giovedì 28 febbraio 2008

Il C.S.M. a servizio di chi?



di Vincenzo Agosto
(Avvocato del Foro di Catanzaro)



Con l’intento di tenermi aggiornato stamattina mi sono ritrovato a leggere la sentenza 28/2008 emessa dalla Corte Costituzionale il 21 febbraio 2008 e la cui lettura è consentita a tutti cliccando qui.

Ebbene, ammetto che, non avendo distinto l’oggetto della decisione prima di aprire il collegamento, mi ero accinto a leggere stancamente e anche un po’ annoiato, perché l’ennesima pronuncia della Corte Costituzionale relativa a un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato mi appariva priva di un concreto interesse ed ero quasi in procinto di abbandonare la lettura quando ho compreso l’esatta ed effettiva portata della questione sottoposta al vaglio del Giudice delle Leggi: si trattava della pronuncia relativa alla assunta insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, comma 1 della Costituzione, di alcune opinioni espresse dall’allora deputato e ministro delle telecomunicazioni Maurizio Gasparri nei confronti del G.I.P. del Tribunale di Milano dott.ssa Clementina Forleo in seguito a una decisione resa dal magistrato, decisione con la quale taluni imputati erano stati assolti dall’accusa di terrorismo internazionale, e che, per essere storicamente precisi, deve ricordarsi essere stata dapprima sconfessata dalla Suprema Corte di Cassazione e successivamente ribaltata dalla Corte di Appello di Milano.

Orbene, prima di giungere al cuore della questione, ritengo sia opportuno riepilogare succintamente meglio gli eventi per coloro che non ne avessero memoria, tentando, poi, di semplificare su quanto la Corte Costituzionale era chiamata a decidere per permettere anche a quanti sono privi di una specifica preparazione giuridica di comprendere compiutamente il merito e la portata della questione.

Per brevità e con l’intento di non essere fuorviante, ritengo si possa riferire la vicenda estraendo un brano dagli atti parlamentari della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati il cui testo integrale è possibile leggere a questo collegamento:

«La dottoressa Forleo si è resa evidente, per la prima volta, alle cronache nazionali per avere il 24 gennaio 2005, emanato una sentenza nella quale – all’esito del giudizio abbreviato celebrato a carico di alcuni imputati, accusati di violazione delle leggi sull’immigrazione, di ricettazione e di associazione con finalità di terrorismo – ha ritenuto di non ravvisare la sussistenza di quest’ultimo reato.

Come è ben noto a tutti, i motivi che hanno portato la Forleo ad escludere, nei confronti dei sopraddetti imputati, le ipotesi di associazione con finalità di terrorismo risiedono nell’avere costei distinto la nozione di «terrorismo» da quelle di «resistenza» o di «guerriglia».

Avendo ritenuto sussistere la seconda e la terza ipotesi, e non la prima, nel caso di specie attinente alla situazione irachena, il magistrato ha pronunciato una sentenza di assoluzione.

[…]

Anche l’onorevole Gasparri è intervenuto a commentare la pronuncia in oggetto, con delle dichiarazioni alle agenzie Ansa e Adnkronos in data 25 gennaio 2005, e con un comunicato stampa del Ministero delle Comunicazioni in data 6 febbraio 2005»
.

In conseguenza di tali dichiarazioni, il G.I.P. Forleo sporse querela nei confronti del membro del Parlamento per il reato di diffamazione a mezzo stampa e il Tribunale di Roma aprì un procedimento penale, richiedendo alla Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati di potere procedere nei confronti di Gasparri.

Poiché l’Assemblea dei deputati si espresse ritenendo insindacabili le espressioni usate in quanto asseritamente formulate dal parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni, il G.I.P. del Tribunale di Roma propose ricorso alla Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza sopra richiamata, ha stabilito «che non spettava alla Camera dei deputati affermare che i fatti per i quali pende un procedimento penale a carico del deputato Maurizio Gasparri davanti al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma […] costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione», annullando quindi «la delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati».

Fin qui una ordinaria ricostruzione degli eventi e uno scolastico chiarimento su una vicenda giudiziaria, per cui probabilmente il lettore si domanderà cosa vi sia di interessante in questo scritto.

Ebbene ammetto che ciò che mi è apparso degno di nota non è stata la decisione (che a una prima lettura mi pare adeguatamente e correttamente argomentata), quanto l’inquietante contenuto delle dichiarazioni rese dall’onorevole Gasparri che hanno dato luogo al procedimento penale e che oggi appaiono in qualche modo profetiche visto il procedimento in corso innanzi al C.S.M. nei riguardi della dott.ssa Clementina Forleo, tra l’altro avviato, se la memoria non mi tradisce, per la richiesta avanzata dallo stesso magistrato di autorizzazione all’utilizzo di alcune intercettazioni nei confronti dell’onorevole e attualmente ancora ministro D’Alema, dell’onorevole Fassino e di altri deputati.

