giovedì 19 ottobre 2023

Separazione delle carriere



Mentre il Governo si appresta ad introdurre l'ennesima eccezione per trattenere fuori ruolo oltre ogni limite di tempo uno dei mille magistrati assunti alle sue dipendenze (in sostituzione di altrettanti del governo precedente) riportiamo un intervento di Andrea Mirenda che pone l'accento sulla più urgente delle riforme che darebbe un senso, vero e sostanziale, al principio della separazione dei poteri.  

Irrimediabilmente offuscato se un capo di gabinetto o un direttore di un ente nominato politicamente va a fare il capo di una procura della repubblica. 

Ma questa "separazione delle carriere" è scomoda per tutti e non è all'ordine del giorno, neppure di questo Governo.       

Ecco il testo.
 
In disparte ogni valutazione sul merito delle decisioni, ovviamente riservata al giudice dell'impugnazione, credo che la vicenda Apostolico o quella fiorentina ci offrano, comunque, una preziosa opportunità per discutere serenamente, senza contingenti fini strumentali, intorno al valore etico e deontologico della cosiddetta "apparenza di indipendenza".
Una raccomandazione, questa, puntualmente recepita anche in sede unionale, a riprova del suo preciso valore fondativo in ambito giurisdizionale.

Molti sono i pericoli di appannamento dell'apparenza di indipendenza, non solo - come oggi certa stampa vorrebbe far credere - quando il magistrato manifesti, in piazza o sui social e in modo più o meno scomposto, il proprio pensiero civile e politico; invero, questo principio entra in crisi - forse con non minore intensità - anche quando il magistrato si pone in condizioni di percettibile subalternità al potere politico e/o amministrativo, come sovente accade nelle ipotesi più esposte di "fuori ruolo".

Immaginiamoci, ad esempio, i casi del Capo di gabinetto, del Direttore Generale o del Sottosegretario presso una delle tante articolazioni ministeriali. 

Siamo davvero certi che questi magistrati, per quanto tecnicamente valorosi, non palesino una chiara opzione politica ai danni non solo della separazione dei poteri ma anche, e ancor più, della terzietà
della toga?

Ecco, mi permetto di osservare che l'oramai ineludibile dibattito consiliare su questi temi troverebbe grande giovamento se preceduto da quello franco, non paludato e orizzontale, tra noi  tutti, giudici e pubblici ministeri, anche alla luce dei principi costituzionali e comunitari che presiedono alla materia.

Il giudice, in sintesi, deve o no apparire indipendente? E se sì, quali le manifestazioni, quali i comportamenti idonei a mettere a rischio questo valore? Quali i ragionevoli limiti interni alla libertà di manifestazione di pensiero del giudice, tenuto conto che chi - come noi - ha poteri immensi non può
razionalmente rivendicare i medesimi diritti degli altri cittadini, secondo l'adagio elementare "tanti poteri/tanti doveri"?

E soprattutto, nel Terzo Millennio, c'è ancora bisogno del pensiero engagé di noi magistrati?

Una società civile globalizzata e "di rete", capace di interrogarsi e di elaborare una vastità di opinioni immaginabile solo vent'anni fa, ha ancora bisogno del faro togato?

Oppure quel faro rischia di essere, in questo tempo liquido, solo velleitario fattore di confusione e disorientamento ordinamentale?

Ecco, penso che un simile dibattito sarebbe di grande giovamento per tutti noi Consiglieri; ci aiuterebbe a mettere a fuoco, oltre ogni furbizia e autoreferenzialità correntizia, un tema che - se abbandonato al suo destino randomico - sarà foriero di gravi conseguenze generali.

Andrea Mirenda

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lunedì 16 ottobre 2023

L'imparziale di destra.



di Nicola Saracino - Magistrato 

Dalla Corte di Cassazione al Governo, senza tappe intermedie. 

Oggi giudico, ma domani governo.  

