sabato 29 marzo 2008

Le ragioni della speranza


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In calce al post “E’ solo giustizia”, con il quale Emanuele Scimone commentava la sentenza di appello che ha confermato la condanna all’ergastolo per gli assassini di Graziella Campagna, un nostro lettore ha scritto un commento che vogliamo riproporre all’attenzione di tutti, perché tratta – in un modo che noi condividiamo profondamente – il tema della speranza/disperazione rispetto ai fatti che vediamo accadere ogni giorno.

L’autore del commento lo ha firmato con il suo nick – “Il cane di Jack” – e, andando a cercare nel suo blog la spiegazione di questo nick l’abbiamo trovata e ci è piaciuta anche quella.

Così che, dopo il commento sulla speranza, riportiamo anche la filosofia di vita del “cane di Jack”, perché possa essere anche quella occasione di riflessione per tanti che sembrano cercare sempre e solo motivi per non lottare. Perché questo, in definitiva, sono sempre i discorsi in cui si nega la speranza, in cui ci si lamenta, in cui si afferma che “non c’è più niente da fare”: alibi per giustificare il disimpegno.

Noi pensiamo che l’impegno non sia frutto della convinzione che “c’è speranza”, che non sia conseguenza del pensiero che “si vincerà” o anche solo che “si potrebbe vincere”.

A noi pare che l’impegno sia l’unico modo di stare al mondo, di dare un senso alla vita.

Chi pensa che il nostro ideale debba essere un mondo perfetto, nel quale il male non c’è più e il bene ha vinto stabilmente, si disilluda. Il suo è solo un sogno, per giunta ingenuo.

La vita di ogni uomo è una battaglia quotidiana fatta di scelte piccole e grandi che ci fanno essere ciò che siamo.

E dunque anche la vita delle nostre società è una battaglia quotidiana figlia delle scelte di ciascuno.

Finché ci sarà vita sul pianeta, il bene non sarà stabilmente affermato, ma dovrà essere quotidianamente cercato e perseguito.

E finché ci sarà vita una moltitudine di persone, alcuni per malizia, altri per ottusità, altri ancora per necessità, faranno le scelte sbagliate.

Non ci può essere libertà senza accettazione delle sue conseguenze.

La libertà fa sì che tanti siano veri uomini e vere donne, ma anche, inevitabilmente, che altrettanti (se non , purtroppo, di più) siano, come li definiva Geoges Bernanos, «degli spaventosi mostri non sviluppati, dei moncherini d’uomo».

Per conservare un senso alla nostra vita, dobbiamo capire il perché di questo, avere misericordia di loro e di noi, accettare che vivere è lottare. Sempre. Perché, come diceva qualcuno, la morte ci trovi vivi.

Non sappiamo chi è buono e chi è cattivo. Sappiamo che, come diceva il protagonista del film “Braveheart” (fra tante citazioni “nobili”, permettetecene una più “popolare”), «tutti muoiono, ma non tutti vivono veramente». Noi stiamo “vivendo veramente” e vi invitiamo a fare lo stesso.

Sul tema della libertà, permetteteci di rinviare a una delle prime cose che abbiamo riportato sul nostro blog: “La leggenda del Grande Inquisitore”, di un immenso Dostoevskij.

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Il commento de “Il cane di Jack” al post “E’ solo giustizia”:


«Io invece mi sento obbligato ad essere fiducioso.

La fiducia, a mio modesto avviso, dovrebbe essere considerata un dovere costituzionale, al pari e più del dovere di difendere la patria.

Accade infatti che, in casi come questo, malgrado i carabinieri, malgrado i cancellieri, malgrado i giudici, o forse con il contributo minimo di ciascuno di loro, magari svogliato e poco efficace, la Giustizia comunque faccia il suo corso.

So che non è abbastanza per essere soddisfatti, ma è un qualcosa che comunque ci consente di sperare.

Ma ci sono altre cose che mi fanno sperare: la rete, fino a quanto esisterà, è un fantastico luogo per fare circolare le idee, per incontrarsi, per crescere, per imparare a dialogare, per cercare di costruire una massa critica di persone che troveranno prima o poi le motivazioni comuni per cambiare il mondo (detto incidenter tantum la rete è un pericolo per il potere, prima o poi tenteranno di scipparcela :-).

Qui tutti hanno la parola: per me è una felicità poter dire la mia e ascoltare le ragioni degli altri, che possono essere gente umile, onesti tiratori di slitta come me, oppure persone di maggiore cultura e preparazione.

Tutto questo purché domani cerchiamo di dare un piccolo segno concreto di cambiamento nelle nostre vite e nell’ambiente che ci circonda.

Per tornare più in tema con il post commentato, ho cercato di pensare a cosa facevo io negli anni in cui la povera Graziella è stata ammazzata.