Riporto tali affermazioni per come nella sentenza annotate e citate anche negli atti della Giunta per le autorizzazioni: «una decisione incredibile, sconcertante e allarmante, fuori da ogni schema razionale, basata su una scelta ideologica. Oggi vive gente che si trova al di fuori del mondo e che non si ricorda che c’è stato un evento terribile come l’11 settembre [...] il Governo deve valutare con urgenza l’emanazione di norme che impediscano a GIUDICI IRRESPONSABILI di lasciare a piede libero degli autentici terroristi [...] IN OGNI CASO IL C.S.M. DEVE INTERVENIRE PERCHÉ UN MAGISTRATO CHE HA FATTO QUESTE COSE È UN PERICOLO PER LA SICUREZZA ED È UNA PERSONA CHE NON PUÒ SVOLGERE QUELLA FUNZIONE».

Eccoci dunque giunti alla vera essenza di questa notazione.

A me pare gravissimo dovere riscontrare che quanto richiesto da Gasparri con modalità finite davanti al giudice penale si stia avverando nel procedimento a carico della dott.ssa Forleo davanti al Consiglio Superiore della Magistratura, evidentemente supinamente appiattito sulle posizioni dei politici e sulle loro necessità.

A me pare incredibile che il Consiglio Superiore della Magistratura, che, quale organo di autogoverno dei giudici di rilevanza costituzionale, dovrebbe garantirne l’autonomia e l’indipendenza dagli altri poteri dello Stato (vedasi Wikipedia), faccia sostanzialmente proprie le esternazioni di Gasparri, traducendole in un procedimento disciplinare a carico di un magistrato.

Infine gli interrogativi, le perplessità e le preoccupazioni.

Saprà il G.I.P. del Tribunale di Roma sopportare il dubbio che quanto accaduto alla Forleo e a De Magistris non accadrà anche a lui?

Saprà il C.S.M. resistere alla tentazione di rendersi gradito al politico di turno?

Saprà il rappresentante del popolo inquisito non cedere all’ormai facile espediente della rimozione del magistrato che indaga?

Saprà la Magistratura rimarginare il proprio tessuto affrontando con serenità i procedimenti in cui risultano implicati soggetti dediti alla politica?

Queste le domande conseguenti ai procedimenti portati a termine nei confronti di De Magistris e ancora in corso riguardo alla Forleo (con un esito per la verità oramai scontato) da un C.S.M. evidentemente incapace di comprendere che la capziosità con cui ha agito ha sì permesso di raggiungere nell’immediato un definito e predeterminato obiettivo spazzando via due “cattivi” magistrati, ma ha anche irrimediabilmente minato per il futuro la magistratura, i cui componenti non potranno più operare obiettivamente, essendo consci che i procedimenti, siano essi di rilievo penale o civile, nei quali siano parte rappresentanti del popolo potrebbero condurli ad analoga sorte già spettata ai loro colleghi.

Concludo.

Vedete, io credo che quando un avvocato in un momento storico nel quale sarebbe ben facile e assai redditizio scagliarsi contro i magistrati si ritrova piuttosto a difenderli non in virtù di un rapporto professionale, ma perché ne avverte l’urgenza civica, in tal modo sovvertendo le non scritte regole ben note anche a chi abbia avuto rapporti seppure minimi con qualsivoglia ambiente giudiziario, allora probabilmente qualcosa di angosciante, critico e grave è avvenuto, o si sta ancora verificando.


14 commenti:

Anonimo ha detto...

Gentile avvocato Agosto, nel ringraziarLa per la chiarezza del suo post, sarei curioso di conoscere la sua opinione sui casi di applicazione dell'art 416 bis cp.
La dottoressa Forleo facendo cadere nei confronti di quegli imputati l'accusa di associazione con finalità di terrorismo ha dato una bella lezione di dignità e indipendenza. Nessun avvocato, invece, parla dei tanti casi di imputati di 416 bis che loro conoscono bene e sanno non esserci gli estremi per la sua applicazione: in Calabria tante Maria Clementina Forleo, per sconfiggere l'indegna organizzazione mafiosa!!!
bartolo iamonte

Anonimo ha detto...

Per par condicio, bisogna aggiungere:
Lei disse: il diritto, correttamente applicato, affievolisce le disuguaglianze.
«Applicando la legge bisogna tenere conto delle condizioni di inferiorità sociale, economica, psichica delle persone. Il falso in bilancio dei furbetti del quartierino è diverso dal furto dell'immigrato che non sa come campare. Il diritto ha una funzione rivoluzionaria. Con il diritto si può cambiare una società».
Sarebbe l'ora che venisse fondata la Scuola de Magistris-Forleo per il Rinascimento del Meridione d'Italia.
bartolo iamonte

Anonimo ha detto...

