martedì 19 febbraio 2008

Perché l’Italia non è un paese democratico


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di Felice Lima
(Giudice del Tribunale di Catania)




L’ennesimo fatto inquietante, accolto dal Paese senza adeguate reazioni – la censura della trasmissione Annozero da parte di una Autorità garante che non garantisce ciò che dovrebbe –, riporta sotto gli occhi di tutti il gravissimo deficit di democrazia che c’è in Itala.

C’è nella cultura diffusa del nostro Paese un colossale equivoco, frutto, peraltro, di una propaganda mistificatoria perseguita con costanza dai tanti che vi hanno interesse, per il quale si crede che la democrazia sia solo un luogo nel quale i cittadini scelgono mediante elezioni chi li governa.

Riducendo a questo la democrazia, ogni volta che qualcuno avanza dubbi sul fatto che l’Italia sia un paese democratico gli si sbatte in faccia a muso duro come sia sotto gli occhi di tutti che i governanti vengono scelti mediante libere elezioni. E si chiude la discussione. Spesso anche con aggiunta di contumelie basate su quelle che sembrano sussiegose disquisizioni sui danni dell’“antipolitica” ma sono in realtà stupidissime banalità e avvilenti luoghi comuni.

A tale assunto vanno opposte, però, due obiezioni.

Una, per così dire circostanziale, consistente nell’osservare che, per un verso, i cittadini elettori non possono votare per chiunque, ma solo per coloro che vengono candidati da quei centri di potere che sono i partiti e che, per altro verso, al momento vige in Italia una legge elettorale che addirittura non consente agli elettori neppure di esprimere un voto di preferenza. Sicché non solo possiamo votare solo per quelli che ci vengono indicati dai partiti, ma neppure fra quelli possiamo scegliere chi ci piace.

In sostanza, oggi, nel nostro Paese sono i responsabili dei partiti a decidere prima delle elezioni chi andrà Parlamento, assegnandogli un posto piuttosto che un altro nelle liste e nei collegi.

La seconda obiezione, per così dire strutturale, consistente nell’osservare che la democrazia non è essenzialmente un “metodo di scelta del governante”, ma prevalentemente un “metodo di esercizio del potere” e un “sistema di relazioni fra i consociati”.

Proverò a sviluppare queste tesi, perché, a mio modesto parere, solo se riconoscerà questo sarà possibile, per un verso, capire quanto grave sia la malattia della quale stiamo morendo e, per altro verso, quali siano le cure possibili per essa.

Partendo dalla questione della scelta del governante, sembra chiaro che, se si dovesse scegliere fra vivere in un Paese nel quale il capo del governo viene scelto dai cittadini con libere elezioni, ma poi governa come dice lui, facendosi le leggi che gli servono e abrogando quelle che non gli convengono (pensate a Berlusconi assolto qualche settimana fa perché, nel corso del suo processo, il Parlamento ha deciso che il falso in bilancio non è più reato), o in un Paese nel quale governa un re incoronato per successione dinastica, che, però, governa nel rispetto di regole precise, ritenendosi anch’egli soggetto alle leggi che si applicano a tutti gli altri cittadini, ognuno sceglierebbe il secondo Paese, perché esso sarebbe certamente “più democratico” del primo.

Dunque, è certo che neppure in un Paese più decente del nostro, nel quale i cittadini possano esprimere un voto di preferenza, il solo fatto che i governanti vengano fatti risultare da un qualche tipo (anche taroccato come il nostro) di “libera elezione” è sufficiente a dire che quel Paese è “democratico”.

La democrazia, dicevo, è, infatti e fondamentalmente, un metodo di esercizio del potere.

L’elenco delle caratteristiche che deve avere un metodo di esercizio del potere per potersi definire democratico è lungo, ma, per brevità, mi limiterò al principio della separazione dei poteri figlio della rivoluzione francese.

Riducendolo all’osso, l’idea è che un gruppo di persone fa le leggi (il potere legislativo), altri le applicano (l’esecutivo, il governo), altri ancora (i giudici) controllano che la legge venga rispettata da tutti.

Riducendo ancora di più, l’idea è che tutti sono soggetti alla legge e che “la legge è uguale per tutti”.

Ai tempi dei faraoni, la legge era solo la manifestazione della volontà del faraone.

La legge era uno “strumento” del potere.

Nella logica della democrazia post rivoluzionaria, invece, la legge è il valore e il potere uno strumento della legge.

Il Parlamento dovrebbe avere per così dire una “antecendenza logica” sul Governo.

Non a caso si parlava di “Parlamento sovrano”.

Il Parlamento dovrebbe decidere cos’è “giusto” e il Governo vi dovrebbe dare attuazione.

Mi sembra che non ci possano essere dubbi sul fatto che oggi in Italia siamo tornati alla situazione che ho indicato come quella dei tempi del faraone.

Il potere non si chiede affatto “cosa è giusto e legale che io faccia”, ma “che leggi debbo fare al più presto per potere fare ciò che voglio fare”.

Dunque, non è lo Stato al servizio della legge, ma la legge al servizio dello Stato.

Da qui quella che anni fa fu discussa come la “crisi del parlamentarismo” e che oggi neppure si discute più (o meglio si discute in un altro senso, connesso all’inquietante concetto di “governabilià”), essendo noi ormai molto oltre quella crisi.

Oggi il Governo decide quello che vuole e il Parlamento fa una legge che glielo consente.

Una controrivoluzione, che ha sovvertito l’ordine dei valori.

Dal dominio della legge, con il potere che gli obbedisce e gli è sottomesso, al dominio della volontà, del potere, con la legge come strumento.

Insomma, la logica del faraone, con la sola differenza che anziché il potere essere concentrato nelle mani di uno, come allora, è oggi nelle mani di un gruppo di persone.

E ancora si progettano leggi elettorali e assetti costituzionali che concentrino di più il potere; ancora politici quasi onnipotenti piagnucolano per la mancanza dei poteri che gli sarebbero “necessari” per “fare il bene”; mentre ogni giorno si creano nuovi “commissari straordinari” liberati dai vincoli di questa o quella legge.

Tutto questo è frutto di e dà luogo a una serie di paradossi.

Anzitutto, in Italia la separazione dei poteri è stata sempre ed è sempre più solo apparente.

Essa dovrebbe essere una TRIpartizione (legislativo, esecutivo, giudiziario), ma, invece, è già costituzionalmente solo una Bipartizione, perché il potere legislativo e quello esecutivo coincidono: chi sta al governo (potere esecutivo) ha anche la maggioranza in Parlamento (potere legislativo).

Certo, nella Costituzione questo rapporto fra legislativo ed esecutivo era concepito come più “democratico” (basti dire che la Costituzione prevede che ogni parlamentare rappresenta l’intero corpo elettorale – e non solo i suoi elettori – e che è libero da vincoli di mandato – e dunque non è tenuto a obbedire al segretario del suo partito), ma nell’epoca dei “pianisti” in Parlamento (grazie ai quali anche gli assenti votano) e degli sputi in faccia in piena assemblea del Senato al senatore che non obbedisce agli ordini del segretario del partito tutto assume altri connotati e altro senso.

In definitiva, dunque, la separazione dei poteri è affidata a un solo asse: quello fra politico e giudiziario.

Ed è di tutta evidenza che si tratta di un asse molto delicato e assolutamente non in grado di reggere un suo uso improprio.

Il potere giudiziario ha strumenti esclusivamente repressivi ed è evidente che, anche se il potere politico creasse le condizioni per una attualmente inesistente efficienza del sistema giudiziario, la sola repressione “ex post” dei reati non potrebbe dare rimedio a un difetto di legalità che è oggi assolutamente diffuso in tutti gli snodi centrali della vita del Paese.

Per di più, proprio perché l’ultimo residuo opaco di separazione dei poteri – che è il presupposto per la speranza di una democrazia – è affidato all’asse politico/giudiziario, il potere politico lavora alacremente da anni – facendo a volte (quando una delle tante leggi ad personam è urgente per salvare il potente di turno da un processo) anche le notti in Parlamento – per rendere sempre più inefficace il sistema giudiziario, facendo sì che non possa “nuocere” (in questi giorni si sta lavorando alla legge “contro” le intercettazioni telefoniche) e, da ultimo, creando un “doppio binario”, per il quale il sistema giudiziario sia efficiente contro i poveri cristi e innocuo per i potenti: oggi in Italia (e non è una battuta, ma la triste realtà) la contraffazione di una borsa di marca è punita con pene più severe di un falso in bilancio che, fino all’ammontare in alcuni di casi di molti milioni di euro non è punito per nulla e dopo è punito con pene meno severe di quelle della contraffazione predetta (sulla logica che sta alla base del “doppio binario”, rinvio all’intervista di Bruno Tinti “Una giustizia forte con i deboli e debole con i forti”).