Nel 1985 avevo la stessa età, più o meno, di Graziella Campagna.

Mi ricordo bene il senso di solitudine e di scoramento che mi seguiva in quel periodo.

Non mi piaceva affatto la politica di allora: il livello culturale dei politici era più alto di oggi, ma l’ipocrisia era la stessa e il clientelismo faceva moltiplicare i posti di lavoro alle poste, alle ferrovie, nei comuni e nei ministeri.

Il sistema consentiva vergognosamente che la gente andasse in pensione a poco più di quarant’anni.

Tutto mi spingeva a credere che avrei dovuto scendere a pesanti compromessi per trovare un lavoro.

Non è successo, faccio un lavoro da “cinghia di trasmissione”, non l’avvocato, non il giudice e neanche il notaio, ma nulla mi ha dato tanta soddisfazione nella mia vita come respirare la fresca aria della libertà del non dovere favori a nessuno.

E poi, anche per altri versi, se ci penso devo arrivare alla conclusione che il mondo non è poi così cambiato, anzi per certi versi oggi è migliorato: oggi, di tanto in tanto, e con notevoli ritardi, si possono scrivere buone sentenze; forse quando ero giovanissimo io non era così.

Cara Graziella, non ti conoscevo, ma ti voglio bene e spero che tu ora, che sei sopra le nostre lamentele e i nostri goffi tentativi di farti giustizia, ce ne possa volere altrettanto.

Saluti a tutti.

“Il cane di Jack”»

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La filosofia de “Il cane di Jack”:


«Sono il cane di Jack.

Uno dei cani di Jack, a dire il vero.

Il mio mestiere è tirare la slitta su grandi distese di neve, tra boschi, su laghi ghiacciati.

A me non importa di essere uno dei cani di Jack.

Credo che sia difficile da capire come si possa finire con l’adattarsi ad essere il secondo o il terzo o il quarto nel tiro, ma continuo a tirare perché detesto essere un peso.

La sera quando il fuoco è acceso sento tutta la nostalgia della libertà, ma non venderei la mia anima né per una gustosa porzione di carne in scatola, né per una cagnetta in calore che fa la smorfiosa.

Io tiro ma non do la mano al mio padrone e non corro scodinzolando dietro a ossi di plastica.

Io calpesto pianure interminabili e scalo colline e montagne.

Affronto tempeste.

Attraverso valichi, trasporto uomini e cose attraverso sentieri che pochi oltre il cane e l’uomo osano sfidare.

Il mio padrone non nutre nessun sentimento, nemmeno di affetto nei miei confronti.

A lui importa solo che io abbia la forza per fare il mio lavoro; per questo continua a nutrirmi.

Io lo rispetto ma non lo amo.

L’amore si basa sulla libertà e io sono solo il cane a cui dà da mangiare perché questo lo salva dal perdersi a nord.

Quest’aria gelida e questa fatica sono tutto quello che mi resta (e non è poco, te lo assicuro) fino a quando, dentro me stesso, non troverò il coraggio di andare via, scomparendo in una bella foresta di questo posto chiamato Klondike».


24 commenti:

Anonimo ha detto...

da cane a cane una bella stretta di zampa.
firmato:
il cane arrabbiato.

Il cane di Jack ha detto...

Nel ringraziare per questa doppia pubblicazione che mi fa fin troppo onore, vorrei esprimere il mio apprezzamento per questo blog in cui dei giudici hanno deciso di scendere dal piedistallo e di dialogare con la gente. E' un merito indiscutibile.
Saluti a tutti
I. Il cane di Jack

Anonimo ha detto...

Grazie al cane di Jack, che mi da' conferma e testimonianza che anche tirando la slitta di un altro si puo' e si deve rimanere liberi, piu' ancora di quanto non sarebbe possibile guidandola, quella slitta.
Se il guidatore, infatti, e' servo di qualcuno, potra' mai sentirsi libero? Andra' dove gli dicono di andare, e non e' detto che la meta sia sempre cosa buona....
Abbiamo fin troppa esperienza di uomini "liberi", liberi anche dal bisogno (il cane di Jack ne cita alcune categorie, avvocati, magistrati, notai...) che corrono a mettersi sotto un padrone e dunque sono meno liberi di un tiratore di slitta, anche se magari assai piu' facoltosi, ma che se ne faranno mai se hanno perso la liberta'?
Grazie, grazie davvero per aver ridato dignita' al mio destino di onesto e libero tiratore di slitta ed a quello di tanti altri come me, perche', e' vero, non basta solo la liberta'; ci vogliono anche uomini liberi.

Anonimo ha detto...

Possibile che non ve ne siate accorti ? Il "cane" rappresentato in fotografia è in realtà un bellissimo LUPO !