Per concludere, dopo aver appreso del proscioglimeto del Presidente Loiero e letto una lettera aperta di un caro amico dell'onorevole Minniti indirizzata allo stesso Minniti e Veltroni, in cui manifesta la propria disponibilità a candidarsi nel pd, ho scritto anch'io la seguente lettera che ho inviato allo stesso quotidiano:
Gentile Direttore Matteo Cosenza e Gentile Pietro De Luca,
“L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Conoscerete sicuramente (quello che precede è) l'articolo uno della Costituzione Italiana.
Gli Autori, se tornassero in vita, avrebbero di che lavorare per spiegare all'attuale classe dirigente, costituita in gran parte da ignoranti, il contenuto della Carta che li ha impegnati nel non lontano 1946.
Ma visto che ci siamo, approfitto anch'io:
Gentili Veltroni e Minniti,
sono nato con la politica nel sangue, ma per pura casualità una serie di ingiustizie perpetrate nei miei confronti, già dalla giovane età, sono stato costretto a tenermi lontano da essa, ma nello stesso tempo, a forgiarmi in ogni campo del sapere e delle professioni. Specificando, ho conseguito una laurea in scienze politiche e varie specializzazioni nel settore manageriale del no-profit.
Finalmente, con la nascita del nuovo Partito Democratico, ho deciso di mettere a disposizione della collettività l'esperienza acquisita; considerato che siete Voi Due i capi di questa formazione, erede di quelli che erano e sono i miei ideali di uomo sensibile, attento e operatore integerrimo a favore dei più deboli e bisognosi, affinché venga loro fornita l'opportunità di eguagliarsi agli altri che sono stati posti in condizioni di vantaggio grazie all'operato dei loro padri, nonni e bisnonni. I quali, nel corso dei secoli scorsi approfittando del favore di leggi inique legiferate ad hoc, a discapito delle masse popolari, si sono arricchiti.
Ritenetemi pertanto disponibile, nelle forme che riterrete opportune e nei limiti legati alla mia professione ed alle mie competenze, per portare a compimento il progetto di rinnovamento che sembra oramai essere, a dispetto di tanti, a portata di mano.
Bartolo Iamonte.
Coordinatore “Rinascita Cooperativa Sociale Onlus”
Melito Porto Salvo (RC).

p.s.
Se mi leggono, qualora detta richiesta a Veltroni e Minniti cadrà nel vuoto, i signori Berlusconi, Fini, Pittelli del Popolo Delle Libertà, sono disponibile a scendere in campo anche con il loro Partito, considerato che già il nome include, da sempre, i miei ideali.
Grazie, b.i.

Anonimo ha detto...

Gentile amico Iamonte, purtroppo io non sono un avvocato penalista, per cui non sono in grado di rispondere al Suo primo commento, certo però che altri daranno adeguata risposta alle Sue domande
Per quel che invece riguarda il Suo secondo commento mi pare che le parole siano tratte da un'intervista rilasciata dal dott. De Magistris a "La Stampa": non posso che condividerle completamente.

Anonimo ha detto...

Tutta quanta la vicenda mi sembra abbastanza ridicola: madama Forleo ha emesso una sentenza macchiata ideologicamente, perché non ha voluto riconoscere distinzioni ben chiarite e codificate in diverse sedi anche internazionali tra terrorismo e resistenza.
Monsù Gasparri verrà processato perché ha espresso opinioni morali e tecniche sull'operato di un magistrato, e la corte costituzionale ha deciso che in quel momento non parlava da deputato ma da cittadino querelabile qualunque (forse perché parlava di un magistrato e non di un qualsiasi ladro di polli).
Successivamente, e su richiesta proprio di parlamentari, la stessa madama Forleo è stata giudicata e condannata dal CSM (se non vado errato) per aver espresso considerazioni penali su uomini politici (sulle azioni dei quali stava peraltro indagando).
e allora mi chiedo: un politico può discutere e criticare l'operato di un giudice senza tema di querele soltanto se tratta di sentenze che in qualche misura o coinvolgono personalmente?
oppure, un giudice può emettere sentenze "politiche", ma soltanto se riguardano criminali comuni o terroristi stranieri?
oppure, un magistrato può adombrare nella richiesta di un provvedimento i motivi di gravità (penale) che rendono tale provvedimento necessario, ma soltanto se non si tratta di indagini che riguardano politici di sinistra pugliesi e baffuti?
insomma, da tutto questo (e non soltanto da questo), la figura di catrame chi la fa?
il magistrato integerrimo a corrente alternata? il CSM libero e sovrano, fiero difensore della indipendenza del terzo potere dalle ingerenze e implicazioni politiche (ma soltanto di una parte)?
la corte costituzionale, che decide prima e meglio del parlamento come e quando i suoi membri sono "in servizio" e quando no?
e a che prezzo, e con quale vantaggio per il nostro sciaguratissimo paese?

baron litron

Anonimo ha detto...

