venerdì 17 marzo 2023

Il chattismo finalmente all'attenzione del Csm


Novità molto importanti, questa settimana, al Csm.

Dopo quello che fonti ben informate hanno definito come un profondo e franco confronto, la quinta commissione, ossia quella che si occupa dei conferimenti degli incarichi direttivi e semi-direttivi,  ha deciso - all’unanimità – di adottare come protocollo di lavoro quello di acquisire sempre, per ciascun candidato semidirettivo/direttivo, le eventuali chat con Luca Palamara che lo dovessero riguardare onde valutarne i c.d. prerequisiti (imparzialità, indipendenza, equilibrio).

Si tratta, per il vero, di dati già presenti presso il CSM che, peraltro, nella scorsa consiliatura, sono stati usati, quando lo sono stati, asimmetricamente (studiatamente contro alcuni, sapientemente ignorati per talaltri…).

La commissione ha anche espresso l’intenzione di avviare al più presto una discussione generale dell’intero Consiglio sui riflessi deontologici del “chattismo “, nella prospettiva di proporre una circolare che vieti ai magistrati di intercedere presso i consiglieri - per sè o per altri - ai fini dell’ ottenimento di  incarichi o vantaggi personali.

Se tale circolare dovesse vedere la luce sarà sicuramente lecito per i magistrati segnalare ai consiglieri i problemi del proprio ufficio onde ricevere sollecite risposte e ausilio dall’istituzione consiliare; ma vietato darsi alle “auto/etero petulanze”, in conformità, del resto, al progetto di codice etico dei vari CSM europei della Rete Encj.

Il risultato peraltro sconfesserebbe la famigerata direttiva dell’ex procuratore generale Salvi che aveva escluso la rilevanza disciplinare delle autopromozioni, anche se petulanti.



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domenica 5 marzo 2023

Valutazioni non professionali.



di Nicola Saracino - Magistrato  

Ma è mai possibile che secondo il CSM quasi tutti i magistrati vadano promossi?

Uno dei luoghi comuni più abusati è proprio quello che spaccia l’elevata percentuale di valutazioni positive del merito dei magistrati come una disfunzione. 
 
Viene taciuto che la valutazione periodica non può essere vista come un concorso selettivo.
 
La selezione è avvenuta a monte attraverso uno dei concorsi da sempre riconosciuto tra i più impegnativi per i laureati in giurisprudenza. Talmente selettivo che molte volte non si coprono neppure tutti i posti banditi, una percentuale resta scoperta per assenza di “idonei”, nonostante di solito vi partecipino un numero di aspiranti almeno dieci volte superiore ai posti da coprire. 

La valutazione quadriennale alla quale ogni magistrato è sottoposto dopo aver superato il concorso di ammissione serve, innanzitutto, ad intercettare quelle ipotesi di inidoneità sfuggite alle maglie già molto strette del concorso di accesso in magistratura: si potrebbe verificare, nonostante la serietà del concorso, che qualcuno lo abbia superato per una soffiata della buona sorte, al di là dei suoi meriti effettivi. 

Basteranno pochi anni, o anche solo pochi mesi, per scoprire che Gastone non può scrivere sentenze né muovere accuse.

Ipotizzare che le valutazioni della professionalità servano a stilare una graduatoria di bravura dei magistrati è il primo degli equivoci  sui quali si agita la polemica che periodicamente fa capolino sui media. 

I magistrati si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni, alle quali devono essere idonei. 

Nel sistema delineato dalla riforma cd Mastella le valutazioni di professionalità non servono a dare un voto all’attività del magistrato, ma soltanto a verificarne la persistente idoneità al ruolo. 

Tanto è vero che l’esito di quella verifica può assumere soltanto tre valori: positivo, non positivo, negativo. 

Non esiste, nella legge, il compito di graduare il merito del magistrato in quella specifica sede della valutazione quadriennale della professionalità. 

Per esprimere il giudizio positivo al CSM basta verificare che tutti i parametri di valutazione  raggiungano un livello di sufficienza.  

La legge non prevede, né a mio avviso ammette, che la valutazione possa spingersi ad una ulteriore graduazione dei giudizi come avverrebbe a scuola: discreto, buono, ottimo è un fuor d’opera in relazione alla funzione di quella valutazione che, s’è detto, è soltanto quella di verificare la persistente idoneità del togato a svolgere la funzione di magistrato. 

Ad un giudizio non positivo segue un periodo di ulteriore verifica di un anno ed a quello negativo di due anni per porre l’interessato nella condizione di rimediare alle “insufficienze”.

Un graduazione è prevista soltanto per queste ultime, infatti. 

Perché solo quella “grave” giustifica una valutazione negativa. 

Se, dopo il biennio previsto dalla legge, quella insufficienza non è colmata al magistrato viene tolta la toga, è dispensato dal servizio, cioè licenziato. 

Indubbia la drammatizzazione del tema. 