A tutto questo, poi, si deve aggiungere il fatto che i magistrati sono poco più di 8.000 cittadini come tutti gli altri e, dunque, tanti di loro sono, al pari dei loro concittadini, sensibili alle lusinghe e alle minacce, sicché “il potere” può confidare anche sulla disponibilità di tanti magistrati a “chiudere un occhio” o, come è più elegante dire, a “essere equilibrati” e “prudenti”.

Peraltro, è sotto gli occhi di tutti quali e quante “persecuzioni” subiscano – da fuori, ma purtroppo anche da dentro l’amministrazione della giustizia – i magistrati “insubordinati”.

Un’altra caratteristica dei sistemi democratici è l’esistenza di controlli di legalità numerosi e diffusi.

La democrazia è un metodo di esercizio del potere e in una società democratica ogni potere è soggetto a controlli numerosi e diversi, diffusi a vari livelli dell’organizzazione sociale.

Anche il sistema italiano sarebbe (purtroppo solo del tutto apparentemente) così.

Per fare degli esempi, se ci si vuole assentare dal lavoro per malattia, bisogna documentare la malattia con un certificato medico.

Quando viene realizzata un’opera pubblica, si nomina una commissione di collaudo che, compensata da onorari faraonici (in percentuale del valore dell’opera), ne dovrebbe verificare la perfetta realizzazione.

Le società che stanno sul mercato hanno revisori dei conti e sindaci.

Ma tutti abbiamo esperienza di come i certificati medici a volte vengano chiesti per telefono e lasciati in portineria e di come praticamente mai una commissione di collaudo abbia fatto demolire un’opera pubblica realizzata male (e quante ce ne sono di realizzate male è sotto gli occhi di tutti).

E’ proprio di questi giorni l’esito di un’inchiesta giudiziaria che ha consentito di accertare che importanti opere pubbliche sono state realizzate con calcestruzzo dosato in maniera fraudolenta (opere, ovviamente, collaudate positivamente).

Quanto a revisori dei conti e sindaci, Cirio e Parmalat stanno lì a dimostrare come questi professionisti intendano i loro ruoli.

L’Italia è oggi la patria delle certificazioni di comodo, dei pareri “pro veritate” bugiardi, delle documentazioni costruite ad hoc, dei bandi di gara scritti su misura di quel candidato o di quella impresa, dei bilanci falsi o “creativi”.

Quello giudiziario, che dovrebbe essere l’ultimo controllo, quello eccezionale, è rimasto l’unico. E per giunta anche a quello si tende a togliere valore.

Il Presidente di una Regione viene condannato (in primo grado) a cinque anni di carcere per avere favorito dei mafiosi (benché non ricorra l’aggravante dell’avere agito “al fine di favorire la mafia”) ed esponenti politici fra i più potenti del Paese gli dichiarano stima e solidarietà e gli promettono che lo candideranno al Senato.

Un senatore (Previti) viene infine, dopo innumerevoli ostacoli frapposti ai processi (rinvii pretestuosi, leggi ad personam, insulti ai giudici, ecc.), condannato con sentenza definitiva all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e, mentre l’intero Parlamento fa una legge di indulto tagliata esattamente su misura (tre anni) per farlo uscire dal carcere, il Senato impiega un anno a prendere atto della sentenza e dichiararlo decaduto dalla carica di senatore. Il tutto con il Previti (esponente della destra) difeso dall’avv. Giovanni Pellegrino, esponente di primo piano dei Democratici di Sinistra, quasi a voler dare una testimonianza pubblica inconfutabile del fatto che l’asse “destra/sinistra” in realtà non è un vero fronte di opposizione, ma solo un criterio (tra i tanti possibili) di spartizione (del potere).

Nel nostro Paese l’opposizione non esiste, è solo una “modalità di spartizione del potere”. Siamo l’unico Paese dove è stato possibile a dei partiti dirsi contemporaneamente “di governo” e “di opposizione”.

Ora, ci si immagini come sarebbe il nostro Paese se i medici non redigessero certificati falsi; se le commissioni di collaudo di strade e ponti rilevassero i vizi di quelle opere, costringendo le imprese a realizzarle bene e facendogli pagare le sanzioni pecuniarie contrattuali per i vizi rilevati; se i banchieri e i bancari non si prestassero a operazioni “dubbie” e se sindaci e revisori dei conti vigilassero sui bilanci delle società.

La giustizia penale sarebbe l’“ultima spiaggia”, il “rimedio straordinario” ed eccezionale.

Oggi, invece, è l’unico.

Ma le malattie si possono curare negli ospedali solo se la popolazione è generalmente sana e le malattie sono poche e subito riconosciute come tali.

Ma se un intero popolo avvelenasse gli acquedotti, non curasse l’igiene, facesse circolare e vendesse cibi deteriorati, ben poco potrebbero fare gli ospedali e, nello sfacelo di epidemie senza controllo, tutti comincerebbero a fare domande del tipo: “Ma perché hanno curato quello lì e non quella là?” Un po’ come accade con la giustizia, quando, sistematicamente, ad ogni arresto eccellente, qualcuno chiede perché sia stato arrestato quello e non quell’altro.

Infine – e, a mio modesto parere, è la parte più rilevante della questione – la democrazia è anche un “sistema di relazioni fra i consociati”.

C’è democrazia in un posto nel quale i cittadini si ritengono titolari di uguali diritti e, soprattutto, sono disposti a riconoscersi reciprocamente questi diritti.

In un paese “democratico” i cittadini rivendicano i loro diritti, ma non si sognano di procurarsi privilegi.

E il nostro, sotto questo profilo, è l’esatto contrario di un paese democratico.

Troppi italiani non cercano, non chiedono e non si battono per ottenere il rispetto delle regole e dei diritti di tutti, ma, al contrario, cercano di perseguire il proprio interesse personale “a qualunque costo”.

Se si considera quanti italiani non pagano le tasse, quanti realizzano costruzioni abusive, quanti si fanno raccomandare (con ciò ledendo i diritti di chi viene “scavalcato”), quanti non rispettano le regole più diverse, gli obblighi contrattuali, i doveri più vari, quanti frodano le assicurazioni, ci si rende conto di come sia possibile che un’intera classe dirigente non si vergogni dei suoi misfatti.

Il “popolo italiano” non vuole da chi ha potere giustizia, correttezza, rispetto delle regole, ma favori, “risultati”, “vantaggi”.

Nei giorni dell’arresto della moglie del ministro della giustizia Mastella, un telegiornale ha mostrato delle interviste a concittadini del ministro. Più d’uno ha indicato come motivo di stima per il ministro il fatto che “quando ho avuto bisogno di fare curare un parente, lui è stato disponibilissimo”.

Ora, una democrazia è un luogo nel quale le cure sono un diritto e non un favore che si deve chiedere e ricevere a e da un uomo potente.

Quando vedo un politico o una persona comunque potente fare cose inquietanti che violano i fondamenti del vivere civile e della democrazia, mi scoraggio non tanto per le concrete conseguenze di quel gesto, ma per ciò che significa con riferimento allo stato nella nostra civiltà (forse meglio “inciviltà”).

Perché se quelle cose vengono fatte sotto gli occhi di tutti, vuol dire che “si possono fare”.

Se l’intera classe dirigente del Paese può fondare il suo potere su menzogne, se i telegiornali possono essere falsi, se i concorsi truccati, se, da ultimo (fatto che avrebbe dovuto suscitare un’ondata di proteste indignate) una Autorità per le comunicazioni può “censurare” un programma di informazione solo perché scomodo, se nella Commissione parlamentare antimafia ci sono deputati con gravi precedenti penali, vuol dire che questo “si può fare”, vuol dire che questo non suscita la reazione che ci sarebbe in un Paese almeno un po’ “democratico”.

Così stando le cose, ciò che ci sta accadendo non è di essere una società di persone perbene governate male, ma di essere un popolo di “furbi”, di approfittatori, di egoisti, di cinici, di disillusi che esprime, com’è inevitabile che sia, una classe dirigente uguale a se stesso.

Dunque, non si tratta di fare una qualche legge che regoli come scegliere chi ci deve governare, ma di lavorare perché la società migliori se stessa, così che anche la sua classe dirigente sia conseguentemente migliore.

Sono consapevole che questa affermazione è dura e che gli italiani non sono minimamente disposti a condividerla, ma deve far riflettere che solo settant’anni fa, a pochi chilometri da casa nostra, sono stati uccisi seimilioni di ebrei e non li ha uccisi Hitler. Li hanno uccisi tanti “bravi cittadini tedeschi”, ciascuno facendo qualcosa di asseritamente incolpevole: uno guidava treni (che però andavano ad Auscwitz), un altro faceva elenchi di abitanti del quartiere (segnando con una ics quelli ebrei), un altro montava un impianto di tubi (che però sarebbe servito a fare arrivare il gas che avrebbe ucciso), eccetera.