Gentile Baron Litron,

nel ringraziarLa per la Sua partecipazione che arricchisce il blog di opinioni "pungenti" che lo rendono "vivo" e dicendomi almeno in parte concorde con Lei su alcune delle Sue osservazioni (in particolare, quelle sulla sospetta sensibilità di alcuni ad alcuni temi a seconda delle persone coinvolte), mi permetta una precisazione e una libera opinione, che La prego di non considerare in alcun modo polemiche. Vogliono essere solo un ulteriore contributo - non in alternativa, ma accanto al Suo - su una vicenda molto delicata che mi sta molto a cuore.

La precisazione:
Lei ha scritto: "La stessa madama Forleo è stata giudicata e condannata dal CSM (se non vado errato) per aver espresso considerazioni penali su uomini politici (sulle azioni dei quali stava peraltro indagando)"

Clementina non è stata condannata. Pende al C.S.M. un procedimento, non ancora giunto a conclusione.

Certo le stupefacenti "esternazioni" della vicepresidente della Prima Commissione del C.S.M., Letizia Vacca ("sono cattivi magistrati" e devono "essere colpiti") non rende ottimisti sull'esito del giudizio, ma questo non è ancora concluso.

L'opinione.

Lei ha scritto: "madama Forleo ha emesso una sentenza macchiata ideologicamente, perché non ha voluto riconoscere distinzioni ben chiarite e codificate in diverse sedi anche internazionali tra terrorismo e resistenza".

Con tutto il rispetto per la Sua opinione, la mia è esattamente contraria. A me pare che la sentenza di Clementina sia tecnicamente ineccepibile e che "ideologica" sia la tesi opposta.

"Fare terrorismo" è una cosa, "resistere contro una potenza militare straniera che occupa militarmente il tuo paese violando enne norme di diritto internazionale ed enne convenzioni internazionali" è un'altra.

Ovviamente, non sto dicendo che gli ipotetici "resistenti" siano "buoni", né che "facciano bene". Si tratta di temi molto delicati e non ho alcun desiderio di prendere posizione su questo aspetto della vicenda.

Considero solo la questione tecnico/giuridica.

Nel nostro Paese prevale "ideologicamente" e atecnicamente l'idea che quando la guerra la dichiariamo noi è un atto di pace e chiunque si permette di reagire a questo "atto di pace" fatto bombardando e assassinando donne e bambini (sul problema in generale, rinvio a a questo link; sulle colpe anche dei soldati italiani: a quest’altro link) è "terrorista".

Per di più ormai nel nostro Paese la parola "terrorista" è utilizzata in modo del tutto atecnico, come un insulto e basta.

Abbiamo Presidenti del Consiglio che danno dei "terroristi" ai magistrati e la Commissione parlamentare antimafia che paragona la 'ndranghera ad al Qaeda (come se non ci fosse bisogno di paragoni coloriti per descrivere un fenomeno criminale con sue specificità del tutto diverse da quelle di al Qaeda).

Per il resto, come ho già detto, condivido il senso della Sua critica al doppiopesismo di alcuni.

Scusi la replica.

Un caro saluto.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Gentile e acuto baron litron apprezzo molto il Suo intervento che ha intelligentemente colto molti aspetti del mio articolo (forse ancora più di quanti non ve ne fossero).

Credo che il Suo interrogativo conclusivo ("e a che prezzo, e con quale vantaggio per il nostro sciaguratissimo paese?") potrebbe aiutare ad aprire ancora di più un dibattito che comodamente in molti vorrebbero vedere morire.

Avendo da sempre una predilezione per gli interrogativi, rilancio: chi sarà costretto a pagare il prezzo e a essere gravato del peso delle scelte del C.S.M.?

Anonimo ha detto...

Gentilissimo dottor Lima, non mi deve alcuna scusa per la replica, della quale anzi la ringrazio. Sono però costretto a contraddirla, proprio sul merito della mia posizione nei confronti della sentenza della dottoressa Forleo.

