale come chiarito nell’arringa difensiva) nonché di un magistrato che “parve ... essere descritto e riconoscibile” anch’egli indicato nominativamente e parte nel procedimento (cfr pag. 14 della relazione della procura di Salerno a foglio 244 del faldone n. 1 da cui risulta l’iscrizione nel registro notizie di reato lo stesso 5 giugno 2007);

- che nel rendere le dette dichiarazioni l’ufficiale rappresenta che le indagini relative al magistrato, all’avvocato ed al Labriola, andarono a Salerno (pag. 111) che “... concluse archiviando questo procedimento in quanto, sempre che io ricordi, non emergevano ipotesi di reato perché fare orge non è reato, consumare droga non è reato” (pag. 109);

- che ancora il predetto, che pur dà conto degli esiti di alcune attività di indagine da lui poste in essere “limitate perché chiaramente non potendo indagare sui professionisti citati”, si esprime in termini dubitativi sui fatti: “... se erano vere queste orge ...”, “... posso dare una spiegazione, un motivo per cui sparirono tutte quante queste videocassette, se c’erano” (cfr pagg. 109-110);

- che il decreto prosegue riportando le dichiarazioni rese all’epoca dalla M.T.B. e relative anche a fatti di evidente rilevanza penale, quelle del suo convivente collaboratore di giustizia (che parla di quello che la donna gli ha riferito) nonché quelle rilasciate al P.M. il 11.5.07 da S.S, detenuto a Melfi, che dichiara (laconicamente): “E’ vero quanto ha raccontato la M.T.B.” per averlo saputo da terza persona;

- che nella detta memoria l’interessato ha rappresentato in sintesi

a) che si tratta di un provvedimento particolarmente motivato in cui tutti gli elementi indicati, oltre a rappresentare i fatti allo stato da contestare nonché le fonti di prova, hanno una valenza indiziaria

b) che ha deciso di effettuare una discovery ampia per consentire agli indagati di conoscere subito le contestazioni e le fonti di prova per garantire loro la difesa

c) che pensava di doversi eventualmente difendere da addebiti riferiti a provvedimenti privi di motivazione e non certo per atti con motivazioni troppo articolate

d) che non vi era stata violazione del diritto alla riservatezza essendosi ritenuto di inserire le dichiarazioni di magistrati che avevano fatto propalazioni che, a loro dire, anche con riferimento alla indicata relazione extraconiugale, servivano a comprendere la ricostruzione dei fatti-reato per cui si procedeva;

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che l’art. 1 del vigente decreto legislativo 23.2.06 n. 109 sancisce che il magistrato esercita le funzioni con imparzialità, correttezza, diligenza, riserbo ed equilibrio, rispettando la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni; che il successivo art. 2 prevede come illecito disciplinare i comportamenti che violando gli indicati doveri, arrechino ingiusto danno ad una delle parti; che nella vigenza dell’abrogato art. 18 R.D.L.vo 31.5.46 n. 511 questo giudice ha avuto ripetutamente modo di occuparsi del problema della sindacabilità disciplinare del provvedimento giurisdizionale;

- che secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale se il principio di indipendenza della magistratura sancito dagli artt. 101 e 104 della Costituzione esclude la sindacabilità degli atti posti in essere dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni – motivo per cui l’inesattezza tecnico-giuridica del provvedimento giudiziario, censurabile con i mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento, non può di per sé costituire illecito disciplinare – tuttavia detta insindacabilità viene meno qualora il provvedimento per scarso impegno, approssimazione, insufficiente ponderazione, limitata diligenza ovvero per una determinazione arbitraria in quanto determinata da dolo o colpa grave, risulti al di fuori delle finalità che gli sono proprie;

- che con più specifico riguardo al caso di specie la giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione civile, sezioni unite, 27.5.99 n. 318) ha avuto modo di chiarire che:

a) i provvedimenti giudiziari possono richiedere l’indicazione di fatti relativi a soggetti che possono risultare danneggiati dalla diffusione di notizie lesive della riservatezza o dell’onore; diffusione tuttavia lecita ove necessaria per la redazione del provvedimento e per l’esplicazione del potere giurisdizionale

b) la valutazione circa la necessità o meno dell’indicazione di un fatto costituisce oggetto di un giudizio che può essere compiuto solo dal magistrato che emette il provvedimento e non può essere sindacato in sede disciplinare

c) l’insindacabilità viene però meno ove il provvedimento sia basato su una grave o inescusabile negligenza; in questo caso oggetto della censura non è il provvedimento quale risultato dell’attività intellettiva bensì il comportamento del magistrato che nell’adottarlo dia prova di trascuratezza e non esplichi la massima diligenza;