Senza essere iscritto ad un partito politico, che quello è vietato ad un magistrato. 

E dallo scranno del  Governo  mi metto a pontificare sul perché sia indispensabile che i magistrati, oltre ad esserlo, appaiano imparziali.

Ma imparziali di destra o di sinistra? Vien da chiedersi. 

Perché è a tutti evidente che l’immonda pantomima scatenatasi intorno al caso del giudice Apostolico è soltanto un pretesto per additare decisioni giudiziarie sgradite come frutto di astio politico, anziché di ordinaria applicazione di norme giuridiche. 

Ed il Governo in carica non si distingue da quelli precedenti che pure hanno demolito colleghi onesti quando hanno toccato corde sgradite al potere. 

Con la differenza che i governi di sinistra, di solito, trovano agile sponda istituzionale nel CSM che risponde ai comandi della politica, allo “sconcerto” del potente quando è un amico.  

In questo caso l’aggressione viene da destra e la risposta del potere togato è stata un no. Con la richiesta d’apertura d’una “pratica a tutela” della dottoressa Apostolico, sottoscritta da numerosi consiglieri superiori, s’è posto lo sbarramento a qualsiasi velleità di colpirla disciplinarmente.

Il dott. Mantovano evoca, ancora, applicazioni della legge da intelligenza artificiale, senza pensiero né senso critico, rimettendo alla sola Consulta il potere di giudicare le leggi secondo i valori della Carta costituzionale.

Dimenticando che il disastro giuridico, questa volta, si deve ad un DM (decreto ministeriale) verosimilmente elaborato dalle toghe governative; non è una legge, ma un atto che deve osservarla e che se vi contrasta vale come il due di bastoni a briscola. 

Anzi, quel DM è talmente mal pensato che ha posto esso stesso in pericolo la corretta applicazione dell’intera normativa sul doveroso controllo dell’immigrazione. 

L’avranno concepito - a comando - proprio quei magistrati "indipendenti" che vengono chiamati a servire il governo di turno, dal quale prendono ordini, quali che siano. 

Dottor Mantovano, se mai tornerà a fare il giudice, chieda alle parti in causa se appare loro politicamente "imparziale".

  




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sabato 7 ottobre 2023

Il bue e l'asino.


di Nicola Saracino  - Magistrato 

Soltanto pochi anni fa la Corte Costituzionale (sent. n. 170/2018) aveva ribadito (perché già lo aveva detto con la sent. n. 224/2009) che è conforme alla Costituzione la legge che vieti l’iscrizione dei magistrati a partiti politici, o la loro partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici, anche perché è la stessa Costituzione (art. 98, comma 3) a demandare al legislatore di valutare se e come limitare quelle possibilità.

A voler esser precisi la Costituzione ha previsto espressamente solo la possibilità di vietare l’iscrizione del togato ad un partito politico, non anche di partecipare alla relativa attività. Ma una lettura non formalistica della disposizione costituzionale legittima l’estensione del divieto anche alla partecipazione alla vita di partito. 

La Consulta ha, quindi, ravvisato “… lo sfavore nei confronti di attività o comportamenti idonei a creare tra i magistrati e i soggetti politici legami di natura stabile, nonché manifesti all’opinione pubblica, con conseguente compromissione, oltre che dell’indipendenza e dell’imparzialità, anche della apparenza di queste ultime: sostanza e apparenza di principi posti alla base della fiducia di cui deve godere l’ordine giudiziario in una società democratica”. 

E come mai, vien da chiedersi, nonostante la lungimiranza del Costituente, siamo, per l’ennesima volta, al cospetto di una polemica innescata da un provvedimento giudiziario che si sospetta ispirato da motivazioni politiche avverse a quelle del Governo? Si noti, accuse lanciate ancor prima della diffusione di un video ritraente l’autore di quel provvedimento ad una manifestazione in favore dello sbarco di migranti. 