Lei dice che "Fare terrorismo" è una cosa, "resistere contro una potenza militare straniera che occupa militarmente il tuo paese violando enne norme di diritto internazionale ed enne convenzioni internazionali" è un'altra.
Ebbene, sono perfettamente d'accordo con lei. Senonché, in base alla terza Convenzione di Ginevra, le azioni dei combattenti di parte irakena (uso un termine neutro puramente connotatorio dell'attività dei belligeranti) al tempo del "caso" non si possono definire "resistenza".
Per i seguente motivo:
la citata convenzione, all'articolo 4 garantisce i diritti dei prigionieri di guerra, e i doveri di etrambe le parti belligeranti nei loro confronti.
Se non è troppo fastidio le cito l'intero articolo:

(...)

Art. 4

A. Sono prigionieri di guerra, nel senso della presente Convenzione, le persone che, appartenendo ad una delle seguenti categorie, sono cadute in potere del nemico:

1.
i membri delle forze armate di una Parte belligerante, come pure i membri delle milizie e dei corpi di volontari che fanno parte di queste forze armate;
2.
i membri delle altre milizie e degli altri corpi di volontari, compresi quelli dei movimenti di resistenza organizzati, appartenenti ad una Parte belligerante e che operano fuori o all’interno del loro proprio territorio, anche se questo territorio è occupato, semprechè queste milizie o questi corpi di volontari, compresi detti movimenti di resistenza organizzati, adempiano le seguenti condizioni:
a.
abbiano alla loro testa una persona responsabile dei propri subordinati;
b.
rechino un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza;
c.
portino apertamente le armi;
d.
si uniformino, nelle loro operazioni, alle leggi e agli usi della guerra;

3.
i membri delle forze armate regolari che sottostiano ad un governo o ad un’autorità non riconosciuti dalla Potenza detentrice;
4.
le persone che seguono le forze armate senza farne direttamente parte, come i membri civili di equipaggi di aeromobili militari, corrispondenti di guerra, fornitori, membri di unità di lavoro o di servizi incaricati del benessere delle forze armate, a condizione che ne abbiano ricevuto l’autorizzazione dalle forze armate che accompagnano. Queste sono tenute a rilasciar loro, a tale scopo, una tessera d’identità analoga al modulo allegato;
5.
i membri degli equipaggi, compresi i comandanti, piloti e apprendisti della marina mercantile e gli equipaggi dell’aviazione civile delle Parti belligeranti che non fruiscano di un trattamento più favorevole in virtù di altre disposizioni del diritto internazionale;
6.
la popolazione di un territorio non occupato che, all’avvicinarsi del nemico, prenda spontaneamente le armi per combattere le truppe d’invasione senza aver avuto il tempo di organizzarsi come forze armate regolari, purchè porti apertamente le armi e rispetti le leggi e gli usi della guerra.
B. Fruiranno del trattamento stabilito dalla presente Convenzione per i prigionieri di guerra anche:

l.
le persone appartenenti o che abbiano appartenuto alle forze armate del paese occupato se, data questa appartenenza, la Potenza occupante, pur avendole dapprima liberate mentre le ostilità proseguono fuori del territorio da essa occupato, ritiene necessario di procedere al loro internamento, specie dopo un tentativo di queste persone, non coronato da successo, di raggiungere le forze armate cui appartenevano e che sono impegnate nel combattimento, oppure qualora non ottemperino ad un’intimazione con la quale è ordinato il loro internamento;
2.
le persone appartenenti ad una delle categorie enumerate nel presente articolo, che Potenze neutrali o non belligeranti abbiano accolto sul loro territorio e siano tenute ad internare in virtù del diritto internazionale, con riserva di ogni trattamento più favorevole che queste Potenze ritenessero indicato di accordar loro e fatta eccezione delle disposizioni degli articoli 8, 10, 15, 30, quinto capoverso, 58 a 67 incluso, 92, 126 e, quando esistano relazioni diplomatiche tra le Parti belligeranti e la Potenza neutrale o non belligerante interessata, delle disposizioni concernenti la Potenza protettrice. Nel caso in cui esistano tali relazioni diplomatiche, le Parti belligeranti, dalle quali dipendono le persone di cui si tratta, saranno autorizzate a svolgere nei confronti delle stesse le funzioni che la presente Convenzione assegna alle Potenze protettrici, senza pregiudizio di quelle che dette Parti esercitano normalmente in virtù degli usi e dei trattati diplomatici e consolari.
C. Il presente articolo riserva lo statuto del personale sanitario e religioso, come è previsto dall’articolo 33 della presente Convenzione.