- che dunque il sindacato disciplinare non deve riguardare la scelta del dott. De Magistris di riportare le circostanze descritte in premessa, ma resta da vagliare se egli abbia prima usato la necessaria diligenza nei relativi accertamenti; che a tal proposito è indubbio che, quanto più elevata è la capacità lesiva dell’onore e della riservatezza di un fatto, maggiore deve essere la diligenza esplicata nella sua verifica;

- che con riguardo alla circostanza della “relazione sentimentale”, va rilevato che essa è riportata a livello di “sentito dire” e che dal provvedimento non risultano posti in essere ulteriori accertamenti; che detta circostanza si presentava in tutta evidenza gravemente lesiva della riservatezza dei due interessati (a livello sia delle relazioni interpersonali di ciascuno di essi sia della dignità professionale);

- che anche con riguardo alla dichiarazione, che sembrerebbe potersi definire “retorico-dubitativa”, circa la conoscenza o meno da parte del dott. Tufano della relazione sentimentale, dal decreto non risulta siano state poste in essere verifiche;

- che tuttavia anch’essa era evidentemente lesiva della dignità e dell’onore del procuratore generale Tufano;

- che infatti o lo stesso non vedeva quello che era evidente (circostanza tutt’altro che commendevole per l’autorità distrettuale requirente di vigilanza) oppure, ancorché vedesse, lasciava correre un fatto lesivo dell’immagine della magistratura;

- che proprio detta capacità lesiva avrebbe dovuto indurre il dott. De Magistris alla massima diligenza nell’effettuare ulteriori accertamenti al fine di ridurre al minimo il rischio di errore nella divulgazione del dato e nella valutazione della sua utilità ai fini motivazionali (dandone poi conto nel provvedimento unitamente alle ragioni delle sue, insindacabili, scelte);

- che se questo fosse avvenuto il predetto avrebbe potuto sia riportare sia vagliare il fatto che il giudice in questione aveva ricevuto un anonimo ricattatorio e di ciò aveva reso edotto il presidente del tribunale con missiva avente data certa anteriore alle dichiarazioni del dott. Iannuzzi e con la quale si chiedeva di informare la competente procura della Repubblica (con conseguente possibilità di una più completa lettura sia delle “notizie” circa la relazione sia dell’adombrato connivente silenzio del procuratore generale);

- che dunque il dott. De Magistris ha riportato nel decreto di perquisizione le affermazioni in questione, lesive della dignità, dell’onore e del decoro delle persone senza porre in essere (o almeno senza darne conto) gli accertamenti necessari;

- che in tal modo lo stesso è venuto meno ai doveri di cui al citato art. 1;

- che tale mancanza ha arrecato danno al dott. Tufano, in quanto la circostanza riferita ha gettato sul predetto discredito con riguardo all’esercizio dei compiti di vigilanza di sua precipua spettanza ed, evidentemente grave, danno ai due magistrati indicati come “sentimentalmente uniti”;

- che ancora il danno arrecato sia al procuratore generale sia agli altri due magistrati appare ingiusto;

- che esso infatti sarebbe stato giustificato se, una volta compiuto un accertamento del fatto caratterizzato da adeguata diligenza, il dott. De Magistris, dandone conto, lo avesse giudicato tale da integrare, sia pure unitamente ad altri elementi, il “fondato motivo di ritenere” che l’art. 247 cp.p. indica come presupposto della perquisizione (a differenza dell’art.332 del codice abrogato che utilizzava il verbo “sospettare”);

