giovedì 7 febbraio 2008

La politica clientelare tiene in vita Cosa nostra


di Luca Tescaroli
(Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma)

da Repubblica del 7 febbraio 2008

In una Sicilia attanagliata da una profonda crisi economica e istituzionale, dove lo sviluppo non decolla, forze, iniziative e atteggiamenti contrapposti e ambivalenti si contendono il campo, intrecciandosi tra loro.

Da un lato, l’azione repressiva di magistratura e forze dell’ordine – concretizzatesi in arresti di uomini d’onore, nuove collaborazioni con la giustizia, sequestri di patrimoni per ingenti valori – continua a fiaccare una nuova generazione di boss dalla statura criminale molto meno spiccata di quella che gestiva il potere nel decennio precedente e che basa i propri business prevalentemente sul racket delle estorsioni e sul controllo delle attività economiche sul territorio.

Larghi settori dell’informazione, anche nazionale, mostrano maggiore sensibilità e attenzione rispetto al passato al fenomeno mafioso, denotando di saper cogliere gli aspetti innovativi e gli avvenimenti che vi interagiscono.

Fiction televisive sono state incentrate sui padrini di Corleone. Nella stessa direzione si registrano positivi comportamenti, di rottura rispetto alla tradizione di indifferenza, di connivenza e di collusione, da parte del mondo dell’imprenditoria, che, tramite l’associazione di categoria, Confindustria, ha verbalmente e reiteratamente preso le distanze dal sistema delle estorsioni.

Singoli imprenditori hanno trovato il coraggio di reagire e di sfidare l’imposizione sistematica del pizzo.

Condotte precedute da un impegno e da un’azione apprezzabile di esponenti della società civile convogliati in comitati e associazioni, come Addio Pizzo e Libera.

Tuttavia sono troppo pochi gli imprenditori che hanno denunciato, sebbene molti siano i nominativi di coloro che sono risultati pagare dai libri mastri sequestrati ai boss arrestati.

Un segno evidente di non acquisita fiducia nelle istituzioni e del fatto che i più sono ancora imprigionati dalla paura, per il timore di ritorsioni, o ritengono più conveniente mantenere il rapporto con “l’onorata società”.

D’altra parte, l’iniziativa di Confindustria non ha svolto la sperata funzione di traino nei confronti di altre associazioni di categoria e non ha superato la soglia dell’aperta abiura e della mobilitazione dei rappresentanti.

Occorre interrogarsi sulle ragioni di una tale resistenza e chiedersi se quanto accade nell’isola e caratterizza il sistema di potere che la governa condizioni lo sgretolamento del muro di omertà.

In un contesto di assuefazione culturale a Cosa nostra e di collusione i molti segnali positivi stentano a produrre effetti concreti di miglioramento sulla vita dei cittadini.

Troppi mafiosi arrestati continuano a ritornare in libertà in tempi troppo rapidi e, conseguentemente, a esercitare la loro azione criminale nelle stesse zone.

Non si percepiscono segnali di discontinuità da parte degli esponenti della classe politica che conta, preposti al governo dell’isola e di altri enti locali.

La propensione ad avere rapporti con i mafiosi è conclamata e interessa soprattutto alcuni rappresentanti politici delle province di Palermo, Agrigento e Trapani.

La gestione della cosa pubblica continua ad avvenire secondo una prospettiva fortemente clientelare, proiettata a consolidare il ruolo di chi governa, secondo logiche spartitorie selvagge.

A fronte di ciò nessun politico o rappresentante delle istituzioni è stato sottoposto a sanzioni politiche per aver intrattenuto rapporti con appartenenti a Cosa nostra o per aver dimostrato di non perseguire l’interesse pubblico, proprio come avveniva nell’epoca dei Ciancimino e dei Lima.

Non risultano, infatti, casi di non inclusione nelle liste elettorali o nella rosa dei candidati di un partito per incarichi istituzionali o politici, di sfiducia da parte delle maggioranze che hanno eletto i relativi rappresentanti collusi, di revoca del mandato o di rimozione dall’incarico.

La recente condanna, in primo grado, del presidente dimissionario della Regione siciliana a cinque anni per favoreggiamento (per aver favorito singoli personaggi associati alla mafia: Domenico Miceli, Salvatore Aragona, Michele Aiello e Giuseppe Guttadauro) e rivelazione di segreto d’ufficio, ha aperto la prospettiva di una sua candidatura al Senato della Repubblica nelle file dello stesso partito di appartenenza.

