martedì 30 maggio 2023

La sorte è cieca ma la sventura ci vede benissimo.



Capita, è capitato, che in uno strafalcione  incappi anche chi non dovrebbe. 

Nell’ultimo concorso in magistratura una delle tracce elaborate dalla commissione (della quale fanno parte magistrati,  avvocati e professoroni) conteneva un evidente errore, linguistico con ricadute giuridiche. 

La sorte  - quando si dice fortuna – ha voluto che quella traccia non fosse sottoposta ai candidati  perché non estratta dalla rosa che si deve necessariamente comporre per evitare imbrogli (anche questi, purtroppo, non sconosciuti alle cronache). 

I membri della commissione provenienti dalla magistratura sono, per l’appunto, sorteggiati tra chi aspira ad esserne parte e dimostri il possesso di alcuni titoli e requisiti. 

E’ trapelato che l’errore nell’elaborazione di quella traccia fosse riferibile proprio ad un magistrato.

Ma questa è solo la nascita dello “scandalo”. 

Perché un tema, sebbene proposto da un solo membro della commissione, deve essere approvato collegialmente.  E nessuno ha impedito che lo strafalcione comparisse in uno dei temi che potevano essere proposti ai giovani dottori in legge.  

Tutti insieme, magistrati, avvocati e professoroni, non si sono accorti dell'erroraccio. 

Tutti colpevoli,  nessun colpevole? 

E’ preferibile, invece,  distribuire equamente le responsabilità e quindi se somarata vi è stata e se essa è partita da un singolo,  va anche rimarcato che non ha trovato alcun ostacolo nel vaglio al quale erano tenuti tutti gli altri componenti la commissione. 

La vicenda è stata colta al balzo da una corrente togata, Magistratura Democratica, per svilire il metodo del sorteggio a monte della selezione della commissione esaminatrice che si vorrebbe, invece, accuratamente lottizzata dal potere correntizio, l’unico imperante in magistratura. 

E’ facile immaginare, a quel punto, che i candidati all’esame da magistrato non dovrebbero temere soltanto gli eventuali infortuni nella predisposizione delle tracce,  ma prestare molta attenzione alle stesse soluzioni date ai problemi giuridici di volta in volta prescelti, poiché  le prove potrebbero essere valutate “ideologicamente” e non soltanto giuridicamente. 

Perché di questo si tratta, nella migliore delle ipotesi:  l’ideologia che tenta d’impadronirsi della stessa gestazione dei futuri magistrati. 

In quella peggiore,  è il correntismo che propaga i suoi tentacoli non solo tra i magistrati, ma anche tra gli aspiranti tali. 

E la sfortuna, di solito,  ci vede benissimo.  


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domenica 21 maggio 2023

Senza capo … né coda.




«Reputo sia inaccettabile che un Paese civile non abbia il procuratore capo di Firenze, non abbia il procuratore capo di Napoli, non abbia il presidente del tribunale dei minorenni di Roma, che non abbia una guida in uffici chiave del Paese, magistrati che devono anche coordinare i magistrati più giovani. Credo sia inaccettabile e vi assicuro che finché avrò risorse, e ne ho parecchie, mi batterò ogni giorno, h24, sabato e domenica inclusi, per giungere a questo risultato».

Dichiarazioni impegnative, quelle del vice presidente del CSM Pinelli riportate dalla stampa.

Preoccupazioni esagerate: c’è una procura della Repubblica a Firenze, a Napoli ed anche un tribunale dei minorenni a Roma.

La mancanza del “capo” non è mai stata d’ostacolo al regolare funzionamento degli uffici giudiziari. 

Anzi, talvolta. 

Che il CSM sia divenuto un nominificio lo sappiamo da ben prima dei tempi di Palamara, l’ossessione carrieristica delle toghe sgomitanti ha avuto il sopravvento ed il CSM non si occupa d’altro da lustri. 

Non s’interessa del buon funzionamento degli uffici, delega tutto ai “capi”, selezionandoli tra quelli che hanno i migliori risultati elettorali in seno al “parlamentino delle toghe”, cioè i voti partitici delle correnti.

Ecco cosa nasconde lo slogan della scelta del “migliore” per ogni ufficio: la corsa correntizia all’accaparramento dei “migliori” uffici per la propria casacca. 

A costo di sottrarsi, reiteratamente, agli annullamenti del Consiglio di Stato: ci sono dei patti da rispettare. 

A questa forsennata e dissennata cuccagna sembra dare ulteriore vigore il vice presidente Pinelli, assai dotato di risorse, a quanto pare. 

Si preoccupa per i giovani magistrati senza capo.

Peccato che il “capo” è sovente più giovane dei magistrati che già prestano servizio nell’ufficio giudiziario.

La sopravvalutazione dei compiti del dirigente dell’ufficio giudiziario spinge, ineluttabilmente, verso la  gerarchizzazione, un paradosso per i giudici che dovrebbero vivere, invece, di indipendenza. 

Questa la coda, assai indesiderabile per i cittadini, della filosofia del “capo” predicata in ambito togato.

Se davvero la preoccupazione fosse quella di non lasciare vacanti le funzioni organizzative degli uffici giudiziari sarebbe molto semplice assicurarne la continuità prevedendo, ex ante, un meccanismo di rotazione tra i magistrati, capace di tranquillizzare anche il vice "capo" del CSM.