"Uguale per tutti" ha detto...

Per Paolo Emilio.

Carissimo Paolo,

grazie della segnalazione. Sapere che i lettori del blog sono attenti ci fa un sacco di piacere e dà un senso a quello che facciamo.

In verità, del cane ce ne eravamo accorti.

In un primo momento avevamo messo una foto di un cane da slitta, ma poi, cercando "cani" in internet, abbiamo trovato quest'altra foto e abbiamo sostituito la prima.

E' vero, questo probabilmente non è "il cane di Jack", ma, salvo che i lettori ci dicano che preferiscono una foto più realistica, lasceremmo questa.

Perchè gli occhi di questo lupo sono troppo belli e il suo sguardo fiero.

E, in fondo, quello che proponiamo qui è di saper sognare, perchè chi sogna solo di notte non sa un sacco di cose che sanno quelli che sognano anche di giorno.

Un grazie e un caro saluto a tutti.

La Redazione

belerofonte ha detto...

La sera quando il fuoco è acceso sento tutta la nostalgia della libertà, ma non venderei la mia anima né per una gustosa porzione di carne in scatola, né per una cagnetta in calore che fa la smorfiosa...
ma se senti nostalgia per la tua libertà perchè continui a farti sfamare da una persona che neanche ti vuole bene?

Anonimo ha detto...

Per Belerofonte.

Premesso che, ovviamente, ognuno ha le sue motivazioni e, dunque, io non posso farmi interprete di quelle de "Il cane di Jack", credo che la Sua domanda rimandi a una idea dei rapporti di lavoro che oggi sembra profondamente falsata.

Mi viene in mente la battuta di quella comica mi pare di Zelig, che parlava del suo "donatore di lavoro".

Il datore (e non "donatore") di lavoro non "ti sfama", ma ti paga il corrispettivo di una prestazione d'opera.

Dunque, "Il cane di Jack" non "si fa sfamare" da una persona, ma ha con lui un "contratto" che ha come oggetto uno scambio di prestazione d'opera per un corrispettivo in denaro.

La questione posta dallo scritto de "Il cane di Jack" che stiamo commentando è in qualche modo proprio quella che sembra dare luogo alla Sua incomprensione, Belerofonte.

La questione è, a mio modesto parere, che è malata una società nella quale per avere il lavoro si deve troppo spesso perdere la libertà e la dignità.

Il senso delle parole de "Il cane di Jack" a me è sembrato il seguente: potrei scendere a compromessi e cercare di ottenere "ad ogni costo" un lavoro "nobile". Ma così perderei la mia libertà. Accetto un lavoro non particolarmente entusiasmante, ma a condizioni tali da conservare la mia libertà e la mia dignità. Il mio datore di lavoro mi dà uno stipendio. Io gli dò la mia opera.

Io, a queste condizioni, sono un uomo libero, cioè un uomo (perchè senza libertà un uomo non è più tale).

Altri miei conoscenti e amici (immagino ancora il discorso del cane), abbagliati da offerte di scatole di carne e da cagnette smorfiose, vendono la loro libertà.

Questo ho capito io e questo modesto contributo interpretativo Le offro.

A "Il cane di Jack" il compito di una eventuale "interpretazione autentica".

Un caro saluto.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Avevo letto il commento di jack e ne ero rimasto piacevolmente colpito quindi non posso fare altro che accodarmi al coro di elogi nei suoi confronti (anche per il suo sito personale anch'esso molto interessante)facendo solo notare a jack che almeno i ragazzi della redazione non sono mai saliti sul piedistallo :-)
Vorrei piuttosto spezzare una lancia a favore della redazione (in modo leggero), per aver utilizzato una foto non del tutto appropriata.Una premessa e' d'obbligo:il cane di jack e' un cane Boreale o comunemente detto cane da slitta. Questi cani sono strettamente imparentati,piu' degli altri canidi, con il lupo( tra l'altro si incrociano abbastanza di frequente con i lupi stessi)e dal quale ereditano alcuni tratti somatici e caratteriali.
Possiamo dunque dire che la redazione non ha poi sbagliato la scelta.
Un affettuoso saluto a tutti voi
CARMELO.

Anonimo ha detto...

A mio avviso, il problema non è essere liberi o accettare di lavorare grazie a qualcuno o per mezzo di un contratto. E' libero chiunque non vende la sua anima, accontentandosi di vivere fino all'estremo "pane e cipolla".
Il magistrato, il notaio o l'avvocato, ma anche il medico il ferroviere e l'artigiano, chiunque insomma, pur abbondando sia nel pane come pure nella cipolla, accetta ugualmente di vendersi per la continua rincorsa di maggiore benessere o della gloria; per esso esiste una sola parola per essere definito: INDEGNO!!!
b. i.