Tutti facevano parte di una terrificante fabbrica del male, della quale poi hanno dato la colpa a uno solo. Ma Hitler non avrebbe potuto fare quello che ha fatto se ai suoi comizi non ci fossero stati milioni di “bravi tedeschi” plaudenti.

Così come non verrebbero candidati in Parlamento dei pregiudicati, se non ci fossero milioni di persone che li votano.

E in Italia oggi non ci potrebbe essere un autentico regime, che produce una informazione falsa e mistificatrice, se non ci fossero milioni di bravi telespettatori contenti di votare le nominations del Grande Fratello.

La nostra crisi è una crisi grave e profonda. Non è una crisi contingente, ma strutturale. Non può essere risolta da una o più leggi, né da migliori poliziotti o magistrati più efficienti (che pure sarebbero una gran cosa).

Non ci sono soluzioni formali a problemi sostanziali.

Di una sola cosa c’è bisogno e una sola cosa ci potrebbe salvare: un serio recupero di una cultura del rispetto degli altri e delle regole.

Questo va dicendo da tempo Gherardo Colombo, che, per testimoniarlo ha anche lasciato la magistratura e va in giro per il Paese insegnando “cultura della legalità”.

Abbiamo davvero il dovere di prendere sul serio questa lezione e di cominciare a cambiare il nostro Paese cambiando noi stessi, rifiutando qualunque forma di complicità a questo sistema, difendendo, a casa nostra, nel nostro posto di lavoro, fra i nostri amici, l’idea stessa di una vita civile e democratica.

Non si sa se riusciremo o no nell’impresa, ma almeno non saremo stati complici di una epoca buia di degrado e inciviltà.

Il nostro Paese ha vissuto epoche diverse.

Nel dopoguerra ha vissuto un’epoca di impegno e di ricostruzione.

Nel ‘68 ha vissuto (qualunque sia il giudizio che ognuno dà di quel tempo) un’epoca di utopia: erano gli anni nei quali Ian Palach si dava fuoco a Praga per protestare contro l’invasione del suo paese da parte della Unione Sovietica.

Quella odierna è l’epoca del “calcolo”: tutti, prima di impegnarsi, vogliono sapere se il loro impegno sarà coronato da successo.

Nessuno è disposto a un impegno che sia un valore in sé.

Non ci si accontenta neppure di risultati anche ottimi, ma non “totali” e “definitivi”.

Si cerca una sorta di “panacea”, qualcosa che “risolva” tutto presto e definitivamente.

Ma questo è assolutamente illogico e crea l’humus nel quale attecchiscono i “falsi profeti”, i governanti che promettono felicità e benessere per tutti, tacendo sulle modalità concrete con le quali questi obiettivi illusori verranno non raggiunti, ma fintamente perseguiti.

Sul punto, preziose le considerazioni del prof. Zagrebelsky in “Democrazia e principi. Il pericolo delle politiche eudemoniste” e in “La giustizia tradita e strumentalizzata dal potere”.

Non so se ce la faremo o no a cambiare il corso preso dalla nostra storia, ma l’unica possibilità di farcela è decidere che vale la pena di impegnarvicisi senza porre condizioni e di farlo non chiedendoci cosa i “politici”, i “magistrati”, “gli altri” possono fare per noi, ma cosa noi stessi possiamo fare per noi e per il piccolo ambito nel quale ciascuno vive e opera.

Il 30 gennaio scorso è stato il 60° anniversario della morte di Mohandas Karamchand Gandhi. Diceva Ghandi: “Siate voi il cambiamento che volete vedere nel mondo”.

Come potremmo attendere da altri ciò che non siamo disposti a dare noi?


31 commenti:

Anonimo ha detto...

Gentile dottore Lima,
ogni parola del suo scritto rappresenta quello che io voglio gridare ogni giorno ma mi è difficile esprimerlo. Infinitamente grazie!!!
bartolo iamonte
ps
cosa dice sul fatto che in Calabria l'attuale sistema elettorale ha permesso a due politici di decidere di mettere a capolista in Senato il vice capo della Polizia che in precedenza era stato super prefetto con poteri speciali di Reggio Calabria; ed in questa veste aveva accusato la stessa classe dirigente calabrese ad avere più responsabilità della 'ndrangheta nel degrado di questa Regione? E' curioso che la stessa classe dirigente lo candidi e che lui accetti. Ma più curioso è constatare come mai uno che gli avrebbe consentito una vittoria sicura, il dottor de Magistris, non sia stato neanche consultato. Da notare che appena qualche mese addietro 100 mila calabresi in pochi giorni hanno dato il proprio sostegno al dottore de Magistris, a conferma di quanto sia forte la voglia della società civile di un vero cambiamento.
Grazie ancora e Cari Saluti, bartolo iamonte

Anonimo ha detto...

non vorrei offendere la forza culturale dirompente di questo blog, ma mi sarebbe piaciuto ovvero mi piacerebbe leggere un editoriale di questo tipo sulla prima pagina del corriere della sera e nell'approfondimento del tg1, vorrei che successivamente ogni cittadino, nella sua vita quotidiana, si senta soddisfatto della sua osservanza del senso del dovere svolgendo cioè i suoi compiti nel rispetto delle regole: penso che molto cambierebbe nella vita di ogni giorno con riverberi sulla classe dirigente.
Purtroppo, invece, ho sentito nella inaugurazione di un "circolo del buon governo" una lezione di storia di lotta alla mafia del senatore Iannuzzi, trasmessa da una TV di Cosenza, rispetto alla quale ho concluso di vivere in un mondo diverso; quella splendida pagina di storia infatti conteneva affermazioni simili alle seguenti: lo sterminio degli ebrei è un falso storico, la diaspora dei calabresi ( la più grande citta della Calabria è Torontin Candao) è una propaganda politica, i condannati per concorso in associazione mafiosa sono perseguitati da una strana teoria che cioè la mafia abbia complicità politiche, abbandonare il proprio paese, perchè colpito da un ordine di carcerazione non è latitanza; la magistratura antimafia di reggio calabria ( parole del Sen. Iannuzzi Telvisione CAMTELE3 CS) con quell'assurdo teorema ha contribuito a rendere la ndrangheta definita mafia dei pezzenti ( ha detto Iannuzzi "spero che qualcuno non si offenda") una potente organizzazione internazionale.
Art.68 Cost.I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.............
(Temistocle Martines, Diritto Costituzionale, Il potere legislativo, La irresponsabilità del parlamentare è tuttavia limitata ai voti e alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari e non anche in altra sede (ad esempio nel corso di un comizio, di una conferenza o in un giornale).......................

Anonimo ha detto...

Caro Dr.Lima, è Lei nella foto? Piacere di conoscerla.
La Sua analisi esatta è il frutto della seria e necessaria riflessione che, aprendo questo blog, ci sta offrendo e, come qualcuno ha già detto, ci legge nel pensiero.
Stamattina, anch'io, molto più semplicemente, mi chiedevo che in una democrazia compiuta la politica è al sevizio di tutta la Nazione e non il contrario. "Questa" politica invece "ceppalonicamente" pretende una sudditanza devozionale e per questo sta assoggettando tutto "per legge" e per ultima proprio la Magistratura unica nostra speranza di difesa.
E' vero che si sta diffondendo la "cultura" nella società della "convenienza" ad ogni costo ma questo proviene dal cattivo esempio e dall'offerta di chi dovrebbe far rispettare le "regole" (ormai non sappiamo più nenache quali siano queste regole).
E il livello si sta abbassando. Il "fenomeno" molto preoccupante, di quei ragazzini "qualunque" di famiglie "comuni" che stanno esercitando il "bullismo" e peggiorando negli "stupri" delle compagne di classe, non sono ragazzini "emarginati", ma la futura società "civile".
Ora da più parti si sente parlare di valori, etica, educazione civica, ma che diamine, cosa aspettano gli addetti, ministri dell'istruzione, presidi, ad intervenire, con mezzi didattici, imposti come materia di insegnamento e anche di discussione di gruppo ad inserire, anche senza bisogno di circolari ministeriali, almeno l'argomento del vivere civile?
Questi ragazzini, non per loro responsabilità, non conoscono neppure queste elementari, fondamentali, regole.Sicuramente anche per colpa dei propri genitori, ma è anche vero che la scuola, solo qualche decennio fa, ha sopperito laddove, l'analfabetismo delle famiglie non poteva, nemmeno con l'amore verso i figli,a fornire certi mezzi di conoscenza.
Nessuno più, nel suo ruolo, svolge il proprio ruolo.
E mi fermo qui. Perchè, nello sfascio totale ogni argomento è divenuto discutibile.
A questo punto, l'impegno è affidato a quei pochi che con spirito volontaristico, come il Dr.Colombo, come questo blog,si farà carico di sensibilizzare qualcuno, mentre la nostra "politica" prima azienda italiana (solo per i costi) è lì che si sollazza in parole inutili e sono sempre gli stessi, ieri usciti, per fallimento, dalla porta, ora rientrano dalla finestra, dando a noi la "responsabilità" di rieleggerli.
Un caro saluto Alessandra

Anonimo ha detto...