(...)

il testo completo della convenzione si trova su

http://www.admin.ch/ch/i/rs/0_518_42/

Come può ben valutare, se a queste categorie di combattenti vengono riconosciuti i diritti individuali spettanti ai membri delle parti belligeranti che cadano in mano nemica, le parti stesse assumono lo status di belligeranti "legittimi", compresi i movimenti di resistenza organizzati, a patto però che si adeguino a determinate norme.
Come si possono allora definire resistenti i combattenti che si comportano in totale spregio dei punti che ho evidenziato?
Sia chiaro, io resto nel campo delle norme, non voglio, come anche fa lei, definire "buona" o "cattiva" una delle due parti. Semplicemente, dato lo stato di belligeranza (iniziato e proseguito anche a seguito di diverse risoluzioni ONU, sia chiaro), l'osservanza di determinate regole è fondamentale proprio per chiarire se un dato comportamento è o meno lecito, se una data organizzazione gode o meno di un particolare status agli occhi dell'altra parte.
A mio modesto avviso, una parte che per mesi dopo la fine della guerra compie ripetuti attentati dinamitardi ai danni perlopiù della popolazione civile, rapisce civili e giornalisti, agisce nell'ombra e di nascosto, non si fa riconoscere come belligerante, non si può definire "resistenza" (e questo indipendentemente da chi siano le parti in causa), benché i metodi che adotta siano effettivamente piuttosto efficaci.

E' chiaro che posso sbagliarmi, ma l'Italia firmando certi trattati internazionali ha preso il formale impegno di rispettarli, e ha confermato implicitamente che la sua magistratura li accoglie e li applica.
Spero di essermi spiegato, il diritto non è il mio forte.

In ogni caso, mi pare che la questione di quella particolare sentenza sia ormai acqua passata, e che il procedimento disciplinare nei confronti di madama Forleo avrà tutt'altro argomento. Credevo fosse già iniziato e concluso, visto che ancora pende le auguro di uscire dalla vicenda senza conseguenze, anche se ho la spiacevole sensazione che non sarà così, e che la sua sarà l'ennesima sentenza scritta prima ancora che si sia asciugato l'inchiostro del capo d'accusa.
Buonasera

baron litron

Anonimo ha detto...

Si vuol far passare, nel popolo di "pecoroni", l'idea che la Dottoressa Forleo ha simpatia per i resistenti iracheni assolti. E' la stessa tecnica ben riuscita nel meridione d'Italia contro le mafie: i giudici corrotti e collusi con esse infliggono il 416 bis a chiunque fuorché ai propri sodali, poi quando un magistrato coraggioso manda assolto qualcuno di questi, i più accaniti critici contro detto provvedimento sono proprio loro, i collusi.
Negli ultimi anni ho seguito attentamente, in Calabria, una serie di magistrati coinvolti in indagini di mafia che si sono difesi dimostrando, attraverso una lunga serie di sentenze da loro emesse, che avevano condannato pesantemente membri di questa organizzazione. Povera Clementina, a Lei sicuramente risulterà difficile dimostrare di aver emesso sentenze di ergastoli per terrorismo.
Ma ancor più difficile sarà la difesa perché le accuse sono su commissione del potere politico.
Esattamente quello che è successo con de Magistris. Stavolta credo, considerate la tempra e le diversità dei due magistrati, diverse code di paglia si bruceranno. Forse non subito, per via del rinnovo dell'attuale parlamento con tecnica di caligoliana memoria, ma nel prossimo futuro è certo.
bartolo iamonte

Anonimo ha detto...

Gentilissimo Baron Litron,

La ringrazio per la Sua disponibilità a un dialogo sereno su temi così “caldi” e, dunque, mi permetto di avventurarmici ancora, confidando nella Sua comprensione.

Prima di tornare al merito, mi permetta di segnalarLe che considero inelegante rivolgersi a Clementina Forleo spregiativamente con “madama Forleo”.

Mi permetto di segnalarglieLo, perché i Suoi interventi sono connotati da un evidente stile di correttezza e qualità e, dunque, penso possa condividere la mia notazione.

Le assicuro che anche questa non è in alcun modo polemica, ma davvero mi sto accorgendo quanto arricchisce questo sforzo costruttivo che tutti stiamo mettendo – i lettori del blog per primi (che ne sono davvero e senza retorica protagonisti) e anche i redattori - per sperimentare un metodo di confronto che consenta di discutere costruttivamente anche fra persone con idee completamente diverse. Cosa purtroppo nient’affatto frequente di questi tempi.

La cosa mi pare venga bene e, dunque, mi permetto di dirLe che, come io chiamo Lei “gentile Baron Litron” e Lei chiama me (e gliene sono grato davvero) “gentilissimo dottor Lima”, Clementina è almeno “la dottoressa Forleo” (ma va bene anche “Clementina Forleo” o qualunque altro appellativo che non sia spregiativo).

Venendo alle Sue osservazioni, vorrei fare due osservazioni critiche.

La prima sull’articolo 4 della Terza Convenzione di Ginevra.

Le questioni sono due.

La prima riguarda la disomogeneità delle norme in discussione.