Melina2811 ha detto...

Buon fine settimana da Maria

Il cane di Jack ha detto...

Indegno è una parola grossa; anche i compromessi e le piccole compravendite quotidiane sono piccole cose di gente piccola. Non ho mai voluto lanciare anatemi. Viviamo in un mondo in cui non ci si scandalizza tanto nemmeno di fronte alla morte di milioni di persone in guerre insensate e non vedo perché dovrei provare odio o rabbia perché qualcuno ha fatto qualche mercanteggiamento al limite tra il lecito e l'illecito (piuttosto è la diffusione dei fenomeni e il fatto che tutti ne siamo più o meno contagiati che dovrebbe preoccuparci).
Per quanto riguarda l'interpretazione data da Felice Lima al mio pezzo sul cane di Jack, devo dire che è abbastanza giusta. Però io, a volte, mi diverto a tirare la slitta: anche un lavoro da cinghia di trasmissione può dare soddisfazioni (o magari è solo la sindrome di Stoccolma :-).
Per quanto riguarda la domanda di Belerofonte, la risposta è molto semplice: non credo di saper fare altro. Quindi sono costretto a farmi dare da mangiare dal mio padrone :-)
E ancora in ordine sparso: non conosco bene i "ragazzi della redazione" e non so se siano o meno stati sul piedistallo. Forse ho generalizzato ma la verità è che volevo, a modo mio, fare un complimento non una critica :-) e anche evidenziare il motivo principale per cui apprezzo questo blog.
Per quanto riguarda la foto, devo dire che se fossi così bello come il cane (o lupo) della foto, potrei smettere di tirare la slitta e guadagnarmi da vivere come modello :-)
Un caro saluto a tutti

Anonimo ha detto...

Caro cane di jack,
sono d'accordo con te e per questo, nel post delle 11.55 ti ho stretto la zampa!
Forse hai ragione tu, indegno è una parola troppo forte; devo dire che mi è scappato, ma credo che mi capirai se ti dico che a differenza tua, per tirare correttamente la slitta ed esserne felice, continuo a prendere frustate. Lo so, non c'è cattiveria in chi me le da e anche per questo è più corretto dar loro degli sciocchi anziché indegni.
b.i.

Anonimo ha detto...

per il giudice Lima
grazie per la Sua interpretazione e spiegazione;
le parole del cane di jack:"La sera quando il fuoco è acceso sento tutta la nostalgia della libertà, ma non venderei la mia anima né per una gustosa porzione di carne in scatola, né per una cagnetta in calore che fa la smorfiosa" io le avevo collegate a quelle finali:"Quest’aria gelida e questa fatica sono tutto quello che mi resta (e non è poco, te lo assicuro) fino a quando, dentro me stesso, non troverò il coraggio di andare via, scomparendo in una bella foresta di questo posto chiamato Klondike»"... avendone dedotto che il cane non si sente libero(nostalgia della libertà)e che gli manca il coraggio per abbandonare quella vita. Interpretando in questo senso, mi chiedo, la sua anima non l'ha già venduta?

Anonimo ha detto...

Per Belerofonte.

A me non sembra che quello che racconta di sé "Il cane di Jack" possa essere inteso come "avere già venduto l'anima".

Anche in questo caso mi sembra che il Suo pensiero, Belerofonte, possa essere condizionato da un equivoco molto diffuso nella cultura corrente.

Quello secondo il quale il modello ideale di uomo sarebbe quello di un essere totalmente libero.

L'essere uamno, al contrario, ha una libertà "esteriore" molto limitata.

Non sceglie liberamente né di nascere, né quando nascere, né dove. Non sceglie quando morire (tranne il caso patologico del suicidio). Non sceglie mille altre cose. E, scelte alcune delle poche cose che può scegliere, da quelle scelte conseguono altre conseguenze non evitabili.

A me piace pensare che, se non avessi moglie e figli che amo, lascerei tutto ciò che faccio adesso e me ne andrei a vivere in un paese povero del Sudamerica senza troppi pensieri.

Ma ho una famiglia e "sono costretto" a stare qui e continuare a fare il lavoro che faccio.

Ma questo, da sé solo, non mi pare "vendere l'anima", ma solo accettare i normali condizionamenti della vita. Vita della quale, poi, sono profondamente grato a Dio.

Così "Il cane di Jack" sogna di andare via un giorno o l'altro, ma intanto ama la vita concreta che ha.

Nella risposta dell'Autore (è il commento delle 19.54) c'è un'altra grande lezione.

Scrive, fra l'altro, "Il cane di Jack":
"Però io, a volte, mi diverto a tirare la slitta: anche un lavoro da cinghia di trasmissione può dare soddisfazioni (o magari è solo la sindrome di Stoccolma :-)".