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martedì 16 maggio 2023

ANM di lotta e di governo.



di Nicola Saracino - Magistrato 

Agitati. 

Come al solito i magistrati fibrillano quando accade qualcosa che, apparentemente, non sia stata previamente concordata con loro. 

All’epoca della vicenda riguardante la dr.ssa Clementina Forleo e, successivamente, di quella etichettata come ”guerra tra le procure” di Salerno e Catanzaro,  le iniziative punitive contro i magistrati trovarono ampio supporto interno alla casta dei magistrati che, per bocca dei loro rappresentanti, invogliavano il Ministro della Giustizia ad esercitare l’azione disciplinare e plaudivano senza ritegno al trasferimento della dr.ssa Forleo, del quale venne poi sancita l’illegittimità dal giudice amministrativo. 

Oggi il Ministro accusa alcuni magistrati della Corte d’Appello di Milano di aver favorito la fuga di un cittadino russo posto, cautelarmente,  agli arresti domiciliari anziché essere custodito in carcere.
 
Tenuto conto degli intendimenti del Ministro, che vorrebbe le misure cautelari sempre disposte da un collegio anziché dal giudice singolo e questo in funzione della garanzia dell’indagato, la sua stessa iniziativa sembra smentire i propositi dichiarati: a dire di Nordio, infatti, il collegio, in questo caso, avrebbe errato per eccesso di garanzia. 

Si metta d’accordo con sé stesso, insomma.  

Mi pare chiaro che ritengo la sua iniziativa legittima anche se è facile pronosticarne la completa infondatezza: Nordio perderà questa causa. 

Il Ministro accusi, il CSM giudichi: così stanno le cose. 

Tornando al discorso degli “agitati”, l’ANM si è riunita lo scorso fine settimana ed ha deliberato una protesta contro il Ministro cui si imputa proprio di aver adottato quell’iniziativa disciplinare.

Tacendo che il Ministro si avvale, per qualsiasi decisione debba prendere, di un apparato burocratico largamente composto da magistrati, spesso appartenenti alle stese correnti (partitini togati) che hanno in mano le redini dell’ANM. 

Se l’agitazione fosse una cosa seria, anziché la solita messinscena, l’ANM avrebbe dovuto, prima di ogni altra cosa, pretendere dai suoi soci correntisti che sono al servizio del Ministro di abbandonare l’incarico perché non si collabora con chi attenta all'indipendenza dei magistrati. 

Ma questo avrebbe significato mettere in dubbio il dogma del dominio del Ministero della Giustizia saldamente nelle mani delle correnti e quindi della stessa ANM, capace di condizionare ogni scelta occupando tutti i posti chiave ministeriali, in barba al principio della separazione dei poteri. 

Indipendentemente, da quel principio.   


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giovedì 4 maggio 2023

L'odiato algoritmo.

di Nicola Saracino- Magistrato 

C’è una querelle che si trascina da molto tempo e riguarda l’individuazione del procuratore “capo” di Reggio Calabria. 

Secondo il Consiglio di Stato (il giudice amministrativo che ha il dovere di annullare gli atti del Consiglio Superiore della Magistratura risultati illegittimi) quello in carica non doveva essere nominato perché vi era un concorrente dotato di requisiti maggiori. 

Lo ha detto già due volte, perché la prima non scongiurò la reiterazione dell’illegittimità ad opera del CSM che infatti si è visto annullare anche la seconda nomina adottata in difformità dall’"algoritmo" imposto dal Consiglio di Stato.

Algoritmo: così è stato recentemente definito il rispetto delle regole da chi gli preferisce la protervia del potere.

Perché un giudice, quale che esso sia, questo fa: impone, in concreto, il rispetto delle regole. 

In questo caso quelle contenute nel testo unico sulla dirigenza giudiziaria, una guida - non derogabile - per il Consiglio Superiore della Magistratura nello svolgimento del compito di nominare i dirigenti degli uffici giudiziari. 

Ed eccoci così al terzo atto della “commedia” che con molta probabilità vedrà il Consiglio Superiore della Magistratura sottrarsi ancora una volta all’algoritmo per affermare, contrastandolo, il suo arbitrio, il suo smisurato potere favorito anche dall’immunità dei Consiglieri superiori per i voti espressi in seno all’organo collegiale.   

Che arrechino danno o commettano illeciti, ciò non avrà conseguenze per i privilegiati sottratti ad “algoritmi” da rispettare. 

Eppure, senza neppure lambire il tema della "giustizia predittiva", proprio sull'algoritmo si basano, ironia della sorte, scelte piuttosto importanti in materia di organizzazione della giustizia: quando non si tratta di distribuire onori, ma soltanto oneri, ad esempio, è proprio l’algoritmo a stabilire quanto lavoro (quanti fascicoli, procedimenti) assegnare a ciascun magistrato e ciò avviene in modo automatico, ad evitare che si possa verificare la scelta del giudice per la singola pratica o in altre parole l’arbitro della partita.

Ecco, persino quelle poche regole stabilite dal testo unico sulla dirigenza giudiziaria - che lasciano in ogni caso notevole spazio alla “discrezionalità” del Consiglio superiore della magistratura - provocano l’orticaria al potere, non più libero di agire secondo i rapporti di forza, di patti, favori e ricatti. 

E’, questo, l’algoritmo del potere e della sua cattiva stampa: facile, sulla sua base, pronosticare l'ennesimo sberleffo alle sentenze del Consiglio di Stato.