Caro dott. Lima, grazie davvero per il Suo scritto, che spinge a fare alcune riflessioni.
Non si può non vedere come il problema della giustizia, non sia un problema a sé stante, “settoriale”, ma rientri in una questione molto più ampia, che riguarda la democrazia in Italia.
Leggendo “Toghe rotte” è sorprendente scoprire che il sistema elettorale dell’ANM sia in sostanza equivalente al sistema elettorale attualmente in vigore in Italia, che blocca qualsiasi possibilità di scelta, è praticamente blindato, e impedisce di esplicare il diritto fondamentale di voto, calpestando il concetto di rappresentanza.
Come accade tra parlamento e cittadini, anche l’ANM non rappresenta più i suoi associati, le loro istanze. Questa crisi si estende a tutti i livelli nella nostra società. Basti pensare ad esempio ai sindacati, che sempre più difendono diritti già acquisiti da poche categorie super-garantite, e sempre meno rivendicano i diritti dei lavoratori più deboli e indifesi (per es. i precari).
A tutti i livelli, la legittimità dei “rappresentanti”, non è più garantita dal fatto che essi rispondano ai “rappresentati”, ma è garantita da poteri forti da un lato, dalle clientele dall’altro.
Il problema è che, perché la democrazia funzioni, non basta garantire la separazione dei poteri (che, come dice Lei, è solo apparente), non basta che “formalmente” siano rispettate le regole.
La democrazia è prima di tutto condivisione di una cultura comune e accettazione di valori comuni. Il che significa che se la legalità non è comunemente ritenuta un valore da rispettare, non basteranno le leggi a garantirla. Da un lato è vero che è necessario che ci siano le leggi e soprattutto che lo stato le faccia rispettare, eventualmente punendo chi non le rispetta (!), ma dall’altro, il cittadino può scegliere se essere soggetto alla legge, oppure se preferire la legge della forza, del privilegio, del favore, della raccomandazione. Il fatto è che rispettare le leggi, stare dentro a un società avendo gli stessi diritti e doveri degli altri, implica un sacrificio, una rinuncia; mettersi sullo stesso piano degli altri significa rinunciare ai favori, ad avere tutto e subito, sudare per un posto di lavoro, fare delle scelte difficili, contro corrente. E quanto siamo disposti a farlo?
Per costruire il bene comune, bisogna che ognuno sacrifichi in parte l’interesse personale, e questo ha un prezzo, spesso alto. Ma il beneficio di questo sacrificio è la più alta delle conquiste di un uomo: far parte e sentirsi parte di una Comunità.
C’è poi un altro problema: quando si è nel bisogno, è ben difficile fare questo discorso. Ovvero: un padre o una madre con una famiglia da mantenere, senza lavoro, in una realtà, come molte nel nostro Sud (e non solo), dove le possibilità di lavoro sono pochissime, e le uniche che ci sono dipendono dai favori e dalle conoscenze, che deve fare? Emigrare oppure “farsi aiutare da qualcuno”, ed entrare in una logica di dipendenza dalla quale non uscirà più? Questo dimostra che non sempre si può scegliere cosa fare, se ti manca il pane e se sei solo, se non hai nessuno che ti rappresenta, nessuno con cui “allearti” per rivendicare i tuoi diritti.
Amartya Sen, economista indiano Premio Nobel per l’economia, misura la libertà, la qualità di vita e l’eguaglianza in base alle alternative di scelta che un individuo ha. Tra queste include non solo la possibilità di nutrirsi e avere una casa adeguata, ma anche essere rispettati dai propri simili e partecipare alla vita della comunità. Nell’esempio del padre/madre di famiglia, dove sono le possibilità di scelta?
E’ il fallimento totale dell’art. 3 della nostra bella Costituzione. Se non si rimuovono “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, non ci sarà mai democrazia.
Quanto alla possibilità di partecipare alla vita della comunità, Giorgio Gaber diceva “la libertà è partecipazione”. La partecipazione richiede consapevolezza e la consapevolezza nasce dalla conoscenza. Se non c’è partecipazione non può esistere una comunità, e non esiste la democrazia.

Anonimo ha detto...

Caro Dottor Lima,

Condivido l'intero suo scritto, tranne la conclusione. Non credo, infatti, che l'Italia possa migliorare in breve tempo, perché il male dell'Italia risiede proprio nella maggioranza dei suoi abitanti e nella totale assenza, in costoro, del senso dello Stato.

Tale mancanza è un fenomeno tipico delle culture extraeuropee, non occidentali. E', anzi, la norma fuori dall'Europa, con le sole eccezioni di Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Israele.

Considerando, ad esempio, il fenomeno mafioso, è agevole constatare che la "mafia", intesa come associazione criminale con ordinamento autonomo e socialmente avvertita come prima fonte di diritti e obblighi, è in realtà la regola, non l'eccezione, in tutti i paesi extraeuropei, nonché in alcuni paesi dell'europa dell'est, che di europeo hanno solo il nome.
E' parimenti una regola, in questi paesi, la corruzione dell'amministrazione pubblica. Questi fenomeni diventano "eccezione" soltanto nei paesi propriamente occidentali.

L'Italia, semplicemente, non è un paese occidentale, o almeno non lo è del tutto. Intesa come "espressione geografica", essa si pone, per evidenti ragioni storiche, parzialmente al di fuori dall'Europa, quasi a metà strada fra un "suk" arabo e un "mercato" occidentale. E' uno stato "border line", se mi consentite l'espressione.

Ma in tutti i rami della sua pubblica amministrazione è quasi totalmente in mano ai membri di questo metaforico "suk", come ognuno di noi può facilmente constatare.

Per questi motivi il danno appare assai difficilmente rimediabile, inducendomi ad un fondato pessimismo sul futuro di questo Stato.

Cordiali saluti.

avv. Maria Giovanna Villari ha detto...

Caro dott. Lima,
chiusa la campagna acquisti del mio foro per l'elezione a consigliere dell'Ordine di Napoli, leggo il suo pezzo "perchè l'Italia non è un paese democratico" , mi viene da pensare, anche perchè non è meritocratico. La metto al corrente di un mio incontro con un suo collega stimato.
“Ho un amico giudice.
Al tempo! E’ un mio compagno di scuola, anzi, per tanti anni mio compagno di banco. Sedevamo al terzo banco per la precisione. Ci siamo parlati sui "mali della giustizia", come li ho riassunti io, e sulle "deficienze di organico" come lui li riassume, con l'aggiunta delle "leggi che ci legano le mani".
L'argomento è troppo noto perchè debba rispiegare le due prevedibili posizioni che abbiamo avuto nel nostro amichevole colloquio di vecchi compagni di scuola: elementari, ginnasio e liceo.
Mi limito a ricordare quello che gli ho detto: “Ora te ne dico quattro”.
Com'è, tu che hai fatto una carriera prestigiosa nella magistratura per meriti effettivi difendi limitativamente la categoria che non brilla per dedizione al lavoro, presenza sul posto, tempestività delle sentenze ed altro?
La disgraziata eguaglianza di tutti i giudici non permette di riconoscere le differenze che ci sono tra loro, come sono capaci di distinguerlo anche gli avvocati che seguono le cause, come voi stessi sapete, e come sanno giudicarvi anche quei sornioni dei cancellieri.
Meritocrazia, meritocrazia! E ancora meritocrazia, caro il mio compagno di banco e te lo ripeterò quando ancora ci ritroveremo al mare o in montagna tra una sciata e l’altra. Ha sorriso e con condiscendenza mi ha detto: “tu as raison”.
Ed insieme –eravamo a un coktail di amici comuni- siamo andati a prenderci un fernet, brindando a quanto c’è da fare per risolvere i problemi della giustizia anche secondo i nostri opposti pareri”.
Un amichevole saluto
Avv. Maria Giovanna Villari (foro di Napoli)

Anonimo ha detto...