Sulla scia della vicenda catanese, dopo pochi giorni, s’è innestato anche un provvedimento col quale il tribunale di Firenze ha negato che la Tunisia sia uno stato “sicuro” ai fini del rimpatrio. 

Alcuni osservatori segnalano che il presidente del collegio fiorentino è un noto appartenente di Magistratura Democratica (una corrente di magistrati definita “di sinistra”) e che un altro giudice aveva rivestito in passato ruoli di alta amministrazione con governi politicamente antagonisti di quello attuale. 

Abbiamo quindi tre diversi elementi che si possono individuare come cause scatenanti del sospetto di parzialità del giudice.

Il primo è dato dalla condotta individuale del magistrato che ritenga di non tenere per sé i propri convincimenti ideologici (anche su singoli temi di rilevanza sociale) ma anzi li diffonda attraverso internet  o comunque non tema di partecipare a manifestazioni pubbliche e d’essere quindi riconosciuto. 

Il secondo consiste nella “appartenenza” del magistrato ad associazioni togate (le cd. “correnti”) che vengono riconosciute all’esterno per i loro tratti ideologici e politici, quando addirittura essi non siano pubblicamente rivendicati.  

Il terzo scaturisce dalla collaborazione del magistrato ad attività che non dovrebbero essergli proprie, come quelle di ausilio alla politica quando essa si fa “governo”. Sono assai numerosi i magistrati che abbandonano temporaneamente i propri compiti per andare ad aiutare il Governo di turno e ad ogni cambio di Governo vi è una transumanza di toghe sul tragitto che dalle aule di giustizia conduce agli uffici ministeriali e viceversa. Perché ogni Governo chiama “i suoi” magistrati di fiducia. 

Partendo dall’ultimo punto, il Governo in carica non fa eccezione e gli uffici ministeriali si sono riempiti di toghe “appartenenti” ad una corrente tradizionalmente classificata come conservatrice. Un magistrato è addirittura Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con funzioni di Segretario del Consiglio ed il Ministro della Giustizia è un magistrato in pensione che mai, quando era in attività, ha nascosto le proprie idee politiche sui temi della giustizia. 

Gli stessi osservatori che oggi, per così dire, fanno le pulci ai provvedimenti giudiziari sulla base della vita anteatta dei loro autori c’è da scommettere che non dubiteranno, un domani, dell’imparzialità dei togati che sono alle dipendenze dell’attuale governo e che torneranno ad esercitare la giurisdizione.  

Ecco la prima trave che la politica non ha voluto affrontare: vi è penuria di magistrati, gli organici sono largamente scoperti, i tribunali soffrono. 
Si abbia il coraggio - come peraltro suggerisce oggi l’avvocatura - di attingere i collaboratori in altri ranghi lasciando ai magistrati i propri compiti ed evitando di “colorarne” politicamente la futura attività giurisdizionale, perché è inevitabile che ciò avvenga. 

Le correnti, nate come associazioni professionali di magistrati, hanno nel tempo assunto una struttura analoga a quella dei partiti politici, sia pure nel microcosmo della gestione del potere togato. I magistrati italiani sono piuttosto democratici, votano moltissimo. Votano per scegliere i propri rappresentati “sindacali” a livello locale e poi a livello nazionale; votano, a livello locale, per eleggere i Consigli Giudiziari ed a livello nazionale per eleggere i componenti togati del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura). Il voto implica campagne elettorali, organizzazione sul territorio, un elettorato da curare e da premiare.
  
Cosa siano divenute le correnti è la storia che questo Blog racconta da oltre quindici anni. 

Anche in questo caso la nostra proposta di troncare la politicizzazione del CSM estraendone a sorte i candidati è stata snobbata dalla politica, di destra e di sinistra. 
E’ legittimo pensare, anzi, che sia proprio la politica a desiderare magistrati di destra e magistrati di sinistra. 