È, dunque evidente come tale stato di cose, per un verso, contribuisca a incrinare l’affidabilità delle istituzioni nel suo complesso di fronte alla collettività, che paradossalmente è l’arbitro del proprio destino ed è chiamata ad eleggere i propri rappresentanti, mentre, dall’altro, invia al mondo mafioso segnali che possono essere interpretati come atteggiamenti di disponibilità a interagire.

In altri termini, quei partiti che non allontanano gli esponenti che hanno dimostrato di avere rapporti con i mafiosi spianano la strada alle intese e allo scambio di favori con le cosche.

Le nuove elezioni regionali, che si accompagnano a quelle nazionali, costituiscono per i siciliani un’occasione propizia per dare vita a un autentico rinnovamento.

A tal fine, è, però, fondamentale la scelta di rappresentanti che diano garanzia di legalità, certezza di governo senza alcuna commistione tra politici, affari e mafia e serie prospettive di sviluppo dell’economia, con progetti di investimento, senza distribuire le risorse pubbliche per accaparrarsi consensi e assicurarsi voti.

Cosa nostra non starà certo alla finestra, dal momento che in ballo vi è ancora la partita dei fondi dell’Ue, destinati a inondare l’isola, e la possibilità di conquistare appalti di lavori e servizi con la connivenza di amministratori e dirigenti collocati in posti chiave (quali quelli della sanità, dell’agricoltura, della formazione e turismo, della pianificazione).


4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ritengo azzeccato il titolo dell'articolo, l'analisi, in alcune parti, meno.
Fin quando non si ha il coraggio di guardare in faccia la realtà, la mafia la avrà sempre vinta.
Faccio qualche esempio augurandomi di non “aggrovigliarmi” nei miei deliri. Penso spesso a quanto dichiarato in un intervista da Paolo Borsellino: da adolescente ha subito il fascino della mafia. In seguito, nel suo ruolo di giudice, è stato il più lucido e tenace operatore dell'antimafia. Cerco di dire che se Borsellino per diversi motivi fosse stato indotto a fare il mafioso, lo Stato, ancora oggi nella lotta alla mafia, sarebbe all'anno zero. E allora, quando Montezemolo espelle da Confindustria l'imprenditore che paga il pizzo io mi domando: e se quel signore è una persona onesta che mai si sognerebbe di aiutare la mafia e però è costretto a operare in un territorio in cui il Ministro, Presidente di Giunta, Provincia e sindaco della sua Regione, per non aggiungere persino il Presidente del Cdm, in maniera non del tutto occulta, accettano la mafia come un male necessario? Certo, può fare il Borsellino!!! Ma lui non è un uomo delle istituzioni, è soltanto un imprenditore!
Figuriamoci, cosa possono fare nella lotta alla mafia coloro che sono soltanto dei poveri cristi: la maggioranza della popolazione. Ecco, i poteri dello Stato (Ordine Giudiziario incluso) non trovino alibi, è ora che ognuno di essi si assuma le proprie responsabilità nella lotta alla mafia. Fin quando personaggi del calibro di Forleo e de Mgistris vengono trattati come lo sono stati in questi ultimi mesi, sia il potere politico come quello giudiziario non fanno altro che prendere in giro gli italiani, raccontandoci l'imbroglio delle emergenze mafie.
bartolo iamonte

Anonimo ha detto...

Caro Bartolo,concordo con te, visto che in questi minuti la candidatura di Cuffaro, appena uscito di scena per le note vicende, è sul tavolo della trattativa dei politici, per la nomina a governatore per le prossime elezioni.
A che serve allora tutto lo sforzo dei magistrati, delle forze dell'ordine, della società civile
quando poi sono le istituzioni che ignorano impunemente tutto questo?
Alessandra

Anonimo ha detto...

http://www.perlacalabria.it/2008/02/08/why-not-la-forma-piu-autentica-dello-scambio-di-voti/#more-516

e qui c'e' il resoconto del punto di partenza della indagine Why not.

La politica clientelare tiene in piedi molte cose, oltra a cosa nostra....

Se ancora non avevamo capito il perche', i fatti di questi giorni e questi resoconti della indagine Why not ci fanno capire meglio perche' De Magistris doveva essere fatto fuori ed alla svelta.

I ragazzi di Locri continuano a raccogliere firme per De Magistris e Forleo: aiutiamoli anche da qui!

Anonimo ha detto...

Voglio ringraziare Alessandra, Ma anche Francesca che mi ha permesso di rileggere quello che l'informazione calabrese, dando invece enfasi alle dichiarazioni dei mascalzoni, cerca d'insabbiare.
Grazie, bartolo iamonte.