Gentile Dottore Lima per prima cosa vorrei testimoniarLe la mia incondizionata stima e il mio modesto plauso.Condivido in pieno la Sua analisi e nel mio piccolo,soprattutto come mamma,ho trasmesso ai miei figli il senso civico della LEGALITA',il rispetto per gli altri e la capacita' di ragionare con la propria testa.Nelle discussioni con altre persone cerco ,pacatamente,con semplici parole,di portare gli stessi argomenti che Lei ha esposto in questo blog in modo chiaro e incisivo.Vi seguo con interesse quasi ogni giorno e invito anche altre persone a visitarVi,in quanto leggerVi può soltanto allargare gli orizzonti della nostra "coscienza".Cordialmente adele falabella

Anonimo ha detto...

Se non fosse stato per Alessandra non avevo fatto caso alla foto, forse perché la immaginavo in giacca e cravatta. Comunque, se non si offende, devo dire che la sua faccia si presta bene al ruolo politico, perché non decide di scendere in campo?

Anonimo ha detto...

Certamente Paolo Emiliano è un dotto e nobile inglese. Anche se poco conoscitore della storia. Infatti, tra le eccezioni che porta ad esempio positivo come civiltà extraeuropee, vi sono quelle che sono state fondate di recente (rispetto al decorso dell'umanità) da coloni inglesi espulsi dalla madrepatria perché delinquenti.
Mi domando e domando a Paolo Emiliano: se dei delinquenti non organizzati sono stati capaci di realizzare lo stato democratico più potente del mondo cosa saranno capaci di realizzare i delinquenti organizzati se li espelliamo in qualche isola remota?

Anonimo ha detto...

Gentile Anonimo delle 17.44,

Non lo so.

Rilevo, tuttavia, che la più potente democrazia del mondo, gli Stati Uniti, è stata fondata da liberi coloni, non da delinquenti !

Ed ove si riferisse all'Australia, le ricordo che quei delinquenti erano, comunque, TUTTI INGLESI. Ne tragga le deduzioni che crede.

Cordiali saluti.

Anonimo ha detto...

«Sono sicuro che la verità verrà fuori».
Così il pm Luigi De Magistris il 30 gennaio scorso a Pesaro, durante la presentazione della nuova edizione del libro “La società sparente” (Neftasia Editore, Pesaro, 2007), che racconta la Calabria del malaffare e dell’onorata sanità e la reazione dei movimenti italiani (da Ammazzateci tutti ai Grillini, da Calabria Libre e Gens a Rete per la Calabria e tanti altri) rispetto al trasferimento del magistrato dalla Procura di Catanzaro.
«I giovani hanno inteso la mia fedeltà alla Costituzione e continuano a battersi per una Calabria libera, un’Italia migliore. Non abbiamo perso». De Magistris ha quindi incassato la solidarietà del filosofo Gianni Vattimo, intervenuto a Pesaro, presso la Biblioteca San Giovanni, in qualità di autore della prefazione del libro, definito dal quotidiano La Repubblica «il manifesto politico dei ragazzi calabresi in lotta contro la ’ndrangheta».
Vattimo, già candidato sindaco a San Giovanni in Fiore (Cs), ha ribadito quanto sia essenziale il ruolo della cultura per una società consapevole, responsabile e libera. Il teorico del pensiero debole crede che la vera rivoluzione, per battere il malcostume calabrese e italiano, sia quella culturale.
Salvatore Borsellino, solidale con De Magistris, con rabbia per la situazione italiana ma con fiducia nelle nuove generazioni, ha definito gli autori del libro, Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio, «scomodi per un sistema di potere che oggi uccide istituzionalmente le coscienze vigili e ieri annientava col tritolo».
Il fratello del giudice Paolo Borsellino è da tempo, in primissima linea, impegnato nella creazione d’una rete per la giustizia che, attraverso Internet, sappia informare, discutere e organizzare una reazione concreta al malaffare italiano.
Borsellino è certamente un riferimento per l’antimafia, così come il movimento "Ammazzateci tutti", "Rete per la Calabria", "Calabria libre", "Gens", Giuseppe Scano, Sonia e Chicco Alfano, Aldo Pecora e Rosanna Scopelliti.
A Pesaro, nel corso della presentazione di "La società sparente", Borsellino ha parlato dei rapporti tra i poteri forti e ha insistito sulla capacità rivoluzionaria dei giovani, portando come esempio i ragazzi di "Energia messinese", associazione che lavora per un’emancipazione culturale e sociale nello Stretto.
Del ruolo di Borsellino e Ammazzateci tutti parla “La società sparente”, al centro di una vicenda giudiziaria. Il Tribunale di Cosenza ha ordinato agli autori l’acquisto delle copie rimanenti della prima edizione in un’area limitata della Calabria, dopo una richiesta di sequestro presentata da un imprenditore del posto.
Gli autori si sono quindi autocensurati nella seconda edizione, lasciando bianche le due pagine sottoposte all’attenzione del giudice e sottolineando in questo modo l’impossibilità di raccontare la Calabria e le sue logiche.
Ma è stata Angela Napoli, anche autore della prefazione e membro della Commissione parlamentare antimafia, a riferire del clima di ostilità in Calabria nei confronti di Morrone e Alessio, più volte minacciati. L’onorevole Napoli, che è sotto scorta per la sua costante, puntuale e oggettiva denuncia di una potentissima criminalità internazionale, ha detto: «La mia solidarietà piena a De Magistris e agli autori. Quando in Calabria qualcuno si muove e denuncia, subisce di tutto. ’La società sparente’, garantisco, è un libro vero, tutto vero. Qualcuno ha pensato di ricorrere al giudice, forse per fermare l’azione coraggiosa dei due scrittori. Ne è uscito un contentino. Si deve tacere? Non si può raccontare una regione dilaniata dalla ’ndrangheta? Fin dove si può arrivare?».
Sono intervenuti anche il pm Silvia Cecchi e l’avvocato Francesco Siciliano, che ha parlato a lungo della gerarchizzazione della giustizia. Per Siciliano, esperto di diritto e autorevole esponente di "Ammazzateci tutti", questa gerarchizzazione ha creato le basi per il caso De Mastella-De Magistris e di fatto sta impedendo che la magistratura arrivi alla verità.
Sono intervenuti anche Fulvio Perrone e Massimo Arcieri, giovani dell’associazione "Energia messinese", nata dai sostenitori di Beppe Grillo a Messina e attiva, lontana dai partiti, in un contesto sociale difficile e bloccato da mafia e assistenzialismo.
Centinaia i presenti, Morrone e Alessio sono stati paragonati a Roberto Saviano dal magistrato Silvia Cecchi. Dal pubblico, grande sostegno e condivisione.
La verità è che, lungi da inutili protagonismi, "La società sparente" si pone come testo dinamico che, partendo dal sostegno delle piazze a De Magistris, indica un percorso comune, oltre i confini della Calabria, d’una rete della giustizia e dei saperi in grado di lottare contro le forze occulte che governano l’Italia.

Anonimo ha detto...

Le conclusioni sono: la riabilitazione, la rieducazione, la risocializzazione, il reinserimento debbono essere obbligatori, in uno Stato che voglia definirsi civile, nei confronti di chiunque. A mare bisogna buttare la indegnità umana molto diffusa tra le persone che, apparendo perbene, approfittano di questo staus per delinquere!!!
bartolo iamonte

Anonimo ha detto...

http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_15151433.html

depositata motivazione condanna De Magistris

Anonimo ha detto...

Una condotta "rivelatrice di non adeguata attenzione al rispetto di regole di particolare rilievo", nonche' di "insufficienti diligenza, correttezza e rispetto della dignita' delle persone". Cosi' la sezione disciplinare del Csm definisce quella tenuta dal Pm di Catanzaro De Magstris, spiegando perche', il 18 gennaio scorso, ha deciso di disporre per il magistrato il trasferimento dalle funzioni e dalla sede nonche' la sanzione della censura. Una condotta del genere, secondo il tribunale delle toghe, "Si palesa incompatibile con l'esercizio di quelle di sostituto procuratore della Repubblica, che si caratterizzano per la loro autonoma, immediata incidenza". Quanto, poi, al trasferimento dalla sede di Catanzaro, "non puo' non prendersi atto, come dato meramente oggettivo - si legge nella sentenza n.3/2008 della sezione disciplinare - che le considerazioni del dottor De Magistris hanno riguardato piu' magistrati in servizio a Catanzaro in uffici diversi", e che anche un cancelliere in servizio presso l'ufficio del magistrato, nel corso del procedimento disciplinare, "ha riferito che quest'ultimo 'e' stato un po' isolato dai suoi colleghi'". Tali circostanze "anche per i rapporti tra magistrati dello stesso ufficio e di uffici diversi che l'esercizio delle funzioni necessariamente comporta - sottolinea il Csm - inducono a ritenere che allo stato pure la permanenza dell'interessato in un altro ufficio di Catanzaro non favorisca il buon andamento dell'amministrazione della giustizia". Tuttavia, non sembrano ricorrere "i motivi di particolare urgenza" spiega il tribunale delle toghe - per l'adozione del provvedimento di trasferimento cautelare richiesto, nel settembre scorso, dall'allora guardasigilli Clemente Mastella, "ancorche' i fatti per i quali si ritiene la responsabilita' dell'incolpato siano di sicuro rilievo".