Infine, la manifestazione individuale da parte del togato delle proprie idee politiche (generali o su singoli temi) non può certo essere impedita invocando l’art. 98 della Costituzione che limita solo la partecipazione alla vita dei partiti politici. Né è ipotizzabile (e manco auspicabile) che il magistrato debba esser privo di valori politici, culturali, ideologici. L’apparenza di imparzialità dev’essere sempre salvaguardata in relazione ai processi nei quali il magistrato è chiamato a svolgere le sue funzioni, alle singole vicende sottoposte al suo esame. Nelle quali applicherà la legge secondo scienza e coscienza, con quel tanto di ineliminabile “filtro” dato dalla propria personale esperienza, sociale e professionale, dalla propria cultura, non soltanto giuridica. A contare dovranno essere solo gli argomenti addotti a sostegno della decisione che, in sede d’impugnazione, saranno cassati se sbagliati, non perché di destra o di sinistra. 

Perché se bastasse l’etichetta di magistrato “di destra” o “di sinistra” a comprometterne l’imparzialità e quindi la credibilità, sarebbe la politica (di destra e di sinistra), prima ancora della magistratura, a dover recitare un fragoroso mea culpa.

Il bue e l'asino, stavolta, hanno entrambi le corna.  









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venerdì 6 ottobre 2023

Notizie dal territorio.



di Nicola Saracino - Magistrato 

E’ piena tempesta tra politica e magistratura. 

Con la prima che accusa i magistrati di frapporsi alla politica di contrasto all’immigrazione,  boicottando i legittimi decreti del governo per “partito preso”.  

E così, spostando l’argomentazione dal merito della materia  - i quasi 5.000 euro di cauzione pretesi dal migrante per evitargli il “trattenimento” – a quella personale, viene messa in dubbio l’imparzialità del giudice. 

Anche attingendo a documenti come filmati risalenti nel tempo che lo ritraggono mentre partecipa ad una manifestazione in favore dello sbarco di migranti. 

Giustificate le immediate preoccupazioni manifestate dall’ANM per bocca del suo presidente Santalucia: da dove viene quel documento, perché lo si tira fuori proprio adesso? 

Questa sensibilità, va notato, manca del tutto quando l’ANM evita di vedere quel che accade all’interno del potere togato, che sfoggia condotte del tutto assimilabili a quelle oggi criticate con seria preoccupazione. 

Vi è un intero capitolo del primo saggio a firma Sallusti-Palamara che si occupa del cosiddetto “cecchinaggio”.

In cosa consiste? 

Quando si vuole ostacolare un magistrato che aspira ad un incarico importante si fa in modo che “escano” notizie, spesso di  fonte imprecisata, capaci di offuscarne l’immagine, non di rado bastevoli a smorzarne gli appetiti di carriera, inducendolo a revocare la domanda.  

Il favore col quale queste notizie spurie vengono raccolte in sede istituzionale dal Consiglio Superiore della Magistratura è testimoniato dalla prassi, ammessa da più d’un consigliere superiore, di attingere le cd. “notizie dal territorio”. 

Vale a dire che -  accantonata ogni  regola formale del procedimento amministrativo -  ciascun consigliere o meglio ancora ciascuna fazione di consiglieri (i gruppi consiliari) si mostrano assai disponibili ricettori di informazioni de-formalizzate e sottratte a qualsiasi contraddittorio con l’interessato, con buona pace delle garanzie che dovrebbero assistere ogni magistrato della Repubblica a presidio della sua autonomia dal potere. 

Ma da quale altro potere dev’essere autonomo un magistrato,  se non da quello capace di incidere sulla sua vita professionale? 

In definitiva il video di ignota provenienza oggi utilizzato per sminuire la credibilità dell’autore di una sentenza, il cui “merito” è assai poco dibattuto,  non è diverso dai sistematici dossieraggi in uso al CSM per sbarazzarsi di candidati poco graditi, quando il loro “merito”  non risulti agevolmente dubitabile.

Bastano notizie dal territorio ...  


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