A mio parere non è la sindrome di Stoccolma, ma il fatto che non ci sono lavori "migliori" e altri "peggiori", ma ogni lavoro onesto è occasione di almeno un paio di cose preziose e addirittura fondamentali per essere davvero umani: 1) ogni lavoro ci consente di perfezionare noi stessi nell'agire (Aristotele dice che nell'uomo "actio perficitur esse"); 2) ogni lavoro ci consente di rendere un servizio ad altri esseri umani.

Accade, quindi, in ogni lavoro, come in ogni cosa della vita, che una componente decisiva della cosa è l'attegiamento di chi agisce.

Dinanzi a un tramonto, dinanzi a una malattia, dinanzi a un sorriso, dinanzi a ogni cosa ognuno di noi reagisce secondo il suo modo di essere, la sua virtù.

Dunque, è esperienza di tutti che in ogni tipo di lavoro abbiamo incontrato persone che nobilitavano ciò che facevano e che trovavano in questo grazia e bellezza e persone che si abbrutivano, non trovando bene in nulla. Ho visto gente umile essere felice di poco e gente arrogante maledire il mondo nonostante il molto che aveva e che considerava poco.

Per questo comprendo benissimo "Il cane di Jack" quando dice che nel suo lavoro di tirare la slitta trova piacere.

Un autore che amo - Michael Ende - ha scritto un libro che si intitola "La storia infinita", nel quale si illustra il dramma di un mondo nel quale muore la fantasia, perchè gli uomini non fantasticano più.

L'idea è interessante, ma, a mio parere, non del tutto centrata.

Il problema a me pare non sia un difetto di fantasia, ma un difetto di "buona vista".

Non è la fantasia che è un mondo ricchissimo.

E' la realtà che è ricchissima e meravigliosa.

Ma l'umanità che frequentiamo noi (l'occidente ricco) non ha occhi per vederla.

Abbiamo tantissimo sotto tutti i punti di vista e non ce ne rendiamo conto.

Nessuna generazione nel nostro Paese ha mai avuto tanto quanto la nostra e nessuna forse è mai stata tanto triste e arrabbiata quanto la nostra.

E' una specie di maledizione.

In altra parte del blog ho scritto che è colpa dell'idealismo (inteso come corrente filosofica). Per un verso ha "liberato" l'uomo dai legami con la realtà (propri del realismo), ma per altro verso lo ha rinchiuso in sé stesso.

Non vediamo altro che noi stessi.

Non desideriamo altro che ciò che produce il nostro appetito.

Non gustiamo altro che ciò che noi stessi pensiamo ci debba piacere.

Siamo come dei ciechi e sordi che urlano.

Mi permetto di linkare qui una bellissima poesia falsamente attribuita a Pablo Neruda, venuta recentemente agli onori della cronaca perchè citata dall'ex ministro Mastella in occasione di un suo discorso pubblico.

Si tratta di ”Lentamente muore”.

Un caro saluto.

Felice Lima

salvatore d'urso ha detto...

Riguardo al titolo le ragioni della speranza... di ragioni per sperare ce ne son davvero molte... ed ognuno attribuisce a le sue speranze le sue svariate ragioni.

Ci sono speranze più materiali ed altre che guardano più in alto e quindi chi si limita alla semplice ricerca di un dignitoso posto di lavoro, a chi invece di poter aver successo nei suoi investimenti imprenditoriali, a chi ancora spera di poter vincere la lotteria per cambiare vita, chi invece spera di poter diventare un politico... chi ancora spera di realizzarsi professionalmente, chi è alla ricerca dell'amore della sua vita, chi spera di avere una casa tutta sua, chi invece spera di moltiplicare il suo patrimonio, ecc...

E poi ci sono speranze che vanno oltre... ma che non tutti oggi sentono... o magari sentivano un tempo e poi per via delle delusioni dovute a tradimenti, all'appiattirsi di una gran parte della società civile e anche ad un'informazione che non esalta i valori dell'essere umano... si finisce così per limitare le proprie speranze alla semplice materialità della vita.

Ma se ci si limita a dover avere solo futili speranze nella vita è come non vivere e quindi quoto anche la frase del celebre film "Brave Heart" che la redazione ha opportunamente riportato.

Il dottor Lima ha detto che una delle ragioni che lo spingono a sperare e lottare è la sua famiglia. Lui sarebbe andato a vivere in Sud America se non fosse per la sua famiglia che vuol vivere in Italia. E quindi lotta per offrire alla sua famiglia un futuro migliore ed anche un paese migliore.

Io più volte son stato tentato di abbandonare questo paese e comprendo quelli che lo fanno... a volte mi sento impotente di fronte a progetti politici e criminali ben più grandi di un qualsiasi normale cittadino italiano e che il poter interferire in questo sistema è talmente difficile e complicato che sembra davvero come voler abbattere un grandissimo muro di gomma. Ogni colpo viene prontamente assorbito e a volte anche riflesso...