SIC!

Lo isolano per discriminarlo e rendergli piu' difficile il lavoro?
Mandiamo via lui; e' lui l'incompatibile!

E poi, quale sara' il livello adeguato ad attenzione alle regole? Ed a quali di queste specificamente l'attenzione e' stata insufficiente?

Bisognera' leggerla tutta, la motivazione, e poi rispettarle, perche' - ci hanno insegnato - le sentenze non si commentano, si applicano.....

Anonimo ha detto...

Distinguerei bene in funzione dei reati commessi e accertati definitivamente: chi commette reati gravissimi, orribili e reiterati non ha alcun "diritto" a essere riabilitato, ma soltanto a passare in galera il resto della sua vita !

Se vorrà, si potrà pure pentire del male fatto, ma non godere di alcuno sconto della pena.

Non facciamoci ridere dietro: provate a "reinserire" il capo della 'ndrangheta, poi mi saprete dire ...

Anonimo ha detto...

Quindi, a quanto pare, il dottor de Magistris viene spostato da Catanzaro perché i rapporti con i colleghi collusi e conniventi col malaffare non sono buoni!!!
Che efficienza questo CSM: mai tenere uniti buoni e cattivi, si rischiano conflitti!!!
bartolo

tdf ha detto...

Che tristezza...
Ancora una volta devo ammettere che se non lo avessi letto qui non mi sarei mai accorta che gli equilibri tra potere legislativo ed esecutivo sono del tutto stravolti.
Pensavo di aver studiato male ai tempi del liceo e che se non riconoscevo nella realtà l'applicazione di quei principi era per un difetto mio di comprensione.
Invece semplicemente quei principi non sono mai stati applicati, da che io posso ricordarmene...

Anonimo ha detto...

Per favore, qualcuno mi spieghi questo provvedimento disciplinare che forse mi suona un pò contraddittorio.
"Allo stato pure la permanenza dell'interessato in un altro ufficio di Catanzaro non favorisca il buon andamento della giustizia.
"I fatti per i quali si ritiene la responsabilità dell'incolpato siano di sicuro rilievo.
Si palesa incompatibile con l'esercizio di quelle di sostituto procuratore della Repubblica.
"Tuttavia non sembrano ricorrere "i motivi di particolare urgenza"
Che significa che è incompatibile, trasferito ma con calma?
Alessandra

Anonimo ha detto...

Il gup di Catanzaro, Antonio Giglio, ha rigettato la richiesta di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche presentata dai difensori di alcune delle persone per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio nell'ambito di un'inchiesta su presunti illeciti nell'assegnazione di appalti nel settore della sanità. Nella stessa inchiesta è stato chiesto il rinvio a giudizio del presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero. Il gup ha ritenuto che il contesto e le motivazioni iniziali addotte dal pm che ha avviato l'inchiesta, Luigi De Magistris, erano sufficienti a disporre le intercettazioni. L'udienza sta adesso proseguendo con le dichiarazioni spontanee di uno degli imputati, Alessandro Firpo, responsabile marketing della società Ital Tbs. (ANSA)


Forse non era cosi' cattivo e incompatibile con gli altri colleghi.....

Anonimo ha detto...

Roma, 21 feb. (Apcom) - Il deputato di An Maurizio Gasparri può essere processato per diffamazione nei confronti del gip di Milano Clementina Forleo. La Corte costituzionale ha annullato, infatti, la delibera con cui un anno fa la Camera aveva dichiarato insindacabili le sue opinioni, ritenendo che fossero espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari. "Non spettava alla Camera affermare che i fatti per i quali pende un procedimento penale a carico del deputato Maurizio Gasparri (...) costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni", ha sentenziato la Consulta nella sentenza depositata oggi in cancelleria e redatta dal giudice Sabino Cassese.

Gasparri era finito sotto procedimento penale per aver "offeso la reputazione" del gip Forleo sostenendo che era "incredibile, sconcertante e allarmante, fuori da ogni schema razionale, basata su una scelta ideologica" la sua decisione di assolvere un gruppo di islamici accusati di terrorismo. Provvedimento di fronte al quale l'esponente di An aveva sollecitato al governo di intervenire con "norme che impediscano a giudici irresponsabili di lasciare a piede libero degli autentici terroristi".

A sollevare il conflitto di attribuzione nei confronti della Camera è stato, nel giugno del 2006, il gip di Roma: le parole di Gasparri, ha sostenuto, "non possono essere ricondotte" ad atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni di parlamentare e quindi tutelati dall'articolo 68 della Costituzione. E la Corte costituzionale accoglie il ricorso annullando la delibera di Montecitorio: "Non sono stati indicati - spiega - atti parlamentari tipici anteriori o contestuali alle dichiarazioni in esame, compiuti dallo stesso deputato, ai quali possano essere riferite le opinioni" in questione. Nè possono essere ritenute tali eventuali "dichiarazioni esterne", provenienti cioè da colleghi appartenenti allo stesso gruppo parlamentare: non esiste "una sorta di insindacabilità di gruppo", sostiene la Consulta.


UNA NOTIZIA BUONA, FINALMENTE!

Poco perche' possa dirsi che il vento cambia (specie dopo la motivazione della condanna a De Magistris), ma insomma, meglio di niente

Vincenzo Scavello ha detto...

Egregio Dott. Lima
Grazie per il suo PENSIERO ed anche della sua faccia!

A proposito di PENSIERO: sono, sinceramente, grato a quanti offrono il loro prezioso contributo a questo Blog e, ovviamente, ai suoi Autori. La sincerità è figlia della gratificazione che provo quando scorro queste pagine, leggendovi PENSIERI, al contrario delle ingombranti VACUITA' reperibili sui tanti mezzi di comunicazione, hainoi, pagati con soldi pubblici (doveroso ricordare qualche sparuta eccezione).

Quanti milioni di Euro i Partiti, intesi come Potere, elargiscono a migliaia di "Editori" per produrre soltanto carta straccia? Se financo il Campanile di Mastella prende, legittimamente, 1,3 milioni di Euro, per far tutto tranne produrre PENSIERI (leggi l'articolo di Travaglio sull'Espresso), non possiamo non pensare che di "Campanili", in Italia, potrebbero essercene tanti.
Il Potere, ha ragione il Dott. Lima, si Autoalimenta attraverso i canali Legislativo ed Esecutivo e, per l'amor di Dio, non parliamo di Banche, Assicurazioni, Imprese, ecc...

A cosa serve il GRIDO della Corte dei Conti e quello della Commissione Antimafia?

Per la Commissione Antimafia, per amor di verità, dobbiamo registrare una seria quanto grave contraddizione.
La Commissione, costituita in maggior parte da Parlamentari, ha emanato un Codice Etico cui tutti gli Amministratori Locali devono attenersi, salvo poi non effettuare alcun tipo di controllo; Codice Etico che si sono guardati bene di estendere ai Candidati alla Camera e Senato. Perchè?
E' forse più nocivo avere un mafioso come sindaco di un qualsiasi Comune d'Italia o è più grave "rischiare" di avere un mafioso Parlamentare se non addirittura Ministro?

E mentre tutti i Partiti fanno a gara per adottare Regole Etiche, più o meno condivisibili, qualcuno ci tiene a sottolineare che queste regole non possono valere per i PERSEGUITATI POLITICI. Ma che vuol dire? Chiunque, dico chiunque, inquisito o condannato per Mafia, potrebbe dire di essere un perseguitato politico. Se vale questo ragionamento, carissimi di UGUALE PER TUTTI, caro Dott. Lima, andatevene tutti a casa! VOI NON SERVITE ALL'ITALIA E ALLA SUA DEMOCRAZIA, IL VOSTRO LAVORO NON SERVE A NIENTE SE CONTRO LE VOSTRE INDAGINI O CONDANNE PER MAFIA BASTA UN'AUTOCERTIFICAZIONE PER RIPULIRE UN CASELLARIO GIUDIZIALE!

Nonostante il nostro "dimenarci", la via che in tanti vorrebbero potrebbe essere proprio questa!