A mio modesto parere, infatti, il problema che aveva Clementina Forleo era quello di interpretare le recentissime norme del diritto penale italiano in materia di terrorismo.

A me pare che sia tecnicamente del tutto arbitrario e, comunque, tecnicamente errato, secondo i canoni della ermeneutica più elementare, dire che, nell’interpretare quelle norme, bisogna considerare “terroristi” tutti quelli che non rispettano i requisiti dettati dalla Convenzione di Ginevra per … il trattamento umanitario dei prigionieri di guerra!

Sono norme del tutto disomogenee.

Immagini che una legge italiana riguardi “norme sulla concessione del beneficio della semilibertà” e contenga un elenco dei requisiti soggettivi per ottenere quel beneficio.

E poi un’altra legge riguardi l’uso legittimo delle armi da parte della polizia.

E immagini, infine, che la polizia spari (come accaduto qualche settimana fa) a un ragazzo disarmato in un’area di servizio dell’autostrada.

Non è che, se il ragazzo non ha i requisiti per la semilibertà, allora il poliziotto che gli spara fa bene.

La semilibertà è una cosa; l’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine un’altra.

Approfitto dell’esempio per segnalare che l’ho scelto apposta per precisare che esso non è “ideologico”, ma riguarda i diritti delle persone e cosa è uno stato di diritto (cioè lo specifico della giustizia e di questo blog). Mentre è “ideologico” che esempi come questo vengano ritenuti “ideologici”.

La norma della Convenzione di Ginevra che Lei invoca riguarda il trattamento dei prigionieri di guerra.

Le norme che Clementina doveva applicare riguardano la qualificazione o no di terrorista di un soggetto che recluta persone per indurle alla lotta armata nel suo paese.

E badi che, se non si fa “scattare” la qualifica di “terrorista” per costui, la sua attività resta in Italia del tutto legittima, trattandosi di reclutamento di armati che dovrebbero agire non in Italia, ma all’estero.

L’argomento che le ho testé esposto è quello tecnico ed è, a mio modesto parere, insuperabile (non con riferimento, ovviamente, alla decisione della collega Forleo, che, infatti, talora è stata condivisa – Corte di Appello – e talora no – Corte di Cassazione -, ma con riferimento alla inconducenza in questa questione del riferimento all’art. 4 della Convenzione di Ginevra).

E ciò senza dire del fatto che la Convenzione alla quale Lei fa riferimento è del 1949 e va a sua volta interpretata alla luce di tutte le norme sopravvenute nel tempo dopo di essa.

A questo proposito, se ci fa caso, proprio la norma che ha citato Lei assicura un trattamento umanitario solo a un certo tipo di detenuti di guerra.

E questo perché a quei tempi i detenuti (anche civili e del tutto innocenti) li portavano ad Auschwitz e li gasavano. O li buttavano vivi nelle foibe.

Credo che oggi numerose altre norme di diritto internazionale assicurino il trattamento umanitario a TUTTI i prigionieri.

Inoltre, l’Italia è tenuta all’osservanza di quelle convenzioni come limite per così dire minimo alla propria sovranità, ma ben può assicurare garanzie maggiori ai detenuti di ogni genere.

In sostanza, in forza della Convenzione di Ginevra noi siamo tenuti ad assicurare un trattamento umanitario a un certo tipo di detenuti. Ciò ci impedisce di negarlo a loro, ma non di concedere uguale trattamento umanitario anche ad altri.

E, considerato quello che gli americani fanno a Guantanamo, è certo che la legge italiana – diversamente da quella americana - assicura alla gente maggiori garanzie di quelle della Convenzione di Ginevra. Per esempio da noi la pena di morte non c’è per nessuno, mentre la Convenzione di Ginevra che Lei cita non la considera illegittima nei confronti di tutti.

E con ciò, fermo restando che il diritto è una scienza del tutto imperfetta e che io posso certamente sbagliarmi, mi consenta di ritenere tecnicamente errato e fuorviante (e, dunque, senza offesa e in senso squisitamente linguistico filosofico, “ideologico”) il richiamo alla Convenzione di Ginevra da parte di chi se ne è servito per insultare la mia collega.

A queste notazioni tecniche ne aggiungo una per così dire empirica.

Come ho già detto, la Convenzione della quale Lei parla è del 1949. Erano tempi MOLTO diversi.

Ciò che Lei pretende oggi è che, a fronte del fatto che l’unica potenza militare mondiale assoluta occupa in armi un paese di straccioni, dopo avere mentito al mondo sulle ragioni per cui ha fatto questo autentico crimine contro il diritto e contro l’umanità (Giovanni Paolo II ha detto che ne dovranno rispondere dinanzi al mondo e alla storia), gli straccioni dovrebbero mettersi una divisa e presentarsi armi in pugno nella piazza di Bagdag!!!!