Ma ho deciso comunque di non abbandonare questo paese, non per la mia famiglia, non per il mio lavoro, non per altre ragioni materialistiche ma per l'amore infinito che provo per questo paese e la sua storia... per le persone che hanno dato la vita per realizzare e costruire con dedizione un Italia migliore. A queste parole si potrebbe pensare che io sia un nazionalista... non credo che mi si potrebbe adattare quest'aggettivo... è che semplicemente amo troppo questo paese e sto male vederlo violentato da persone opportuniste e che non ritengo minimamente degne nemmeno di esser chiamate cittadini italiani.

La speranza... per farla breve riporto il testo di una canzone di Rino Gaetano che a grandi linee racchiude a mio avviso anche il senso del post "Le ragioni della speranza"...

Mi alzo al mattino con una nuova
Illusione,prendo il 109 per la Rivoluzione,
e sono soddisfatto Un poco saggio un poco matto
Penso che fra vent'anni finiranno I miei affanni
Ma ci ripenso però, mi guardo intorno per un po'
e mi accorgo che son solo,
in fondo è bella però è la mia età e io ci sto
Si dice che in America tutto è Ricco tutto è nuovo,
puoi salire In teleferica
su un grattacielo e farti un uovo,
io cerco il rock'n'Roll al bar e nei metrò,
cerco una bandiera diversa senza sangue sempre tersa
Ma ci ripenso però, mi guardo intorno per un po'
e mi accorgo che son solo,
In fondo è bello però , è il mio Paese e io ci sto
Mi dicono alla radio statti calmo statti buono
non esser scalmanato stai tranquillo e fatti uomo
ma io con la mia guerra voglio andare sempre avanti,
e costi quel che costi la vincerò non ci son santi
Ma ci ripenso però, mi guardo intorno per un po'
e mi accorgo che son solo,
ma in fondo è bella però è la mia guerra e io ci sto
cerco una donna che sia la meglio
che mi sorrida al mio risveglio
e che sia bella come il sole d'agosto
intelligente si sa
ma in fondo è bella però è la mia donna e io ci sto

Anonimo ha detto...

Per il giudice Lima,
certamente la mia interpretazione è stata affrettata e priva di una attenta riflessione.
Il suo commento mi ha dato un buono spunto per riflettere ed è vero,per quello che fa, il cane di jack non ha venduto la sua anima,ma fa un lavoro,che sebbene consiste nel trainare una slitta, èun lavoro onesto e alla fine è questo ciò che conta.
Trovo tristi le Sue parole :"E' la realtà che è ricchissima e meravigliosa.
Ma l'umanità che frequentiamo noi (l'occidente ricco) non ha occhi per vederla".
Le chiedo,possiamo riuscire a vedere questa realtà ricchissima e meravigliosa?
"Abbiamo tantissimo sotto tutti i punti di vista e non ce ne rendiamo conto"...a cosa Si riferisce con questo tantissimo?
In che modo possiamo evitare di essere tristi e arrabbiati? Di essere dei ciechi e sordi che urlano?

Anonimo ha detto...

Visto che siamo in tema di interpretazioni provo a dir la mia.
Il cane di jack non ha venduto l'amina.. se lo avesse fatto sarebbe al caldo innanzi ad un camino scodinzolando davanti ad un padrone per avere un osso da rosicchiare.
Il cane di jack piuttosto ha messo da parte la sua voglia di liberta' e cio' per bisogno..

Il cane di jack e' orgoglioso lo si capisce dal fatto che non vuole essere un peso ma non gli piace molto quello che fa..lui non tira con passione la slitta, non tenta di primeggiare sugli altri cani.. non gli importa essere il primo o l'ultimo.. lui deve solo fare quel minimo che gli e' richiesto e che gli garantisce il pasto a fine giornata
l'unico momento di serenita' per lui e' rappresentato da quella foresta ma che non gli da nessuna sicurezza come quella slitta che tira quotidianamente.
nella vita ci sono scelte e scelte:quelle che fai di tua spontanea volonta' e quelle che la vita per certi versi ti impone.
(Sono certo che il giudice lima si trasferirebbe in sudamerica se fosse un single ma sono altrettanto certo che chi sbarca sulle coste siciliane lo faccia perche' in quel momento della sua vita non ha alternativa).
Quando il cane trovera' una valida alternativa che gli permettera' di sopravvivere allora lo potremo vedere libero e fiero nella foresta che tanto sogna..

tdf ha detto...

Che bell'editoriale!