Ingiustizia predittiva. 


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sabato 29 aprile 2023

INAUDITO !


‘Un c’è cchiù surdu…


La Quinta Commissione del CSM, che istruisce le pratiche per le nomine dei dirigenti degli uffici giudiziari e formula le proposte di nomina al Plenum, ha udito Giovanni Bombardieri, da anni in contesa con Raffaele Seccia per la nomina a Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria.

Il CSM ha già nominato due volte Bombardieri, incassando altrettante bocciature dal Consiglio di Stato.

Scopo dell’audizione, dopo il secondo annullamento della nomina all’ambita carica e con la spada di Damocle del Commissario ad acta, che interverrà se il CSM non provvederà alla nuova nomina entro il prossimo 4 maggio secondo gli stringenti criteri segnati dal Giudice amministrativo, era quello di accertare il possesso da parte dell’aspirante Procuratore dei cosiddetti prerequisiti: indipendenza, imparzialità ed equilibrio.

Al centro dell’audizione la lunga chat tra Bombardieri e Luca Palamara, allora componente del CSM e “riveritissimo” Presidente proprio della Quinta.

Il sospetto, indotto dal contenuto di detta chat, è che la nomina di Bombardieri a Procuratore reggino sia stata il frutto di un orribile patto: la revoca della domanda a Procuratore aggiunto della Capitale per lasciare spazio a Giuseppe Cascini di Area in cambio della garanzia alla futura nomina a Procuratore di Reggio.

Bombardieri effettivamente revocò quella domanda a Procuratore aggiunto, Cascini fu nominato a quel posto e, successivamente, con Palamara relatore della pratica, Bombardieri fu nominato all’unanimità Procuratore di Reggio Calabria.

Bombardieri, dal canto suo, ha negato l’esistenza di un tale accordo.

Non sembra, però, che il sospetto sia stato pienamente fugato. Dopo la sua audizione, il togato Andrea Mirenda ha fatto ciò che era naturale fare: proporre di sentire Palamara.

Ma, apriti cielo: la linearità e la logica al CSM non sono di casa. Per tutti gli altri componenti della Commissione, infatti, Palamara è pregiudizialmente inattendibile.

Nun se po’ senti’!

L’affermazione si attaglia al veto su Palamara, il quale, come chiunque altro potenzialmente nelle condizioni di fornire dati utili all’istruzione, potrebbe e dovrebbe essere udito.

Ma ci riferiamo al principio espresso dalla Quinta Commissione del CSM, quella che dovrebbe selezionare i “migliori” magistrati per innalzarli al soglio dirigenziale.

Anche la meno ferrata delle matricole di Giurisprudenza sa che il giudizio di attendibilità/inattendibilità si compie ex post, dopo la sua audizione, riguarda le dichiarazioni rese e non è una qualità intrinseca della persona.

Ma in una parte del CSM, evidentemente, oggi come ieri, si (s)ragiona in base a criteri di convenienza insondabili per i comuni mortali.

Tanto quello di Magistropoli resta territorio franco; lì, a tutti i livelli, i radar di controllo permangono inattivi o, comunque, se ci sono, le rilevazioni non destano reazioni.

 



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venerdì 17 marzo 2023

Il chattismo finalmente all'attenzione del Csm


Novità molto importanti, questa settimana, al Csm.

Dopo quello che fonti ben informate hanno definito come un profondo e franco confronto, la quinta commissione, ossia quella che si occupa dei conferimenti degli incarichi direttivi e semi-direttivi,  ha deciso - all’unanimità – di adottare come protocollo di lavoro quello di acquisire sempre, per ciascun candidato semidirettivo/direttivo, le eventuali chat con Luca Palamara che lo dovessero riguardare onde valutarne i c.d. prerequisiti (imparzialità, indipendenza, equilibrio).

Si tratta, per il vero, di dati già presenti presso il CSM che, peraltro, nella scorsa consiliatura, sono stati usati, quando lo sono stati, asimmetricamente (studiatamente contro alcuni, sapientemente ignorati per talaltri…).

La commissione ha anche espresso l’intenzione di avviare al più presto una discussione generale dell’intero Consiglio sui riflessi deontologici del “chattismo “, nella prospettiva di proporre una circolare che vieti ai magistrati di intercedere presso i consiglieri - per sè o per altri - ai fini dell’ ottenimento di  incarichi o vantaggi personali.

Se tale circolare dovesse vedere la luce sarà sicuramente lecito per i magistrati segnalare ai consiglieri i problemi del proprio ufficio onde ricevere sollecite risposte e ausilio dall’istituzione consiliare; ma vietato darsi alle “auto/etero petulanze”, in conformità, del resto, al progetto di codice etico dei vari CSM europei della Rete Encj.

Il risultato peraltro sconfesserebbe la famigerata direttiva dell’ex procuratore generale Salvi che aveva escluso la rilevanza disciplinare delle autopromozioni, anche se petulanti.



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domenica 5 marzo 2023

Valutazioni non professionali.



di Nicola Saracino - Magistrato  

Ma è mai possibile che secondo il CSM quasi tutti i magistrati vadano promossi?

Uno dei luoghi comuni più abusati è proprio quello che spaccia l’elevata percentuale di valutazioni positive del merito dei magistrati come una disfunzione. 
 
