giovedì 3 luglio 2008

L’intervento del Vicepresidente Mancino sul c.d. “Decreto sicurezza”


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Abbiamo pubblicato ieri il testo integrale del parere del C.S.M. sul c.d. “Decreto sicurezza”.

Quel parere è stato votato favorevolmente da 21 componenti (laici e togati) del C.S.M., ha avuto i soli voti contrari dei due consiglieri designati dal Pdl, Anedda e Saponara; si è astenuto il consigliere Bergamo.

Pubblichiamo oggi l’intervento nel plenum del Vicepresidente del C.S.M. Nicola Mancino.

In un altro articolo (“Regimi e propaganda”) illustriamo la palese falsità dell’accusa al C.S.M. di “straripamento” dalle sue competenze.



Consiglio Superiore della Magistratura
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Assemblea plenaria dell’1 luglio 2008
Intervento del Vicepresidente Nicola Mancino



«Vicepresidente Mancino - Ringrazio tutti i colleghi intervenuti. A questo punto desidero fare una breve dichiarazione di voto.

Ringraziando innanzitutto i due relatori per la puntualità della loro riflessione ma anche per la predisposizione di un documento che, sia pure emendato, integrato, come è inevitabile in un consesso collegiale, tuttavia è risultato ricco di valutazioni, talora di tipo prevalentemente istituzionale, talaltra di sottolineature tecniche. Ringrazio sia Pepino, sia Roia. Come ringrazio per gli interventi che hanno accompagnato la presentazione di documenti i consiglieri Patrono, Ferri, Bergamo e Siniscalchi.

Personalmente non sono entusiasta del contesto in cui si sono inseriti alcuni accenti critici esterni ed interni.

Rispetto, come è doveroso, la diversa opinione, ma mi chiedo anche perché questa opinione solo adesso si diversifica – del resto lo aveva detto anche Pepino – in termini alternativi così netti.

Potrei ripetere l’osservazione della professoressa Vacca: anche le mie radici culturali, come le sue, oggi non hanno una autonoma presenza politica organizzata, perciò mi sento autorizzato a dire a chi ha sostenuto che noi esprimiamo valutazioni politiche di netta contrarietà al Governo, che questa tesi sommariamente esposta mi sembra proprio una esagerazione ed è una critica che almeno per quanto mi riguarda non posso assolutamente accettare.

Col passato governo i pareri erano spesso negativi e, tuttavia, si registravano votazioni unanimi.

Perché queste unanimità che prima c’erano oggi non ci sono più?

La mia è una domanda, una domanda alla quale bisogna dare una risposta.

Non ha importanza l’opinione che ciascuno di noi può avere. E’ importante, però, tenere conto che il ruolo e la funzione del Consiglio Superiore della Magistratura non possono oscillare a seconda del colore politico del Governo, a seconda delle maggioranze che si formano di volta in volta.

Nel momento in cui il Consiglio Superiore della Magistratura dovesse farsi orientare dalla coloritura politica delle maggioranze che il corpo elettorale legittimamente esprime, vuol dire che questo organo inevitabilmente è destinato ad essere ridimensionato anche rispetto al rango costituzionale che i costituenti vollero attribuirgli.

Vorrei spezzare una lancia a favore della magistratura.

Essa è accusata di tutti i mali, non c’è un distinguo.

Sembra che tanti onesti intellettuali-giuristi-lavoratori, che hanno scelto l’attività di giudici, debbano essere considerati in blocco come contestatori del sistema.

Loro sono i responsabili dei guasti della giustizia.

Dobbiamo fare attenzione, colleghi: chi governa, vorrei dire ad Anedda, ha il dovere di rispettare la tripartizione dei poteri.

Esiste un potere legislativo che nessuno mette in discussione, perché legittimato direttamente dal popolo, anche se quelli che sono oggi in Parlamento sono espressione nominalistica dei partiti che li scelgono e non personalmente selezionati dal corpo elettorale.

E’ uno dei difetti di questa nostra democrazia.

I magistrati che oggi sono al Consiglio Superiore della Magistratura sono eletti dalla loro categoria e non sono tutti di sinistra radicale.