Per questo la legge si è presa cura di indicare specificamente le “materie” sulle quali si esercita la valutazione svolta dal Consiglio Superiore della Magistratura, esse sono la capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno. Sempre la legge indica il dovere del CSM di ancorare il giudizio a dati oggettivi, per evitare che la valutazione di professionalità divenga uno strumento di indebita pressione sulla toga.

A quelle materie il CSM, con le sue circolari, ne ha aggiunte di ulteriori, non previste dalla legge e le ha chiamate  “prerequisiti”: si entra nel vago, nell’insondabile,  spesso nell’arbitrario. 

Indipendenza, equilibrio, imparzialità.

Doveri la cui violazione è già sanzionata disciplinarmente, con fattispecie punitive che di facciata dovrebbero essere “tassative”, vale a dire ben descritte dalla legge proprio per evitare l’arbitrio del giudice (che poi è sempre il CSM, in una sua articolazione). Ed il codice disciplinare già prevede autonomamente la sanzione della rimozione dall’ordine giudiziario, nei casi più gravi. 

Queste materie (i cd. prerequisiti), pur non previste dalla legge, sono quindi entrate nel vaglio quadriennale dell’attività del magistrato, purtroppo con l’avallo - non sufficientemente meditato -  del giudice amministrativo, al quale basta che il rilievo mosso dal CSM al magistrato in sede di valutazione di professionalità appaia “verosimile”, cioè non serve la prova, a differenza di quanto avviene nel giudizio disciplinare (si veda, ad es. TAR Lazio 12567/2022).   

Messa così la valutazione diventa autentica clava non regolamentata nelle mani del potere correntizio che domina al CSM, tanto da sfociare in un, vago quanto temibile, “giudizio globale sulla personalità del magistrato” (Tar Lazio, già citato). 

Il potere correntizio è qui evocato perché sovente, anzi quasi sempre, anche una valutazione di carattere tecnico qual è quella sulla professionalità viene assunta sulla base di votazioni settarie, faziose, nel senso che tutti i membri di un gruppo (di potere)  esprimono lo stesso voto.  

Perché il CSM non è come la commissione del concorso di accesso in magistratura.

Il CSM, a differenza della commissione di concorso, è elettivo, sbandiera e rivendica la sua “politicità”.

Politicità che si riversa anche in compiti che la legge vorrebbe invece esclusivamente tecnici ed ancorati a dati oggettivi.

Dopo questi cenni si può dar conto di una polemica “politica” sollevata da una pratica recentemente esaminata dal CSM e che riguardava un magistrato attinto da sospetti di collusione con ambienti criminali, sospetti del tutto fugati sia in sede penale che disciplinare: quel magistrato si era cioè difeso negli ambiti nei quali è previsto che gli si possano muovere accuse specifiche, quella penale e quella disciplinare. 

Il CSM, alla fine, ha riconosciuto il positivo superamento della valutazione di professionalità, ma “a maggioranza”. 

I componenti di un gruppo di potere magistratuale, di una corrente denominata AreaDG, volevano rimuovere quel magistrato, cogliendo l’occasione di una valutazione che una dissennata giurisprudenza amministrativa consente si svolga sulla base della mera verosimiglianza dell’addebito, esclusa ogni necessità di provare specifiche accuse. 

Di quell’opzione “politica” si fa vanto quel gruppo accusando - neppure velatamente - gli altri componenti del CSM di non affrontare la "questione morale", per giunta  in una sede puramente tecnica  quale dovrebbe essere quella in discorso, a garanzia non del singolo magistrato ma dell'indipendenza di tutti i magistrati.   

Se ne ha conferma a questo link, nel paragrafo intitolato Le relazioni pericolose di un magistrato in valutazione.  

In quel particolare caso, peraltro, s’era verificato che all’interessato - che con la valutazione negativa avrebbe perso il lavoro - non era stato in pratica neanche dato il “monito” che, per legge, deve precedere la valutazione del biennio decisivo, quello “vitale” che segue una prima valutazione negativa. 

Ciò perché, reputandosi il CSM padrone del tempo e ritardando a suo arbitrio le valutazioni di professionalità, aveva ritenuto di valutare, per licenziare un magistrato, non già il biennio che aveva fatto seguito alla  prima valutazione negativa - come espressamente pretende la legge - ma il biennio successivo al quadriennio già negativamente valutato.  

Il lettore attento, e si spera anche qualche cronista, dispone ora di strumenti di conoscenza ulteriori sul tema della valutazione di professionalità del magistrato, questione che non va decisa per “partito preso” da un CSM politico, ma sulla base della rigorosa applicazione della legge. 


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mercoledì 8 febbraio 2023

Aria nuova al C.S.M.



Da oggi iniziamo la pubblicazione periodica di stringati resoconti delle attività più significative dell’unico consigliere togato indipendente del Csm, in quanto eletto previo sorteggio degli eleggibili.

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 Il 25 gennaio scorso il plenum del Csm ha eletto a maggioranza il proprio vicepresidente nella persona dell’avv. Fabio Pinelli.

Tale votazione è stata preceduta da quella di approvazione della delibera della Commissione Verifica titoli che aveva escluso vi fossero condizioni di ineleggibilità per tutti i consiglieri.