Viene taciuto che la valutazione periodica non può essere vista come un concorso selettivo.
 
La selezione è avvenuta a monte attraverso uno dei concorsi da sempre riconosciuto tra i più impegnativi per i laureati in giurisprudenza. Talmente selettivo che molte volte non si coprono neppure tutti i posti banditi, una percentuale resta scoperta per assenza di “idonei”, nonostante di solito vi partecipino un numero di aspiranti almeno dieci volte superiore ai posti da coprire. 

La valutazione quadriennale alla quale ogni magistrato è sottoposto dopo aver superato il concorso di ammissione serve, innanzitutto, ad intercettare quelle ipotesi di inidoneità sfuggite alle maglie già molto strette del concorso di accesso in magistratura: si potrebbe verificare, nonostante la serietà del concorso, che qualcuno lo abbia superato per una soffiata della buona sorte, al di là dei suoi meriti effettivi. 

Basteranno pochi anni, o anche solo pochi mesi, per scoprire che Gastone non può scrivere sentenze né muovere accuse.

Ipotizzare che le valutazioni della professionalità servano a stilare una graduatoria di bravura dei magistrati è il primo degli equivoci  sui quali si agita la polemica che periodicamente fa capolino sui media. 

I magistrati si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni, alle quali devono essere idonei. 

Nel sistema delineato dalla riforma cd Mastella le valutazioni di professionalità non servono a dare un voto all’attività del magistrato, ma soltanto a verificarne la persistente idoneità al ruolo. 

Tanto è vero che l’esito di quella verifica può assumere soltanto tre valori: positivo, non positivo, negativo. 

Non esiste, nella legge, il compito di graduare il merito del magistrato in quella specifica sede della valutazione quadriennale della professionalità. 

Per esprimere il giudizio positivo al CSM basta verificare che tutti i parametri di valutazione  raggiungano un livello di sufficienza.  

La legge non prevede, né a mio avviso ammette, che la valutazione possa spingersi ad una ulteriore graduazione dei giudizi come avverrebbe a scuola: discreto, buono, ottimo è un fuor d’opera in relazione alla funzione di quella valutazione che, s’è detto, è soltanto quella di verificare la persistente idoneità del togato a svolgere la funzione di magistrato. 

Ad un giudizio non positivo segue un periodo di ulteriore verifica di un anno ed a quello negativo di due anni per porre l’interessato nella condizione di rimediare alle “insufficienze”.

Un graduazione è prevista soltanto per queste ultime, infatti. 

Perché solo quella “grave” giustifica una valutazione negativa. 

Se, dopo il biennio previsto dalla legge, quella insufficienza non è colmata al magistrato viene tolta la toga, è dispensato dal servizio, cioè licenziato. 

Indubbia la drammatizzazione del tema. 


Per questo la legge si è presa cura di indicare specificamente le “materie” sulle quali si esercita la valutazione svolta dal Consiglio Superiore della Magistratura, esse sono la capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno. Sempre la legge indica il dovere del CSM di ancorare il giudizio a dati oggettivi, per evitare che la valutazione di professionalità divenga uno strumento di indebita pressione sulla toga.

A quelle materie il CSM, con le sue circolari, ne ha aggiunte di ulteriori, non previste dalla legge e le ha chiamate  “prerequisiti”: si entra nel vago, nell’insondabile,  spesso nell’arbitrario. 

Indipendenza, equilibrio, imparzialità.

Doveri la cui violazione è già sanzionata disciplinarmente, con fattispecie punitive che di facciata dovrebbero essere “tassative”, vale a dire ben descritte dalla legge proprio per evitare l’arbitrio del giudice (che poi è sempre il CSM, in una sua articolazione). Ed il codice disciplinare già prevede autonomamente la sanzione della rimozione dall’ordine giudiziario, nei casi più gravi. 

Queste materie (i cd. prerequisiti), pur non previste dalla legge, sono quindi entrate nel vaglio quadriennale dell’attività del magistrato, purtroppo con l’avallo - non sufficientemente meditato -  del giudice amministrativo, al quale basta che il rilievo mosso dal CSM al magistrato in sede di valutazione di professionalità appaia “verosimile”, cioè non serve la prova, a differenza di quanto avviene nel giudizio disciplinare (si veda, ad es. TAR Lazio 12567/2022).   

Messa così la valutazione diventa autentica clava non regolamentata nelle mani del potere correntizio che domina al CSM, tanto da sfociare in un, vago quanto temibile, “giudizio globale sulla personalità del magistrato” (Tar Lazio, già citato). 

Il potere correntizio è qui evocato perché sovente, anzi quasi sempre, anche una valutazione di carattere tecnico qual è quella sulla professionalità viene assunta sulla base di votazioni settarie, faziose, nel senso che tutti i membri di un gruppo (di potere)  esprimono lo stesso voto.  

Perché il CSM non è come la commissione del concorso di accesso in magistratura.

Il CSM, a differenza della commissione di concorso, è elettivo, sbandiera e rivendica la sua “politicità”.

Politicità che si riversa anche in compiti che la legge vorrebbe invece esclusivamente tecnici ed ancorati a dati oggettivi.

Dopo questi cenni si può dar conto di una polemica “politica” sollevata da una pratica recentemente esaminata dal CSM e che riguardava un magistrato attinto da sospetti di collusione con ambienti criminali, sospetti del tutto fugati sia in sede penale che disciplinare: quel magistrato si era cioè difeso negli ambiti nei quali è previsto che gli si possano muovere accuse specifiche, quella penale e quella disciplinare. 

