sabato 7 giugno 2008

Il Congresso dell'Associazione Nazionale Magistrati


di Stefano Racheli
(Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma)



Si è appena celebrato (anzi si sta ancora celebrando) il Congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati e si impongono – credo – alcune serie considerazioni che non vogliono assolutamente essere irriverenti verso ciò che l’ANM significa o dovrebbe significare; al contrario intendono essere un convinto contributo a quel (necessario!) cambiamento di rotta che da anni inutilmente in molti auspicano.

La prima cosa che salta agli occhi è la scarsa partecipazione di popolo, la quale, in tempi così difficili per la giustizia (starei per dire: procellosi), non può non incuriosire e, perché no?, inquietare.

Come mai, pur essendo la giustizia una piaga aperta della Repubblica, non ci sono frotte di persone che accorrono là dove di giustizia si parla?

Eppure sono in tanti – politici, imprenditori, quivis de populo e via dicendo – a dire che senza giustizia efficiente non si può avere uno Stato efficiente e neppure un’economia efficiente.

Sono dunque tutte chiacchiere ipocrite che mascherano un sostanziale disinteresse?

A mio modesto avviso, la risposta al quesito è, nella sua semplicità, brutale: in molti, anzi in moltissimi, sono interessati ai problemi della giustizia.

Chi non appare interessato ai detti problemi sono i convegni dei vari “addetti ai lavori” i quali, per l’appunto, si celebrano: vale a dire parlano dei mali della giustizia, partendo sempre da un postulato indefettibile: tutti c’entrano con questi mali tranne gli autocelebranti.

Capita così – indefettibilmente – che si proclami che:

- ci sia un nemico o un grave pericolo alle porte (nella specie Superprocura anti-spazzatura e Clandestini);

- gli autocelebranti non abbiano colpa alcuna nel dissesto del sistema cui partecipano, ma, al contrario siano pieni di meriti e santità (anche se nella realtà i santi sono sempre pochissimi e, vedi caso, sempre martirizzati nell’indifferenza del popolo autocelebrante);

- i guai capitino solo per colpe “esterne” e non per colpe “interne”.

Ne consegue una stracca celebrazione liturgica, in cui tutti gli strali sono puntati all’esterno.

Di più: tutto è prevedibile nei discorsi, tanto che li si potrebbe scrivere il giorno prima; tutto è generico dato che, come è noto, generalia non sunt appiccicatoria; tutto è volutamente nebuloso in modo da eludere tutti i problemi reali e concreti (talora assi gravi), specialmente quelli la cui soluzione è alla portata degli autocelebranti.

Si finisce così per parlare del niente, per chiamare alle armi gli “appartenenti”, per ignorare ciò che si dovrebbe fare in nome di ciò che debbono fare gli altri.

Nella specie sembrerebbe ai più che all’orizzonte si affaccino – per la magistratura – nere nuvole temporalesche non già per effetto dei clandestini e tanto meno per la Superprocura (anche se, certamente, si tratta di problemi seri e non certo bagatellari), quanto per effetto degli ultimi accadimenti giudiziari salernitani i quali, per un verso o per l’altro, chiamano in causa competenze specifiche (esercitate o esercitande) degli autocelebranti.

Certo, i media non disprezzano lo scontro (anche se di ridottissime dimensioni) tra magistratura e politica (il ring fa sempre richiamo), ma è robetta che non interessa più di tanto, tant’è che a bordo ring ci sono ben pochi spettatori.

E, quel che è peggio, ancor meno sono i cittadini interessati alle future mosse della magistratura, visto che tanto il “nemico” quanto il “grave pericolo” sono fuori dal suo raggio di azione.

Forse sarebbe stato opportuno parlare di problemi “interni” (che poi sono “esternissimi”, dato che ricadono pesantemente sulla collettività) prospettando accertamenti e linee di azione realmente possibili.

La politica ha per oggetto ciò che dipende dalle proprie azioni.

Oggi tutti parlano di ciò che dovrebbero fare gli altri e nessuno fa ciò che dovrebbe fare lui.

Chi parla continuamente di quello che devono fare gli altri, rinunzia a fare politica e non si meravigli del disinteresse che gli riservano coloro che amano la politica, quella vera, quella che nasce da quei valori profondi e radicati che fanno dire a Tucidide: “Un uomo che non si interessa dello Stato non lo consideriamo innocuo, ma inutile”.

Il dott. De Magistris – tanto per parlare di uno solo degli argomenti che nessuno ha messo all’ordine del giorno, anche se sul punto dies interpellat pro homine – è stato crocefisso (e con lui una serie di speranze e aspettative, se è vero solo un millesimo di quanto ci riferisce Carlo Vulpio nel suo “Roba Nostra”) e tutti, a torto o a ragione, si sono sentiti in dovere di parlare e straparlare.

Oggi che qualcuno, a torto o ragione, toglie o sembra togliere i chiodi dalle sue mani, tutti tacciono.

E tacciono su tutto ciò che, a torto o a ragione, si afferma, si insinua, si accusa, si calunnia, si dimostra, si mormora (scegliete voi il verbo che vi aggrada) ci fosse dietro quella crocifissione.

Si tace sulle complicità, sugli interessi, sui fatti, sulle manchevolezza, sulle inerzie che – con precise prove, senza prova alcuna, mentendo, con spirito civico, con ignobili menzogne, per amore di verità: ancora una volta, scegliete voi – si affermano esistere all’interno del corpus autocelebrante.

E ci venite a parlare di clandestini e di pericoli per la magistratura?

E vi meravigliate se, a bordo ring, vi ritrovate in quindici persone?

Come diceva la buonanima di Antonio de Curtis, ma ci faccia il piacere!



2 commenti:

Anonimo ha detto...

Confesso che leggere questo intervento ha comportato per me una piccola difficoltà. Dovuta al pre-giudizio che l'autore del'articolo,pro-venisse da quella Procura additata solamente, come "procura delle nebbie".Poi,andando avanti con l'articolo, un cambiamento si è imposto: da un atteggiamento di sospetto sono passata a quello del riconoscimento di una persona libera e (sicuramente) corretta.Una piacevole sorpresa se penso alle chiusure e rigidità di quelle formazioni(le associazioni dei magistrati, il Csm, le procure stesse).Ci sono nelle parole del dott.Racheli,elementi che fanno sperare per un futuro di cambiamento,laddove, l'orizzonte è apparso(finora)molto cupo. Chissà, il coraggio oggi,passa per il nominare le cose con la precisa volontà di metterle in discussione.
Una rivoluzione pacifica:la necessità dell'etica.Una priorità assoluta per coloro che sono convinti che certi luoghi,appaiono come luoghi ingiusti e non democratici.

un saluto

Lia G.

Anonimo ha detto...

Grazie per l'analisi approfondita Dr. Racheli. Pare che nemmeno il "Consiglio dei Saggi" riesca a sfuggire alle logiche di autoreferenzialità e autocompiacimento comuni ad altri consessi umani, ancorchè meno nobili, di cui ho l'onore e l'onere di far parte. Ma... una domanda mi sorge spontanea: se chi ha ancora la capacità e la forza di cantare fuori dal coro esce dal coro stesso, seppur a malincuore, come si potrà ricomporre la sinfonia? Le voci diverse aiutano ad avvicinarsi quanto più possibile alla verità, mai defitivamente raggiunta e sempre da ricercare... ma se la sinfonia diventa monotona melodia... e se la magistratura proclama a una sola voce l'unica "verità" che ritiene di aver trovato... a che serve? A CHI SERVE?