Vista al contrario, la vicenda De Magistris, sintetizza questo perverso pensiero. Ma come? Lui indaga sul marciume degli intrecci politico-ndranghetistici-camorristici, mettendo a repentaglio la propria vita, e lo riscopriamo INCOMPATIBILE? E quell'altra,... sì quella lì, quella di Milano, quella che andava bene quando affrontava coraggiosamente provvedimenti sui terroristi Islamici e che, invece, diventa PSICOLABILE quando si occupa, con altrettanto coraggio, di scalate bancarie! (Un mare di solidarietà Dott.ssa Forleo!).

Tuttavia, cara ALESSANDRA, nonostante l'incompatibilità, non è necessario trasferire il Dott. De Magistris ... LA COSA PIU' IMPORTANTE E' STATA FATTA CON ESTREMA CELERITA': SOTTRARGLI "POSEIDONE" E WHY NOT?", DUE DELLE INDAGINI PIU' SCOTTANTI E, FORSE, FINO AD ORA, PIU' IMPORTANTI DELLA SUA VITA DI MAGISTRATO.

Anonimo ha detto...

Sì lo so caro Prof.Scavello, il mio interrogativo voleva essere una constatazione.
Ma mi sembra che l'inchiesta, giocoforza,negando i meriti, abbia preso un cammino che spero sia irreversibile, con l'aiuto di una società civile calabrese che sta prendendo coscienza di quanto sia autolesionista chiudere gli occhi.
Un abbraccio Alessandra

Anonimo ha detto...

Gentile Vincenzo Scavello,
condivido i suoi scritti e sarei curioso (da calabresi entrambi, anche se tra Cosenza e Reggio Calabria la differenza è abissale) di sapere come vede Lei la responsabilità della 'ndrangheta rispetto alle condizioni cui è stata ridotta la nostra Regione.
Io rispetto alla realtà reggina sono quasi certo che molti antindranghetisti posti in ruoli chiave, di ogni settore: sia delle libere professioni come della pubblica amministrazione per finire alla classe politica, in assenza della 'ndrangheta non assumerebbero dignità neanche di semplici nullafacenti. Per quanto riguarda poi, l'arresto del super latitante paragonato al Provenzano della Sicilia, non capisco da parte di alcuni giudici (al di fuori delle procedure ordinarie) cosa ci sia da parlare per ore in modo riservato (sempre se rispondono a verità le notizie riportate dagli organi di stampa) con questo signore, cui uno Stato democratico come l'Italia gli ha consentito (qualora le accuse corrispondano a verità) di essere generale a capo di un esercito contrapposto ad un altro che in soli sei anni si sono decimati (circa settecento morti).
bartolo iamonte

Anonimo ha detto...

Gentile Giudice Lima,
Le scrivo in quanto ho avuto modo di leggere ieri con preoccupazione che Silvio Berlusconi, nei suoi primi "cento giorni" di Governo, vorrebbe recuperare il DDL Pecorella del 2001, concernente l'istituzione di una giuria popolare, per pene superiori ai cinque anni di detenzione.
Lei che ne pensa?
Sarebbe a mio parere molto interessante un Suo post dedicato ai pro e ai contro di questa proposta.
Cordiali saluti,
Marco Mambrini

Anonimo ha detto...

Gentile dottor Lima, volevo farle i complimenti per la spietata chiarezza con la quale ha delineato la situazione italiana nei confronti della democrazia e della legalità, compagni di viaggio indispensabili a una nazione libera.
Passando poi al commento, alcune osservazioni:
intanto, a monsù Paolo Emilio suggerisco di aggiungere alla lista anche il Giappone, vero esempio di moderna democrazia;
poi una curiosità da notare: di tutti i Paesi realmente democratici esistenti al mondo, la maggior parte sono monarchie, con lodevoli quanto comprensibili eccezioni, monarchie peraltro nelle quali la divisione dei poteri è ben rispettata, e il re è soltanto il garante dell'unità nazionale e della validità della Legge. E monarchia era anche l'Italia fino al 1926, data alla quale si può far risalire l'attuale spaventoso deficit di democrazia e legalità. Secondo me infatti, la coincidenza tra potere legislativo ed esecutivo, sostenuta dalla sostanziale non rappresentatività del "parlamento" ma dal suo essere emanazione di poteri estranei alla società civile è il principale retaggio lasciato dal socialista corpulento che ci aveva governati prima dell'ultima guerra. Nel caso del fascismo anche il potere giudiziario era in qualche modo sottomesso allo Stato (più che alla Legge), cosa che è stata soltanto parzialmente risolta dalla nostra imperfetta e pasticciata costituzione.
Quindi la battaglia da combattere per il ripristino delle condizioni minime di legalità giustizia, democrazia in senso lato e separazione dei poteri va combattuta contro quasi un secolo di "brutte abitudini", corroborate da un'educazione ed un'informazione altrettanto brutte, e da una struttura economica fondamentalmente oligarchica e corporativa (quindi ben lontana da un libero mercato - presupposto fondamentale per una libera società).
Un'ultima domanda, poi tolgo il disturbo:
dal suo articolo cito: "Il potere giudiziario ha strumenti esclusivamente repressivi ed è evidente che, anche se il potere politico creasse le condizioni per una attualmente inesistente efficienza del sistema giudiziario, la sola repressione “ex post” dei reati non potrebbe dare rimedio a un difetto di legalità che è oggi assolutamente diffuso in tutti gli snodi centrali della vita del Paese."
Ora mi chiedo, e chiedo nuovamente a voi della redazione e in particolare al dottor Tinti:
è possibile, per cercare di cambiare la situazione, o almeno per spingere il potere legislativo/esecutivo a rivedere le regole che ci stanno conducendo alla rovina, usare proprio degli strumenti repressivi in mano vostra, o del loro sapiente dosaggio?
Mi spiego meglio, e vorrei un parere in proposito: quanto aveva coraggiosamente deciso il 16/11/97 il GIP di Torino Prunas Tola, quando rifiutò di firmare l'ordine d'arresto per una banda di delinquenti, motivandolo con la certezza che non avrebbero fatto un solo giorno di galera, anche se riconosciuti colpevoli, che cos'è per voi? Un caso isolato? Una strategia da applicare? Un disperato grido d'aiuto contro l'inadeguatezza del sistema legislativo e sanzionatorio? L'inizio della riscossa? Un gesto di lucida quanto legittima follia, che getta luce sulla follia della legge?
Estendere questo modo di ragionare non sarebbe utile per spingere il legislatore a legiferare con maggior intelligenza? E applicare il principio complementare a quella alla base dell'operato di Prunas* non sarebbe invece strumento utile ed efficace per aumentare la sicurezza dei cittadini?
Nella speranza di una risposta, vogliate accogliere i miei saluti e complimenti

baron litron


* complementare in questo senso: io non firmo l'arresto perché in base al CP, al CPP e alle recenti disposizioni non ti posso far scontare la pena. Allo stesso modo però, se ti colgo in flagrante reiterazione di un reato per il quale sei in attesa del primo grado di giudizio, ti applico seduta stante il massimo della pena per entrambi i reati....

Vincenzo Scavello ha detto...

Cara Alessandra, chi vivrà vedrà, anche se siamo costretti a subire e condividere amare constatazioni!
Intanto, però, ci siamo giocati la possibilità di vedere lo sviluppo delle indagini su intrecci e strane nebulose, circa l'accusa di corruzione a carico dell'attuale Governatore della Calabria. A sentire le tesi a difesa pare che il reato, se c'è stato, è già prescritto, soltanto per un provvidenziale ritardo di pochi mesi dell'azione della Magistratura.

Vedremo, comunque, quali saranno le candidature in Calabria e da queste potremo capire quali saranno gli "orientamenti" e le inevitabili sorti delle inchieste messe in campo dal Dott. De Magistris.

Per il Sig. Bartolo Iamonte:
Tra le centomila persone che hanno manifestato in favore di De Magistris, c'era anche il sottoscritto, anzi, in pochissimi giorni, nella Valle dell'Esaro, siamo riusciti a raccogliere quasi mille firme per la petizione spedita al Capo dello Stato che, rispetto alla vicenda, a mio modesto parere, avrebbe potuto esprimere un suo più chiaro PENSIERO.