Il CSM, alla fine, ha riconosciuto il positivo superamento della valutazione di professionalità, ma “a maggioranza”. 

I componenti di un gruppo di potere magistratuale, di una corrente denominata AreaDG, volevano rimuovere quel magistrato, cogliendo l’occasione di una valutazione che una dissennata giurisprudenza amministrativa consente si svolga sulla base della mera verosimiglianza dell’addebito, esclusa ogni necessità di provare specifiche accuse. 

Di quell’opzione “politica” si fa vanto quel gruppo accusando - neppure velatamente - gli altri componenti del CSM di non affrontare la "questione morale", per giunta  in una sede puramente tecnica  quale dovrebbe essere quella in discorso, a garanzia non del singolo magistrato ma dell'indipendenza di tutti i magistrati.   

Se ne ha conferma a questo link, nel paragrafo intitolato Le relazioni pericolose di un magistrato in valutazione.  

In quel particolare caso, peraltro, s’era verificato che all’interessato - che con la valutazione negativa avrebbe perso il lavoro - non era stato in pratica neanche dato il “monito” che, per legge, deve precedere la valutazione del biennio decisivo, quello “vitale” che segue una prima valutazione negativa. 

Ciò perché, reputandosi il CSM padrone del tempo e ritardando a suo arbitrio le valutazioni di professionalità, aveva ritenuto di valutare, per licenziare un magistrato, non già il biennio che aveva fatto seguito alla  prima valutazione negativa - come espressamente pretende la legge - ma il biennio successivo al quadriennio già negativamente valutato.  

Il lettore attento, e si spera anche qualche cronista, dispone ora di strumenti di conoscenza ulteriori sul tema della valutazione di professionalità del magistrato, questione che non va decisa per “partito preso” da un CSM politico, ma sulla base della rigorosa applicazione della legge. 


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mercoledì 8 febbraio 2023

Aria nuova al C.S.M.



Da oggi iniziamo la pubblicazione periodica di stringati resoconti delle attività più significative dell’unico consigliere togato indipendente del Csm, in quanto eletto previo sorteggio degli eleggibili.

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 Il 25 gennaio scorso il plenum del Csm ha eletto a maggioranza il proprio vicepresidente nella persona dell’avv. Fabio Pinelli.

Tale votazione è stata preceduta da quella di approvazione della delibera della Commissione Verifica titoli che aveva escluso vi fossero condizioni di ineleggibilità per tutti i consiglieri.

Ebbene, quest’ultima delibera del Csm ha avuto un solo voto contrario, quella del consigliere togato dott. Andrea Mirenda, che si è espresso per l’ineleggibilità del prof. Roberto Romboli.

Il voto del consigliere indipendente è dipeso dalla considerazione che l’art 104, comma 3, della Costituzione prevede che i componenti laici del Csm debbano essere scelti dal Parlamento “tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio”.

Ebbene, il prof. Romboli è stato professore ordinario di Diritto costituzionale all’università di Pisa dal 1987 al 2021 e dall’ottobre 2022 è professore emerito presso lo stesso ateneo.

Quindi essendo un professore emerito, non un ordinario, non avrebbe avuto il requisito previsto.

Del resto, quando i costituenti quando hanno voluto riferirsi a figure professionali in quiescenza lo hanno detto espressamente.

L’articolo 135 della Costituzione, per esempio, prevede che i giudici della Corte costituzionale possano essere scelti “fra i magistrati anche a riposo, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio”.



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sabato 21 gennaio 2023

Ridateci Fofò.



di Nicola Saracino - Magistrato 

Il terribile virus paralizzava il Paese. 

Il lock-down veniva accettato dai più quale porzione di libertà da sacrificare in nome della salute pubblica. 

La compresenza di persone era infatti il miglior veicolo per la diffusione del virus.  

La paralisi andava limitata con i mezzi possibili. 

Con riguardo alla Giustizia  venne in soccorso l’informatica e la telematica: era possibile celebrare i processi anche a distanza, senza, appunto, la compresenza delle persone coinvolte (parti, avvocati, cancellieri, giudici e, non ultimo, il pubblico). 

In questo catastrofico quadro ebbe origine la disciplina cd “emergenziale” dei processi, civili e penali. 

La personale esperienza professionale mi induce a limitare lo sguardo al settore civile per dire che quelle poche norme, ideate e promulgate in tutta fretta, hanno consentito alla giustizia civile non solo di sopravvivere al Covid ma addirittura di migliorare le proprie performance essendosi registrato un generalizzato aumento della cd “produttività” del sistema, vale a dire che sono aumentate le definizioni delle cause. 

Questo perchè, per la prima volta, una riforma processuale aveva effettivamente liberato risorse di tempo da dedicare alla stesura dei provvedimenti (sentenze ed ordinanze) da parte dei giudici; l'udienza telematica ha il pregio di far risparmiare molto tempo a tutti (avvocati, cancellieri, giudici).   E quel risparmio di tempo s'era tradotto in un innegabile aumento dei provvedimenti che i giudici possono redigere.   

Quel sistema, concepito quando al Ministero della Giustizia era insediato Salvatore Bonafede, è stato via via prorogato anche dal  successivo Governo.