Aggiungo solo una nota a proposito de La storia infinita, che è stato citato.
Bastiano realizza i suoi desideri pagando ciascuno col sacrificio dei suoi ricordi.
Accumula gratificazioni ma perde progressivamente se stesso.
Alla fine però capisce che quell'ultimo ricordo, quello di suo padre, vale più di qualsiasi fantasia o capriccio.

Non voglio fare violenza a un così bel libro estrapolando per forza una morale ma...secondo me Ende era arrivato a una conclusione non molto diversa da quella della redazione del blog a proposito della sostanza dell'essere uomini :)

Anonimo ha detto...

Ho apprezzato molto i variegati interventi ma, considerando che il blog ha per oggetto soprattutto la Giustizia, vorrei riportare, mi rendo conto, pedantemente, la barra al centro: a me sembra che "il cane di jack", nel caso arrivasse un Liberatore di cani, che magari viva la propria esistenza o il proprio lavoro come "missione", non si schiererebbe, vigliaccamente, con il padrone o con il capobranco (che, ovviamente, cercherebbero di crocifiggerlo); forse non organizzerebbe raccolte di firme o petizioni a favore del Liberatore (missionario) ma, a mio giudizio, le sottoscriverebbe; non permetterebbe, senza tentare di impedirle, che venissero eseguite crocifissioni ingiuste.
Ciò è sufficiente a migliorare il mondo o no?
Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto?
Lascio la parola a Voi tutti, sicuro che i Vostri ulteriori commenti saranno stimolanti.

Anonimo ha detto...

Gentilissimo Belerofonte,

grazie di cuore per la Sua attenzione e partecipazione.

Il mio commento al Suo scritto non voleva in alcun modo essere ostile, ma solo porre l'attenzione su altri aspetti del delicato tema che stiamo trattando.

Con riferimento alle domande che Lei mi pone con il Suo commento delle 12.59, devo premettere alla mia risposta che si tratta di domande molto impegnative e, dunque, non mi ritengo capace di darLe risposte definitive sul punto. Sono qui solo a condividere delle riflessioni, proponendo il mio modesto punto di vista insieme a quello degli altri.

Inoltre è difficile esporre in maniera sintetica tutto ciò che penso su come fare a "riuscire a vedere questa realtà ricchissima e meravigliosa".

Per tentare una sintesi, direi che si tratta di abituarsi a “uscire da sé”. Si tratta di fare un po’ di silenzio interiore. Di guardare fuori da sé. Di ascoltare gli altri. Di guardare il mondo. Di fermarsi e fare silenzio.

I poteri economico e politico ci vogliono sempre in movimento. Alimentano costantemente l’idea che “abbiamo bisogno di qualcosa”, che ovviamente ci daranno loro.

Si tratta di provare a smettere di pensare tutto il giorno a ciò che vorremmo avere e non abbiamo e provare a riflettere su ciò che abbiamo.

Può aiutare mettersi in qualche modo in contatto con il tantissimo dolore che c’è intorno a noi. Frequentare un ospedale. Aiutare dei diseredati. Fare qualche opera di volontariato e di assistenza.

Questo dovrebbe farci “scoprire” che siamo vivi. E la vita è la prima delle immense ricchezze che ci è stata donata gratuitamente. Poi che abbiamo della salute. Alcuni di noi ne hanno poca, altri tanta. Se siamo vivi, tutti ne abbiamo un bel po’. Poi che c’è il sole, il mare, il cielo. I gatti. Poi che qualcuno ci ama. Io, per esempio, provo sempre uno stupore enorme dinanzi a questo dono sorprendente. E’ davvero così bello che qualcuno ci ami. Poi che, se impariamo, anche noi sapremo amare e questa sarà un’altra esperienza incredibile. E poi che, per quanto tante cose non ce le possiamo permettere, abbiamo tante opportunità che i nostri genitori e nonni neppure si sognavano.

Se dinanzi a tutto questo siamo ancora tristi, è che siamo ingrati. E’ che siamo diventati la misura di noi stessi e per giunta misuriamo con il metro falsato di questa società talmente ottusa da non sapere neppure trovare la felicità. Di questa società che continua a inventarsi false allegrie, false gaudenze, falsi sballi, falsi piaceri e non riesce più a godere delle gioie vere, che, guarda caso, sono a portata di mano.

Vedo pochissima televisione. Quando ogni tanto vedo qualcosa, mi colpisce il falso entusiasmo, la falsa allegria di certi programmi di intrattenimento e mi chiedo: ma sono strano io che trovo più bello passeggiare sotto braccio a mia moglie o a un amico, raccontandoci cose, o quelli che vedo lì tutti apparentemente contenti di “essere visti” a passare un pomeriggio o una sera fingendo di “incontrare gente”, ma senza davvero comunicare con nessuno?