- che diversamente la sommarietà dell’accertamento e così la violazione del dovere di diligenza – inescusabile in considerazione del rilievo che le affermazioni evidentemente assumevano per tutte le persone coinvolte – incidendo sulla possibilità di vagliare adeguatamente quanto rappresentato, ne rende ingiustificato il richiamo ed ingiusto il danno che ne è conseguito; che tuttavia va rilevato che la disposizione incriminatrice di cui alla letta) dell’art. 2 comma 1 del decreto legislativo n. 109 del 2006 sanziona espressamente solo i comportamenti nei confronti di una delle parti; che dunque, ancorché la limitazione appaia di difficile comprensione (meritando i terzi tutela almeno al pari delle parti) il danno arrecato ai due magistrati non assume rilevanza disciplinare;

- che così per tale parte del decreto l’incolpato va ritenuto responsabile della violazione di cui all’art. 2 comma 1 letta) limitatamente alla persona del dott. Tufano;

- che con riguardo alla seconda delle circostanze richiamate in premessa va rilevato che il dott. De Magistris ha ritenuto di riportare dichiarazioni relative al coinvolgimento di persone in fatti risalenti ad oltre dieci anni fa, omettendo (o perlomeno non dandone conto nella motivazione del provvedimento) accertamenti sull’archiviazione segnalatagli;

- che poiché nelle dichiarazioni rese da M.T.B. la partecipazione a “feste” era evidentemente connessa al compimento di reati, la notizia di un’archiviazione – attesi l’epoca delle originarie dichiarazioni, il carattere prudentemente dubitativo delle dichiarazioni dell’ufficiale dei carabinieri e quello “de relato” delle affermazioni del detenuto, la competenza di autorità giudiziaria del tutto estranea alle vicende – avrebbe imposto il vaglio delle relative risultanze (quanto meno per verificarne la loro insoddisfacente capacità persuasiva in relazione alle informazioni acquisite dall’ufficiale e dal detenuto);

- che dunque anche in questo caso l’interessato ha riportato dichiarazioni da cui sarebbe chiaramente derivata la lesione dell’immagine di più persone, senza porre in essere (o almeno senza darne conto) tutti gli accertamenti possibili che la peculiarità del caso rendeva necessari;

- che in questo modo lo stesso è venuto meno ai doveri indicati nell’art. 1 del decreto legislativo n. 109 del 2006 incorrendo nei confronti delle parti indicate, per lo stesso ordine di considerazioni già sviluppate, nella medesima violazione;

- che infine, con riguardo alle spiegazioni fornite, oltre a quanto osservato finora, va rilevato che esse non sono dotate di valenza giustificatrice; che infatti per un verso appare non conforme al nostro sistema processuale affidare alla perquisizione, mezzo di ricerca della prova caratterizzato dalla sorpresa e destinato a divulgazione (nel caso di specie prevedibilmente molto ampia) prima che l’interessato possa rappresentare le proprie ragioni, la finalità di discovery a fini di difesa; per un altro il sindacato sulla rilevanza disciplinare della condotta del magistrato che abbia adottato un provvedimento va effettuato, nei limiti consentiti, non con riguardo al minore o maggiore “pondus” di quest’ultimo, bensì al rispetto da parte sua dei doveri, in primis quello di diligenza, indicati dalla legge».


Tre sono le fattispecie disciplinari contestate dalla Procura Generale; si tratta, in particolare, di quelle previste dalle lettere a), g), ed u) dell’art. 2 del D. L.vo n. 109 del 2006 che si riportano per comodità di lettura.

Illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni.

1. Costituiscono illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni:

a) fatto salvo quanto previsto dalle lettere b) e c), i comportamenti che, violando i doveri di cui all’articolo 1, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti;


g) la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile;


u) la divulgazione, anche dipendente da negligenza, di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente diritti altrui;


Di seguito le maggiori perplessità suscitate dalla lettura della motivazione del relativo capo di condanna della sentenza emessa dalla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura.


Con riferimento all’art. 2 lett. a)

L’accusa aveva congetturato il danno alla riservatezza di persone impropriamente nominate nel decreto di perquisizione riferendosi ai due magistrati tra i quali s’era ipotizzata una relazione sentimentale, soggetti che, tuttavia, non erano “parte” nel procedimento istruito dal dott. De Magistris; la condanna, inopinatamente, è intervenuta per il danno arrecato ad altra persona, non specificamente indicata dall’accusa, vale a dire il Procuratore generale di Potenza, che sarebbe stato indebitamente esposto al discredito dato dall’insinuazione di essere venuto meno ai propri doveri di vigilanza per non aver prestato attenzione alla (ipotetica) relazione amorosa di due magistrati (Pm e Giudice) che avevano svolto le loro funzioni in uno stesso processo.