Al quale, tuttavia, è venuto in mente di intervenire su meccanismi  già sperimentati che avevano offerto ottima prova sul campo.
 
La presunzione gioca sempre brutti scherzi. 

Siamo in epoca di PNRR (Piano nazionale di resistenza e resilienza) la cui attuazione è condizione alla quale vengono subordinati i finanziamenti europei. 

Ed allora, trascurando che era stato già fatto molto per modernizzare il processo civile, s’è pensato di innovare ulteriormente la disciplina del processo telematico, stravolgendo le abitudini degli operatori (avvocati, cancellieri, magistrati) appena acquisite e che non erano affatto “vecchie” in quanto maturate in un solo biennio di vita del processo civile telematico sostitutivo    di quello in “presenza”. 

E’ così che vede la luce la riforma che prende il nome dal Ministro della Giustizia Cartabia che, in pochi tratti, è stata capace di smantellare quanto di buono era stato già fatto dal predecessore.

Perché d’un colpo ha fatto  scomparire l’udienza come concetto di riferimento del processo civile che per puro nominalismo viene soppiantata dallo scambio di note telematiche pre-autorizzato dal giudice.

Con conseguenze devastanti. 

Gli applicativi software ministeriali, infatti, proprio sull’udienza sono calibrati e la sua (prematura ed inutile) scomparsa ha letteralmente mandato in tilt gli uffici giudiziari. 
Riforma che deve essere apparsa così intelligente al nuovo governo tanto da anticiparne addirittura l’entrata in vigore. 

Con quali devastanti effetti sarà presto visibile a tutti. 

In molti uffici giudiziari si annuncia il ritorno alla compresenza ed  alla carta, tanto risulta ostico l’impiego  della telematica non tempestivamente aggiornata da chi ne ha il compito (il Ministro della Giustizia). 

Con un equivoco suicida. 

Non sarà un ritorno alla “normalità” ma un anacronistico salto nel passato.  

Si abbandonano strumenti innovativi che hanno funzionato egregiamente perché sostituiti da congegni infernali la cui praticabilità risulterà preclusa agli operatori, anche i più volenterosi. 

Il che fa suonare quell’acronimo (PNRR) in modo sinistro, quasi uno sberleffo, una sorta di pernacchia. 

Il meglio è nemico del bene.

Ridateci Fofò ... 


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mercoledì 23 novembre 2022

No, forse non poteva ...


 

Con sentenza n. 34380/22 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno cassato la decisione della  Sezione Disciplinare del CSM secondo cui interferire sulla vita professionale dei colleghi confabulando coi consiglieri superiori per spingere l'amico (di corrente) e osteggiare il nemico non avrebbe leso il canone della correttezza.


La vicenda - a questo punto una  "saga" - vede dunque schiudersi un nuovo capitolo la cui scrittura è affidata alla Sezione Disciplinare che dovrà comporsi  subito dopo l'insediamento dell'appena  rinnovato CSM. 

Le puntate precedenti sono  leggibili qui e qui.


 

 


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martedì 22 novembre 2022

Qualche suggerimento per il nuovo Ministro



di Guido Salvini - Magistrato


Sono GIP, con poche interruzioni, dall'entrata in vigore del Codice attuale e guardo con preoccupazione ai compiti e al futuro soprattutto del mio ufficio, un ufficio che nel 1989 ho visto nascere.

L'immagine è quella di un asino zoppo che dovrà trainare quello che di solito traina una locomotiva.

È vero che con l'aumento delle citazioni dirette al Tribunale gli uffici GIP-GUP saranno sgravati di qualche processo ma ben maggiori sono le nuove competenze che gli si attribuiscono.

Nuove udienze per il controllo della tempestività dell'iscrizione della notizia di reato da parte dei Pubblici ministeri e sul rispetto dei termini per le indagini. L'aumento dei proscioglimenti quando non vi sia una ragionevole probabilità di condanna, regola del tutto giusta ma che aumenterà il numero delle sentenze da scrivere. L'ampliamento dei riti speciali, dal giudizio abbreviato condizionato al patteggiamento.

Soprattutto l’ufficio GIP-GUP assumerà sempre di più, con l'immediata applicabilità di tutte le sanzioni sostitutive, le funzioni anche di Giudice di sorveglianza e dell'esecuzione della pena.

Dopo aver disposto le sanzioni sostitutive in sede di cognizione tratterrà i fascicoli, ed è probabile che le stanze ne saranno piene, sino alla loro completa esecuzione con tutti problemi e gli ulteriori interventi che ciò comporta

Ed in più la giustizia riparativa un mondo tutto da scoprire ma che comporterà a cascata altri compiti.

Con le nuove norme introdotte le competenze dell'ufficio GIP- GUP quindi si estendono e diventano immense. Vanno da piccoli problemi che un tempo erano di competenza della Pretura, ad esempio i decreti penali che saranno più numerosi e in cui dovrà calcolare anche la diminuzione di 1/5 della pena se la somma irrogata verrà pagato subito sino alle grandi indagini di corruzione, di mafia di competenza delle Direzioni Distrettuali Antimafia e di norma delle Corti di Assise. In pratica tutto o quasi.

Uno scenario insostenibile, lo ha scritto recentemente su un quotidiano anche il presidente Aggiunto dell'Ufficio Gip di Milano, certamente uno degli uffici “strategici” per saggiare il funzionamento della riforma e, come quasi tutti, con molti posti in organico scoperti.