Oltretutto con una cultura di sinistra che è in crisi profonda, quasi irreversibile.

L’aggressione al Consiglio Superiore della Magistratura avviene per il fastidio che un parere autonomo, espresso liberamente, neppure vincolante, provoca al potere che si costituisce o al potere costituito.

Questo è un dato che dobbiamo tenere nella massima considerazione.

Perciò, nel rispetto di tanti magistrati, mi sento di affermare che, se la giustizia non funziona, la colpa è semmai di chi è stato classe dirigente, indipendentemente se ha avuto responsabilità di governo o di opposizione.

I processi hanno una durata insopportabile perché scarsa è la burocrazia di supporto alla magistratura; i processi non vanno avanti perché non siamo stati capaci di razionalizzare l’Ordine Giudiziario, anche dal punto di vista della provvista e della revisione delle circoscrizioni.

Non sono un difensore di ufficio dei giudici, ma uno di quelli che ritiene necessario fare precisazioni e distinguo: attenzione a non degenerare in giudizi sommari, magari ritenendo che esiste una parte malata – la magistratura –, mentre la parte buona sarebbe tutta la classe dirigente politica, legittimata dal consenso elettorale.

L’opinione secondo cui i magistrati non lavorano con assiduità, continuità e dedizione non può essere accettata anche perché generica, immotivata, fuorviante e mirata.

In una contingenza politica come quella in atto l’indebolimento del Parlamento a vantaggio dell’Esecutivo pone un problema di ristabilimento degli equilibri istituzionali.

La demonizzazione della magistratura aiuta quella corrente di pensiero che considera il governo perno esclusivo della democrazia. Non è il mio pensiero.

Ma tutte queste contestazioni quotidiane, puntuali nei confronti del Consiglio Superiore, mosse da alcuni neocultori di un costituzionalismo improvvisato finiscono per fare danno: “il CSM va contro la Costituzione, perché i compiti del Consiglio Superiore sarebbero compiti meramente amministrativi!”.

Ma come vi permettete di dare pareri, sembra di ascoltare ogni giorno.

Mi sento di difendere l’organo di autogoverno.

Ad Anedda, che pure è un fine giurista, mi sento di dire che resto convinto assertore della obbligatorietà dell’azione penale.

Stiamo attenti, non irridiamo alla obbligatorietà dell’azione penale.

Insufficiente, di fronte all’obbligo costituzionale, il legislatore; e insufficiente il Governo a non dotare di mezzi e di uomini per fare il giusto processo, per assicurare la ragionevole durata del processo, che è una questione essenziale, direi dirimente.

Sono per l’obbligatorietà – e sarò anche romantico – ma mi rendo anche conto che ci sono molti processi che non vanno avanti.

Convengo che c’è anche una responsabilità del magistrato che allunga i tempi dei processi.

Sulla priorità devo osservare che il procuratore Maddalena ha restituito nelle mani del Consiglio Superiore della Magistratura una ipotesi organizzatoria che il plenum, dopo il vaglio della Settima Commissione, ha convalidato.

Questo dobbiamo spiegare alla gente: se si invoca una circolare, dobbiamo anche dire che quella circolare ha registrato il consenso neppure unanime del plenum.

Sono stato trent’anni parlamentare e ho avuto responsabilità rilevanti come Presidente del maggiore gruppo parlamentare, come Ministro dell’Interno e come Presidente del Senato.

Queste responsabilità da me assunte mi consentono di poter dire che mi resta un dubbio sulla rilevanza del parere.

E quand’è che mi sorge questo dubbio?

Non quando c’è il disegno di legge: se il Governo rinunciasse ai decreti legge e non presentasse nessun disegno di legge – ipotesi impossibile –, l’attività legislativa sarebbe espressione delle sole iniziative parlamentari.

In tali ipotesi non dovremmo esprimere il nostro parere al governo, perché interferiremmo nelle iniziative parlamentari?

Nel caso del decreto sicurezza non sfugge a nessuno che l’emendamento sulla sospensione dei processi è stato presentato in Parlamento: su quell’emendamento non possiamo dire neppure che c’è una qualche contraddizione?