Per quanto riguarda la responsabilità della 'Ndrangheta rispetto alle sorti della nostra Calabria ho (abbiamo) la presunzione di avere capito come stanno le cose!
SE LA 'NDRANGHETA, COME LA MAFIA, FOSSE STATA UN CORPO ESTERNO ALLE ISTITUZIONI NON CI SAREBBE STATA ALCUNA DIFFICOLTA' A DEBELLARLA. 'NDRANGHETA DA UNA PARTE E DALL'ALTRA LO STATO INTESO COME POLITICA, MAGISTRATURA E SOCIETA' CIVILE. LA LOTTA, SONO CERTO, SAREBBE STATA IMPARI! INVECE, AL PARI DI UNA PIOVRA DAI MILLE TENTACOLI L'ANTISTATO SI INFILTRA NELLE ISTITUZIONI FACENDO ELEGGERE PROPRI REFERENTI, NEI GANGLI VITALI DELLO STATO, IN MODO DA PARALIZZARE TUTTE LE ANSIE DI GIUSTIZIA E LEGALITA' PROVENIENTI DA INTERE REGIONI ORMAI IN GINOCCHIO. SE QUESTO E' POTUTO AVVENIRE E' STATO PER LA DEBOLEZZA DELLE ISTITUZIONI E DELLA SOCIETA' CIVILE, CHE HANNO AFFIDATO IL LORO DESTINO A PERSONE PRIVE DI CULTURA E DI AUTOREVOLEZZA, ANIMATE SOLTANTO DALLA FORZA DERIVANTE DAL PACCHETTO DI VOTI ASSICURATO DAI CAPI BASTONE DI TURNO.
OGGI NON SI RIESCE PIU' A DISTINGUERE ALCUNA LINEA DI DEMARCAZIONE TRA LO STATO E L'ANTISTATO, TRANNE QUANDO L'AZIONE SOLITARIA DI GENEROSI MAGISTRATI CI RIPORTA DRAMMATICAMENTE ALLA REALTA' E CI FA RENDERE CONTO CHE IL NOSTRO CONSIGLIO REGIONALE E' OCCUPATO DA UN ESERCITO CHE NON S'ISPIRA CERTO A QUELLO DELLE DAME DI CARITA'.

E SIAMO COSTRETTI A FARE MENTE LOCALE SU QUANTI SIANO I DESTINATARI DI CUSTODIE CAUTELARI, ARRESTI E INDAGINI ... ABBIAMO PERSO IL CONTO!

INTANTO ATTENDIAMO, TREPIDANTI(?!?), DI SAPERE CHI, ALLA PROSSIMA TORNATA ELETTORALE, POTRA' GODERE DEL NOSTRO "VOTO PASSIVO".
"VOTO PASSIVO" PERCHE' LA SCELTA DI CHI DOVRA' ESSERE ELETTO CI VIENE "DEMOCRATICAMENTE" IMPOSTA DAI SALOTTI DELLA POLITICA.

Un Abbraccio

Anonimo ha detto...

E' terapeutico poter esternare i nostri PENSIERI grazie a questo blog. Finora, per tutti noi, questi pensieri affollavano in silenzio la nostra mente, ma è anche angosciante vedere come siamo stati scippati della nostra dignità di cittadini di questa repubblica "democratica" da una classe dirigente che ci ha ridotto a servi della gleba accaparrandosi spudoratamente ogni privilegio.
Ora sto notando che sono un pò spiazzati per il fatto che aldifuori dell'informazione di regime stiamo trovando sistemi diversi di comunicare tra di noi, ma non illudiamoci, troveranno qualche sistema.
E' importante che non potranno scippare le nostre coscienze e i giovani oggi, con l'istruzione, non sono poi così arrendevoli, neanche in famiglia. Auguri.
Alessandra

Anonimo ha detto...

Gentile Vincenzo Scavello,
Grazie, condivido a pieno!!!
bartolo iamonte

salvatore d'urso ha detto...

Quoto tutto ciò che ha detto il dott. Lima poichè sono le stesse cose che dico da tempo, anche se da parte mia vorrei includere alcune precisazioni che ora non farò.

Aggiungo solo che ci sono in Italia moltissime associazioni che agiscono per risollevare moralmente e civilmente il nostro paese. ultimamente per esempio abbiamo assistito alla nascità dei meet-up di Grillo che hanno proprio questo scopo, oppure riguardo proprio alla politica abbiamo assistito ad un rafforzamento delle liste civiche in molte regioni d'Italia dove in queste ultime elezioni molto probabilmente parteciperanno anche a livello nazionale se l'accordo di apparentamento con l'IDV avrà successo.

Qualcosa pare stia cambiando, di certo non si può pretendere di risollevare il paese da un giorno all'altro, poichè a livello culturale c'è molto da fare visto e considerato che i media continuano invece a lavorare contro questo cambiamento culturale.

Ho infatti proprio un esempio nuovo di zecca, un'ora fa mia nonna stava guardando la tv e su rai2 stavano intervistando un ex rapinatore uscito di galera dopo 13 anni di detenzione, il messaggio che però veniva mandato al pubblico era che questo tizio in carcere ha rischiato di peggiorare il suo livello culturale poichè era in continuo contatto con altri criminali, c'era una musica di sottofondo triste come quella che mettono i tg sugli animali maltrattati, e il tizio in questione spiegava che da giovane era stato un ragazzo emotivamente instabile e per le colpe di tale gioventù ha pagato un bel pezzo della sua vita in carcere e non si incideva invece sul fatto che quel signore aveva rapinato con tanto di mitra con altri suoi colleghi un furgone blindato delle poste italiane sparando e rischiando di ammazzare le guardie poste a custodia del furgone.

Ecco cosa fa la tv pubblica, ma la tv pubblica come pure quella privata in parte da chi viene gestita?

In questo momento sappiamo tutti che è lottizzata dai partiti, quindi questo genere d'informazione ci viene trasmesso non da un'entità astratta ma un sistema di potere consolidato, dal potere politico, cioè i nostri rappresentanti che decidono quando, come e chi votare o meglio cosa votare... cioè sempre loro stessi... o meglio quelli che tirano i fili.

Ci sarebbe altro da dire in merito e penso che magari lo farò...

Consiglio intanto al dott. Lima di prendere in considerazione il fatto di poter andare a parlare di queste cose in tv da santoro, credo che santoro ne sarebbe felicissimo e che addirittura organizzerebbe una puntata su tale tema, se non lei allora gherardo colombo.

Che ne pensa?

Alberto ha detto...

Mi trovo sostanzialmente d'accordo con il contenuto dell'articolo. Alcune puntualizzazioni si rendono però necessarie.
- Non è affatto vero che nel sistema costituzionale non sia rinvenibile una separazione tripartita del potere.
Se così fosse non si spiegherebbe perché l'art. 97 parli espressamente di "imparzialità e buon andamento" della pubblica amministrazione.
Imparzialità significa appunto "terzietà" nella valutazione degli interessi e nell'attuazione delle scelte collettive.
Buon andamento è da intendersi come il perseguimento dell'interesse pubblico con il minor aggravio per il cittadino privato.
- La pubblica amministrazione non è un entità sfuggente.
Mentre il giudice verifica la coincidenza tra la fattispecie concreta e quella astratta ai fini dell'applicazione del dettato normativo, all'Amministrazione è richiesto un quid pluris. Essa deve attuare i precetti normativi, farli discendere nel mondo reale in modo che realizzino quell'assetto di interessi delineato dagli organi "politici" che altrimenti rimarrebbe nell'iperuranio delle idee.
All'interno del potere esecutivo possiamo, infatti, distinguere degli organi deputati a compiere le scelte collettive di fondo (Governo, Ministri ecc), rispetto ad un apparato deputato alla gestione ed attuazione in senso stretto di tali direttive. Staff i primi, line i secondi, per usare una terminologia che va di moda nel mondo imprenditoriale.

Il corto circuito nell'ordinamento si verifica quando gli organi amministrativi "politici" assommano al loro interno sia la funzione di compiere tali scelte che di attuarle. Si pensi, ad esempio, al dott. Bertolaso che è ad un tempo dirigente della Protezione civile e sottosegretario di governo.
Ovviamente ciò non è legislativamente possibile, e mi chiedo perché quasi nessuno lo abbia sottolineato, in quanto l'art. 4 d.lgs 165/2001 (ma vedi anche l'art 17, ultimo comma, legge 400/1988) dice a chiare lettere che il momento di indirizzo e controllo deve essere nettamente separato da quello attuativo e di gestione.
Tradotto in parole povere, non si può essere allo stesso tempo controllori e controllati.

Nella fase patologica che stiamo attualmente attraversando in Italia, si è verificato una concentrazione ed uno sbilanciamento dei poteri in favore di quello esecutivo "politico", il quale non solo ha assorbito in sé le due fasi cardine dell'azione amministrativa, ma controlla, di fatto, anche il potere legislativo-parlamentare.
Ecco che a questo punto la magistratura si pone come unico contropotere ad opporsi alla realizzazione di un simil ancien regime in cui... ..."l'Etat c'est moi".

Anonimo ha detto...

Varese Emily
vero, la magistratura è l'unica opposizione rimasta, ormai nessuno più fa opposizione di fronte ai soprusi di tutte le pubbliche amministrazioni che con l'autonomia impongono il pagamento dei loro servizi (che è la ragione per cui esistono) riconoscendosi così un potere impositivo che dovrebbe essere del legislatore e non di tutti i pubblici servizi.