Pur volendo omettere il giudizio sulla scarsa plausibilità di tale “discredito”, nel contesto di un procedimento penale che vedeva il P.G. di Potenza accusato di addebiti ben più gravi, l’“aggiustamento” del tiro operato dalla Sezione disciplinare dipende dalla presa d’atto (non esente da recriminazioni) che il discredito arrecato a terzi proprio non rientra nella norma incriminatrice invocata dall’accusa; tuttavia tale adattamento dei fatti presta il fianco al rilievo di cui s’è detto, potendo paragonarsi quanto verificatosi all’ipotesi dell’imputato tratto a giudizio per rispondere del delitto di diffamazione in danno di Tizio e condannato, invece, per diffamazione in danno di Caio.

Solo rimarcando che la tipizzazione dell’illecito disciplinare, unitamente alla previsione dell’obbligatorietà dell’esercizio della relativa azione, impongono una rigorosa applicazione del principio di contestazione dell’addebito – funzionale all’esercizio del diritto di difesa e rispettosa della separazione delle funzioni dell’accusa da quelle giudicanti – diviene agevole cogliere il vizio processuale della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 521 c.p.p.).


Con riferimento all’art. 2, lett. G)
( la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile)

La sentenza evita accuratamente di indicare la norma di legge violata in relazione alla quale valutare la “gravità” della trasgressione e la sua origine da “ignoranza” o “negligenza inescusabile”; si limita, invece, alla generica allegazione del dovere di diligenza di cui all’art. 1 del d. lgs. n. 109 del 2006.

Tale ultima disposizione, tuttavia, è priva di contenuto autonomo (se non ci fosse nulla cambierebbe nel mondo giuridico) e ripete il precetto da fonti normative diverse dal codice disciplinare: affermare, com’è stato fatto, che è stato violato l’art. 1, senza indicare la diversa norma trasgredita, costituisce artificio logico sintattico di nessun significato.

Del resto se il riferimento implicito riguardasse la motivazione “non pertinente” o “sovrabbondante”, dovrebbe obiettarsi che tali patologie sfuggono alla catalogazione dei vizi della motivazione posta dall’art. 606 lett. e) c.p.p., che vi include soltanto la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità.


Con riferimento all’art. 2 lett. U)
(la divulgazione, anche dipendente da negligenza, di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente diritti altrui)

Questa figura di illecito disciplinare colpisce, alternativamente:

a) la “divulgazione”, anche colposa, di atti coperti dal segreto o dei quali, sebbene non segreti, sia in ogni caso vietata la pubblicazione;

b) la violazione del dovere di riservatezza sugli affari trattati quando possa ledere, indebitamente, diritti altrui.


Se si eccettua il riferimento all’anticipazione della c.d. discovery, che il giudice disciplinare reputa impropria, nessun cenno si coglie all’art. 2, co. 1 lett. U), e in questa parte la sentenza sembra affetta da totale mancanza di motivazione ex art. 606, lett. e) c.p.p..

Col termine discovery, mutuato dal gergo anglosassone, si designa il momento nel quale la conoscenza delle carte processuali, di formazione unilaterale, è consentita alla controparte.

Alla discovery non è associata la generale conoscibilità degli atti d’indagine, tanto è vero che la loro pubblicazione è vietata e punita sino alla conclusione del dibattimento d’appello (art. 114 c.p.p.).

La non coincidenza dei due concetti non autorizza, pertanto, ad affermare che una discovery anticipata implichi anche divulgazione degli atti “disvelati” all’indagato.


E’ utile, comunque, sapere che la legge disciplina solo il tempo nel quale la discovery (totale o parziale) è imposta; il tempo nel quale essa è consentita è, invece, lasciato alla discrezionalità dell’inquirente, nulla impedendogli di sottoporre l’indagato ad interrogatorio sin dall’inizio delle indagini e quindi contestargli gli elementi esistenti contro di lui (art. 65, 1° comma, c.p.p.).


Diversa dalla discovery è la “pubblicazione” dell’atto, in quanto quest’ultima ne determina la conoscibilità generale, non limitandola alla persona sottoposta alle indagini.