Non so se sono riuscito a dare l’idea di ciò che volevo dire. Mi scusi per l’approssimazione degli argomenti.

Un caro saluto.

Felice Lima

Il cane di Jack ha detto...

Oggi ero un po' interdetto di fronte a tutto questo. Voglio dirvelo con il massimo della sincerità: non pensavo che questa cosa avrebbe suscitato tanto dibattito. E' stata per mesi sul mio blog, ne è stata il primo post e nessuno l'aveva mai notata. Io l'avevo scritta, una sera, perché ero arrabbiato con una persona a cui di solito voglio molto bene e poi l'avevo scelta come nome del nuovo blog perché un'altra persona, che mi vuole molto bene, mi aveva detto che mi somigliava: nient'altro. Allora questo pomeriggio ho fatto una cosa risolutiva: ho spento il pc e sono uscito a fare una passeggiata sul lungomare, da solo. Ho anche incontrato gente, amici che non vedevo da tempo, ho preso il caffè con loro, ho chiacchierato, ho incontrato altri amici, ho guardato il mare; ero vestito leggero e ho assorbito un po' di aria di mare, molto fresca. Ora sono tornato a casa e ancora non ho niente da dire al riguardo, ma va bene così :-)
Un saluto affettuoso a tutti
I. Il cane di Jack

Anonimo ha detto...

La libertà è la più impervia delle conquiste, la più faticosa, forse impossibile da raggiungere. Forse è solo uno stato d'animo. Forse è soltanto il libero pensiero.
Ci si può sentire liberi anche nel lavoro come dipendenti, se lo fai volentieri perchè ti da la possibilità di imparare ancora, e farti rispettare.
Il cane di Jack, con il suo istinto di "essere" libero lo sa, e si accontenta di poter avere quella scatoletta di carne, perchè nel gelido inverno e nella neve, quella è la sua garanzia di sopravvivenza. Il suo volgersi alla foresta è il suo "libero pensiero".
La nostra libertà fisica non dipende soltanto da noi e può diventare egoismo se da te dipende un qualsiasi essere vivente: un lontanissimo parente che soffre o che ha bisogno, o anche il solo gatto di casa, e non dico le persone a noi più vicine, con i loro desideri o necessità, chi morali, chi materiali o sentimentali, la nostra libertà non si può raggiungere per fuggire da qualcuno o qualcosa.
La nostra libertà può essere anche la nostra rinuncia ad essere libero.
La nostra libertà è di essere consapevoli del male e dell'ipocrisia e di essere in grado di poterlo ammettere ed emendarsene.
La nostra libertà è condizionata se non dalla nostra vita, dalla vita di chi non è libero, ma possiamo essere liberi di fare, ogni giorno, qualcosa per la libertà di tutti e chi ha aperto questo blog per noi lo fa.
Grazie alla Redazione, al "cane di Jack, e a tutti voi.
Alessandra

Anonimo ha detto...

Grazie a te Alessandra per quello che hai scritto.
Io invece ho inviato la mia solita lamentela al Quotidiano della Calabria, ispirata questa volta da un'intervista dello stesso Quotidiano ad un noto intellettuale esperto di 'ndrangheta.
Eccola:
Caro De Luca,
forzatamente, non per mia volontà, sono stato costretto ad una misera cultura in tema di 'ndrangheta. E così, ritengo (erroneamente?) di capire il fenomeno. Un fenomeno, indegno di qualsiasi contesto di società civile. La cosa, però, di cui più sono terrorizzato non è la 'ndrangheta in se, come fenomeno criminale tra i più potenti e pericolosi esistenti al mondo, bensì le analisi che su di essa sono elaborate dagli studiosi in materia e operatori delle varie istituzioni preposti al suo contrasto. I primi, scrivono di essa, con distacco, come se fossero cittadini svedesi o finlandesi appassionati alla degenerazione del genere umano; i secondi, invece, trattano ogni indagato per 'ndrangheta come se fosse un uomo barbaro e primitivo. Ma dico, come è possibile che un insegnante, Giuseppina Spadafora, con una lettera inviata al Quotidiano, in cui riferisce di un suo alunno, Matteo, riesce ad essere più incisiva di questi esperti in tema di 'ndrangheta? Eppure, è possibile!!! E, la risposta sta nella stessa lettera di Giuseppina: la paura!!!
Quando la smettono, non gli insegnanti e gli alunni citati dalla maestra Spadafora, gli studiosi e gli operatori della giustizia, di aver paura o, secondo me più plausibile, fare finta di avere paura, anche la 'ndrangheta finirà. Finalmente!!!
b.i.

Anonimo ha detto...

Per il giudice Lima,
è riuscito bene a dare l'idea di ciò che voleva esprimere. Grazie per le Sue risposte, sono state per me ottimi spunti di riflessione.