Ebbene, quest’ultima delibera del Csm ha avuto un solo voto contrario, quella del consigliere togato dott. Andrea Mirenda, che si è espresso per l’ineleggibilità del prof. Roberto Romboli.

Il voto del consigliere indipendente è dipeso dalla considerazione che l’art 104, comma 3, della Costituzione prevede che i componenti laici del Csm debbano essere scelti dal Parlamento “tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio”.

Ebbene, il prof. Romboli è stato professore ordinario di Diritto costituzionale all’università di Pisa dal 1987 al 2021 e dall’ottobre 2022 è professore emerito presso lo stesso ateneo.

Quindi essendo un professore emerito, non un ordinario, non avrebbe avuto il requisito previsto.

Del resto, quando i costituenti quando hanno voluto riferirsi a figure professionali in quiescenza lo hanno detto espressamente.

L’articolo 135 della Costituzione, per esempio, prevede che i giudici della Corte costituzionale possano essere scelti “fra i magistrati anche a riposo, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio”.



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sabato 21 gennaio 2023

Ridateci Fofò.



di Nicola Saracino - Magistrato 

Il terribile virus paralizzava il Paese. 

Il lock-down veniva accettato dai più quale porzione di libertà da sacrificare in nome della salute pubblica. 

La compresenza di persone era infatti il miglior veicolo per la diffusione del virus.  

La paralisi andava limitata con i mezzi possibili. 

Con riguardo alla Giustizia  venne in soccorso l’informatica e la telematica: era possibile celebrare i processi anche a distanza, senza, appunto, la compresenza delle persone coinvolte (parti, avvocati, cancellieri, giudici e, non ultimo, il pubblico). 

In questo catastrofico quadro ebbe origine la disciplina cd “emergenziale” dei processi, civili e penali. 

La personale esperienza professionale mi induce a limitare lo sguardo al settore civile per dire che quelle poche norme, ideate e promulgate in tutta fretta, hanno consentito alla giustizia civile non solo di sopravvivere al Covid ma addirittura di migliorare le proprie performance essendosi registrato un generalizzato aumento della cd “produttività” del sistema, vale a dire che sono aumentate le definizioni delle cause. 

Questo perchè, per la prima volta, una riforma processuale aveva effettivamente liberato risorse di tempo da dedicare alla stesura dei provvedimenti (sentenze ed ordinanze) da parte dei giudici; l'udienza telematica ha il pregio di far risparmiare molto tempo a tutti (avvocati, cancellieri, giudici).   E quel risparmio di tempo s'era tradotto in un innegabile aumento dei provvedimenti che i giudici possono redigere.   

Quel sistema, concepito quando al Ministero della Giustizia era insediato Salvatore Bonafede, è stato via via prorogato anche dal  successivo Governo.

Al quale, tuttavia, è venuto in mente di intervenire su meccanismi  già sperimentati che avevano offerto ottima prova sul campo.
 
La presunzione gioca sempre brutti scherzi. 

Siamo in epoca di PNRR (Piano nazionale di resistenza e resilienza) la cui attuazione è condizione alla quale vengono subordinati i finanziamenti europei. 

Ed allora, trascurando che era stato già fatto molto per modernizzare il processo civile, s’è pensato di innovare ulteriormente la disciplina del processo telematico, stravolgendo le abitudini degli operatori (avvocati, cancellieri, magistrati) appena acquisite e che non erano affatto “vecchie” in quanto maturate in un solo biennio di vita del processo civile telematico sostitutivo    di quello in “presenza”. 

E’ così che vede la luce la riforma che prende il nome dal Ministro della Giustizia Cartabia che, in pochi tratti, è stata capace di smantellare quanto di buono era stato già fatto dal predecessore.

Perché d’un colpo ha fatto  scomparire l’udienza come concetto di riferimento del processo civile che per puro nominalismo viene soppiantata dallo scambio di note telematiche pre-autorizzato dal giudice.

Con conseguenze devastanti. 

Gli applicativi software ministeriali, infatti, proprio sull’udienza sono calibrati e la sua (prematura ed inutile) scomparsa ha letteralmente mandato in tilt gli uffici giudiziari. 
Riforma che deve essere apparsa così intelligente al nuovo governo tanto da anticiparne addirittura l’entrata in vigore. 

Con quali devastanti effetti sarà presto visibile a tutti. 

In molti uffici giudiziari si annuncia il ritorno alla compresenza ed  alla carta, tanto risulta ostico l’impiego  della telematica non tempestivamente aggiornata da chi ne ha il compito (il Ministro della Giustizia). 

Con un equivoco suicida. 

Non sarà un ritorno alla “normalità” ma un anacronistico salto nel passato.  

Si abbandonano strumenti innovativi che hanno funzionato egregiamente perché sostituiti da congegni infernali la cui praticabilità risulterà preclusa agli operatori, anche i più volenterosi. 

Il che fa suonare quell’acronimo (PNRR) in modo sinistro, quasi uno sberleffo, una sorta di pernacchia. 

Il meglio è nemico del bene.

Ridateci Fofò ... 


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