Molti lettori lo sanno, ma è bene ricordarlo, che nelle nostre sezioni GIP e GUP sono le medesime persone che nello stesso processo possono essere solo GIP o solo GUP e si scambiano quindi fascicoli con un sistema di incompatibilità incrociate. Sono anche compiti molto diversi, il GIP emette le misure cautelari e i sequestri e autorizza le intercettazioni, il GUP giudica in udienza preliminare e nell'abbreviato ed entrambi hanno mille altre competenze. Con il rischio, con l'effetto espansivo dei compiti previsto dalla riforma, di saltare da un ruolo e da un provvedimento all'altro ogni giorno e di fare tutto così così

In realtà l'organizzazione, la ripartizione delle competenze e il numero dei magistrati assegnati erano stati pensati al momento del varo del Codice attuale quanto il numero e l'eterogeneità degli istituti erano incomparabilmente minori.

Non voglio criticare la riforma animata da principi importanti sul senso dei giudizi, non rendendo più necessari quelli che non lo sono, e sul senso dell'esecuzione della pena. Ma in un sistema razionale, per raggiungere qualsiasi obiettivo l'organizzazione dovrebbe precedere o almeno essere contemporanea alla norma, non il contrario. E non saranno certo poche settimane di slittamento a darci quello che sinora è mancato.

E mi interessano poco i continui duelli, spesso politicamente strumentali, tra i giustizialisti e gli ultragarantisti che hanno soprattutto l'effetto di paralizzare qualsiasi riforma razionale della giustizia. Credo in Italia sia l'unico paese europeo in cui il dibattito sulla giustizia ha formato due partiti stabili e tra loro irriducibili.

Qualcosa bisogna immaginare, al di fuori delle dispute ideologiche.

Credo che sia venuto il momento di abolire l'udienza preliminare e con essa la figura del GUP. Nella situazione attuale, ma in prospettiva potrà essere ancora peggio, i fascicoli restano già parcheggiati nel suo ufficio, prima che sia possa possibile fissare l'udienza, anche 1 anno -1 anno e mezzo e nessun sistema in realtà può sopportare quattro gradi di giurisdizione.

Con una scelta più coraggiosa, come avevano proposto alcuni parlamentari non schierati durante la discussione della riforma Cartabia, tutti i processi dovrebbero essere direttamente convogliati alla nuova udienza filtro dinanzi al Tribunale dove si potrà chiedere il proscioglimento anche in base alle nuove regole di giudizio, chiedere i riti alternativi che certo non sparirebbero o iniziare il giudizio ordinario.

Si salterebbe così un passaggio e una, frequente, fase di stasi dei fascicoli senza ledere i diritti di nessuno. Parte dei giudici della sezione GIP-GUP dovrebbe passare in Tribunale rinforzandolo e quelli che resterebbero potrebbero finalmente affrontare nel solo ruolo di GIP, con una funzione finalmente omogenea, i compiti loro propri, l'esame delle richieste dei Pubblici Ministeri con una possibilità di approfondimento maggiore. Riducendo il rischio che qualcuno, in difficoltà, finisca ad accogliere a scatola chiusa le istanze dell'accusa. In questo modo si affronterebbe certamente molto meglio l’ondata di nuovi compiti che la riforma introduce.

Sarebbe da eliminare anche l'assurdo giudizio immediato che, a dispetto del nome è uno di quei treni “accelerati”, cioè lenti, di un tempo e comporta una mezza dozzina di inutili passaggi di carte tra PM, GIP e GUP mentre l'imputato, quasi sempre detenuto, aspetta

Bisognerebbe poi comincia a pensare, al di fuori dei pregiudizi di casta e degli schemi prefabbricati, anche ad un più intelligente utilizzo del “personale”, cioè i magistrati, risorsa limitatissima. Anche con idee impopolari. Nessuna struttura organizzata, basterebbe consultare un qualsiasi sociologo del lavoro, consente che risorse ancora nel pieno della loro efficienza si spostino per loro volere verso settori secondari, sotto utilizzando così capacità preziose. Oggi invece nel settore pubblico della giustizia magistrati di anche meno di 50 anni (che corrispondono ai 35-40 di un dirigente di una azienda commerciale o industriale) sulla base di una loro semplice scelta defluiscono, nel pieno delle loro capacità, dalla prima linea, gli uffici dei Gip e i Tribunali, al ruolo di Appello per i restanti 20 anni, in una retrovia tranquilla e poco usurante, soprattutto ora in cui processi di appello sono divenuti “cartolari” cioè senza udienza. Per mantenere sufficienti gli organici d'appello si dovrebbe piuttosto pensare ad un giudice singolo e non collegiale almeno per i processi celebrati dal giudice monocratico in primo grado. In più innalzare, a richiesta, i limiti massimi di servizio a 72 anni in modo da recuperare una quota di magistrati soprattutto in secondo grado. Questo a fronte della scopertura degli organici della magistratura che ha raggiunto ormai ben 1600-1700 unità, assenze non rimpiazzabili a breve dato che anche l'ultimo concorso produrrà, per le bocciature (anche in italiano non solo in diritto), ben 1/3 di meno dei posti banditi.