L’art. 329, comma 2, c.p.p. stabilisce, al riguardo, che «Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può, in deroga a quanto previsto dall’articolo 114, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. In tal caso, gli atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del pubblico ministero».

Se, in forza della disposizione citata, può disporsi la pubblicazione degli atti, a maggior ragione è consentita la pubblicazione del loro contenuto quando ciò si riveli utile allo scopo.

Nella vicenda concretamente rimessa al giudizio della Sezione disciplinare, tuttavia, si nasconde un equivoco di non poco conto.

Infatti non è stata disposta dal dott. De Magistris alcuna “pubblicazione” di atti segreti o dei quali era vietata la pubblicazione, né vi è stata “divulgazione” degli stessi ad opera del magistrato; si registra soltanto l’indicazione del contenuto di tali atti in un provvedimento giudiziario (decreto di perquisizione) che pur dovendo portarsi a conoscenza dell’indagato non è, solo per questo, destinato ad essere divulgato, come invece sorprendentemente affermato dal Giudice disciplinare.

La condotta disciplinarmente punibile esige che la divulgazione, anche colposa, sia opera diretta del magistrato e che la stessa riguardi (non già il loro contenuto ma) proprio gli “atti coperti dal segreto o dei quali sia vietata la pubblicazione”.

La distinzione tra pubblicazione dell’atto e pubblicazione del suo contenuto è talmente nota alla giurisprudenza che risulta imbarazzante dilungarsi sullo specifico punto.

Per giustificare la condanna non è invocabile neppure lo schema alternativo nel quale si manifesta l’illecito della lett. U), vale a dire quello della violazione del dovere di riservatezza; questa disposizione, all’evidenza, non riguarda il compimento di specifici atti processuali, ma serve a reprimere l’indebita propalazione a persone che non devono esserne informate di fatti dei quali il magistrato sia venuto a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni, siano essi, oppure no, destinati a rimanere segreti.


5 commenti:

Anonimo ha detto...

Se fossi uno dei due presunti amanti, oggetto dell'incolpazione addebitata a de Magistris che gli ha comportato la relativa condanna, pretenderei la stessa sanzione per tutti coloro che riprendendo quella circostanza mi avrebbero sputtanato molto di più di quello che il dottor de Magistris ha ritenuto di scrivere su un atto giudiziario senza alcuna intenzione di dolo.
bartolo iamonte

salvatore d'urso ha detto...

Cosa accadrà invece se la sentenza sarà bocciata dalla cassazione?

Inoltre vorrei porre una domanda fuori tema alla redazione o a chi ha la possibilità di farlo in base alle sue conoscenze professionali in materia.

Se un cittadino che decide di andare a votare, dopo aver preso in consegna le schede elettorali decide di non andare nella cabina per procedere al voto ma di strappare la scheda elettorale davanti all'urna e poi infilare nell'urna tale scheda strappata commette un reato? Tale reato è perseguibile e con quali conseguenze?

Anonimo ha detto...

la legge prevede che il voto debba essere espresso in maniera segreta, credo, quindi, che nel segreto dell'urna si possa fare

salvatore d'urso ha detto...

si ok il voto è segreto...

ma se lo si fa pubblicamente cosa succede? è reato? o è comunque libera espressione di voto?

"Uguale per tutti" ha detto...

Per Trarco Mavaglio.

Gentile Lettore,

non avendo un Suo recapito al quale scriverLe, ci scusiamo qui con Lei per non avere pubblicato un Suo apprezzato commento, interessante e pertinente.

Abbiamo ritenuto, però, di non pubblicarlo, perchè è in corso la campagna elettorale e in quel commento si parla di alcuni candidati.

La cosa in sé a noi sembra del tutto legittima e anche utile, ma, in questi tempi confusi, vogliamo evitare che ci si accusi di essere schierati politicamente in un modo o in un altro e dunque rinunciamo a quello che sarebbe un nostro diritto - parlare anche di politica - per non prestarci a critiche strumentali.

Confidiamo nella pazienza e comprensione Sua e dei tutti i Lettori.

Ci teniamo a pregarVi di non autocensurarVi, perchè non vogliamo perdere alcun tipo di contributo, ma di comprendere le esigenze che abbiamo cercato di esporre in questo commento.

Un caro saluto.

La Redazione