O, come ha detto Siniscalchi, che non si capisce perché 2002 e non 2001 o non 2003: noi francamente non ne conosciamo la ratio.

La ratio non è collegata direttamente alla Carta Costituzionale.

E’ la ratio della legge, la necessità di comprendere in quale direzione ci muoviamo e per quale motivo facciamo un provvedimento.

Neppure io, collega Siniscalchi, l’ho capito. Eppure non sono totalmente sprovveduto. Non sono, certo, un penalista, ma mi giovo della collaborazione, dell’aiuto, del consiglio che mi può dare un avvocato di grido come Siniscalchi, per dire: ma se non l’hai capito tu, come si fa a pretendere che lo capisca io, uomo normale, inserito in una società molte volte anormale?

Il Capo dello Stato ha fatto bene, l’ho detto all’inizio della seduta, cara Letizia Vacca.

Se ne sono subito appropriati altri.

E il Capo dello Stato ha dovuto subito precisare: “guardate, io non ho risposto a nessuna iniziativa, sono intervenuto oggi in previsione dei lavori del CSM, ma la lettera l’avevo scritta qualche giorno addietro”.

Se sono esatte, come io ritengo, le riflessioni fatte dal Capo dello Stato e trasmesse al Consiglio Superiore della Magistratura, questa gioiosa partecipazione a dichiarazioni di adesione mi dà l’impressione che sono espresse come davanti a un bar. “Siamo stati ascoltati e abbiamo avuto ragione”.

Questa fretta nelle dichiarazioni, questo esporsi, attraverso dichiarazioni, in prima fila, è fatto anche per dare l’impressione di avere messo il CSM in angolo.

Esso dovrebbe pentirsi non si sa di che cosa?

Abbiamo dato pareri critici durante il governo Prodi e abbiamo sollevato problemi anche collegati all’ordinamento costituzionale.

Né il Ministro Mastella - nè nessuno della maggioranza - si è sentito offeso perché espropriato.

Ritengo che il nuovo Ministro Alfano sia in grado di dare il suo illuminante contributo per risolvere molti problemi della giustizia – e il Ministro ha la mia fiducia che questo possa avvenire –: e allora perché ci dovrebbe criticare?

Per un parere che ha ricadute sul funzionamento dell’attività giurisdizionale, che ripeto, non vincola nessuno, neppure lui che lo riceve?

Tu affermi, Anedda, che la sospensione è necessaria perché bisogna perseguire i reati più forti: sembra che quelli con sanzioni inferiori ai dieci anni non sono di forte allarme sociale!

Ma non è così, l’hanno scritto Roia e Pepino.

Vorrei avviarmi alla conclusione con un appello: almeno qui, spogliati della veste di uomini di parte, noi laici eletti dal Parlamento, e credo tutti i togati nella pienezza della loro funzione di autonomia e di indipendenza che sono stati eletti liberamente dalla magistratura, rispettiamoci con l’ammettere che quando un provvedimento non va, non va per tutti.

E dire questo, a proposito della sospensione dei processi, non significa avere demonizzato una ipotesi emendativa che è nella pienezza dell’autonomia del Parlamento.

La approvino, non possiamo che prenderne atto.

Essa è un contributo alla confusione – desidero dirlo a Saponara – ma non è, come lui ha detto, l’ideologia.

A mio avviso, e con estrema franchezza, ho il diritto di lamentarmi del trattamento che ha ricevuto questa istituzione che io qui, grazie alla solidarietà del Capo dello Stato e alla vostra volontà, sto presiedendo.

Quando il Governo sbaglia, e qualche volta può anche sbagliare, possiamo ancora muovere una critica?

Nel passaggio degli emendamenti da una Camera all’altra, quando essi interessano l’Ordinamento Giudiziario, dobbiamo poter dire la nostra opinione?

La crisi della giustizia si risolve attraverso assunzioni di responsabilità.

Questo tutti dovremmo fare.

E anche questo documento ci fa dire qual è la nostra proposta.

Noi non vogliamo andare fuori dal seminato, ma vorremmo essere ascoltati almeno dal Ministro.

Vi ringrazio.»


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