Un’altra necessità che s'impone è il trasferimento altrove di una miriade di micro-impegni che trasformano l'udienza in una attività amministrativa. Con la riforma le sanzioni sostitutive, soprattutto il Lavoro di pubblica utilità, aumenteranno esponenzialmente. Chi non frequenta le aule non lo sa o finge di non saperlo ma una semplice guida in stato di ebbrezza in cui viene chiesta la sanzione sostitutiva non rappresenta certo una velocizzazione ma l’esatto contrario. Infatti, si snoda già ora a partire da quel momento una serie di udienze, che dovrebbero essere dedicate ad altro, per reperire l'Ente convenzionato e ottenere il programma personalizzato dall'UEPE, l'Ufficio esecuzione penale esterna. Un piccolo reato stradale diventa così un piccolo maxi-processo e questo con la riforma si moltiplicherà perché le sanzioni sostitutive saranno richieste anche in caso di pene sino a 4 anni. Se per un reato che prende la via della sanzione sostitutiva vi saranno il doppio o il triplo di udienze con lo stesso numero di giudici, il risultato sarà l’opposto della riduzione dei tempi. La soluzione è semplice ma comporta un impegno, soprattutto della politica. Ammessa la sanzione sostitutiva il giudice non deve vedere più fascicolo, devono occuparsene le autorità amministrative. Diversamente si rischia la paralisi.

Sono proposte diverse tra loro ma hanno un filo comune, guardare alla giustizia non come terreno di scontro ma come un oggetto da far funzionare.

Sono proposte non ideologiche, di cui il Ministero potrebbe tenere conto, volte a far funzionare la nuova legge che altrimenti, in una eterogenesi dei fini, provocherà il contrario di quanto sperato, non accelerazione che abbiamo promesso all'Unione Europea ma il rallentamento del sistema sino al suo impantanamento. Mi sembrano approcci razionali sulla base delle forze di cui si dispone. Speriamo che qualcuno vi rifletta.


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sabato 22 ottobre 2022

La salva correnti.




di Nicola Saracino - Magistrato

Diciannove su venti. 

Il nuovo Consiglio Superiore della Magistratura è stato consegnato, ancora una volta e pressoché totalmente, al correntismo. 

Non è servito aumentare il numero dei consiglieri togati da 16 a 20 per far spazio a candidature non sponsorizzate.

Salva l’anomalia (Mirenda) di cui si dirà    di qui a poco, la riforma Cartabia, introdotta al dichiarato scopo di arginare il correntismo, ne ha alla fine consolidato la forza. 

Tra gli effetti ampiamente prevedibili rientra anche quello della scomparsa della corrente minoritaria di Autonomia e Indipendenza (quella nata su impulso del dott. Piercamillo Davigo, ormai in pensione) che nella precedente consiliatura era rappresentata da più di un consigliere  e che patisce, oggi,  il congegno dei collegi uninominali, solo in minima parte compensato dalla modesta quota proporzionale, insufficiente a fare eleggere anche un solo togato di quella corrente.  

Si diceva del dott. Andrea Mirenda, l’unico magistrato non appartenente alle correnti che, è il caso di dire, l’ironia della sorte ha voluto condurre nella roccaforte del correntismo così fortemente voluta dal Ministro Cartabia. 

La cui riforma, ormai legge promulgata dal Presidente della Repubblica, non oseremmo  mai definire “canaglia”, com’è permesso solo ai magistrati che confidano nella benevolenza loro riservata dalla comune appartenenza correntizia coi titolari dell’azione disciplinare e con i giudici elettivi che su tale  materia decidono (una sezione dello stesso CSM, per l’appunto). 

Era stato ampiamente annunciato che  il risultato della riforma del sistema elettorale del CSM avrebbe tradito i propositi che apparentemente assecondavano  l’aspirazione del Capo dello Stato di sottrarre, almeno in parte, il CSM alla tenaglia delle consorterie di magistrati, tali essendo le correnti quando il loro agire si manifesta nei termini a tutti ormai noti  per effetto del trojan palamariano che ha indotto il Presidente della Repubblica ad evocare “una magistratura china su sé stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all’attribuzione di incarichi.”.  

Una favola per bimbi.

E’ quindi paradossale che i fautori della irrilevante riforma possano oggi allegare a loro discolpa  l’elezione del dott. Andrea Mirenda, che comunque  non sarebbe avvenuta se un nugolo di magistrati non avesse organizzato, in proprio, la candidatura di togati estratti a sorte  che hanno raccolto un numero di voti sufficienti a far eleggere il dott. Mirenda, in virtù dell’apparentamento che ne ha legato le sorti per la quota proporzionale.

Se fosse dipeso solo dalla legge voluta dal Ministro Cartabia, dunque, anche il ventesimo seggio sarebbe stato appannaggio delle correnti. 

Ed allora non serve ricorrere ad epiteti sguaiati per catalogare una riforma di facciata già colpita dalla condanna della sua irrilevanza. 

S’è trattato, in sostanza, di un malcelato inganno che ha tradito, prima d’ogni altra cosa, la stessa esortazione del Capo dello Stato secondo cui  serviva una riforma che sapesse sradicare accordi e prassi elusive di norme, pratiche che le correnti hanno attuato con la solita maestrìa.  

Per colpa o merito, a seconda dei punti di vista,  di chi ha finto di voler cambiare e che non a caso è oggi indicata come prossimo, graditissimo alle correnti,  vice presidente del CSM.  


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