Tanto vale dire che debbono starsene chiusi in casa o debbono suicidarsi.

A me sembra ovvio che, se resistenza deve poterci essere, i fatti e le condizioni di questa CHE NON E’ UNA GUERRA - perché una guerra si fa fra due nazioni e due eserciti, mentre questa è una OCCUPAZIONE – ne condizionino inevitabilmente le modalità.

E tornando all’uso tecnicamente improprio della Convenzione di Ginevra, Lei scrive:
“Come si possono allora definire resistenti i combattenti che si comportano in totale spregio dei punti che ho evidenziato?”

Ma io Le segnalo che i punti che Lei ha evidenziato non sono contenuti in una norma che dice “come si devono comportare gli abitanti di un paese occupato”, ma “quali garanzie si devono assicurare ai prigionieri”. Sono cose del tutto diverse e non necessariamente l’una condiziona l’altra.

In sostanza, per essere ancora più chiaro: anche a volere ipotizzare (e io non come alcuni ci riescano) che la Convenzione di Ginevra possa consentire agli americani di fare quello che hanno fatto e fanno ad Abu Ghraib e a Guantanamo, la Convenzione di Ginevra che Lei invoca, se fosse invocata correttamente, consentirebbe agli americani di non assicurare un trattamento umanitario ai prigionieri che non “rispettino i requisiti” da Lei pretesi, ma non significherebbe affatto che essi siano “terroristi”.

Gliene dò una prova che mi pare evidente.

Immagini un cittadino iraqeno che, indignato per il fatto che gli americani gli hanno sterminato la famiglia bombardando indiscriminatamente il mercato di Bagdad (il bombardamento indiscriminato del mercato di Bagdad e di molte altre zone ad alta densità di popolazione civile è fatto vero e non di fantasia), esca da casa senza divisa e senza insegne e, tenendo in tasca e, dunque, non in vista, una pistola, si avvicini al primo americano che trova e lo ammazzi con un colpo di pistola.

Comunque si voglia qualificare questo atto, io non credo proprio che si possa definire questa persona un "terrorista". Al più un "assassino". Ma sono cose, sostanzialmente e giuridicamente, molto diverse.

Se la Sua lettura dei trattati internazionali fosse corretta (e a me pare che non lo sia, perchè ha il difetto di essere "parziale", non nel senso di "di parte", ma nel senso di "incompleta"), il nostro iraqeno assassino potrebbe non godere dei benefici dovuti nel 1949 ai prigionieri di guerra. Ma non potrebbe essere soggetto alle sanzioni che puniscono il terrorismo.

La seconda osservazione critica è che Lei scrive, fra l’altro:
“Semplicemente, dato lo stato di belligeranza (iniziato e proseguito anche a seguito di diverse risoluzioni ONU, sia chiaro)”.

E invece, purtroppo, non solo questo non è chiaro, ma è FALSO.

La “guerra” non è stata e non è una “guerra” e, dunque, non è finita, perché, come guerra, non è neppure iniziata.

E’ un’occupazione militare decisa e compiuta unilateralmente.

E non è stata legittimata da alcuna risoluzione ONU.

Anzi, per di più, è stata fatta VIOLANDO diverse risoluzioni ONU.

Neppure la potenza militare occupante ha detto di agire in ottemperanza a una risoluzione dell’ONU, ma solo “perché l’Iraq avrebbe violato una risoluzione ONU”.

Ed è con evidenza cosa giuridicamente del tutto diversa.

Per farmi capire meglio.

Un conto è che ci sia una risoluzione che dice: “Va ucciso chiunque abbia un cappello giallo”.

Un conto è che ci sia una risoluzione che dice “E’ vietato avere cappelli gialli” e uno di noi dice: “C’è una risoluzione che vieta di avere cappelli gialli. Quel Tizio ha un cappello giallo. Io adesso vado a lo ammazzo, perché ha violato la risoluzione sui cappelli gialli”. Che è quello che hanno fatto gli americani.

Per di più, poi, gentile Baron Litron, gli stessi americani alla fine hanno confessato che i motivi sui quali fondavano quell’affermazione (di avvenuta violazione da parte dell’Iraq di una risoluzione ONU) erano FALSI e Bush ha detto testualmente: “Se non mentivamo sui motivi, non ci avrebbero lasciato fare questa cosa”.

La materia è grave, perché il mondo intero sconterà questa cosa per decenni. Dunque, dobbiamo fare uno sforzo di obiettività per analizzarla.

Altrimenti facciamo solo “propaganda”.

Infine, Lei scrive:
“E' chiaro che posso sbagliarmi, ma l'Italia firmando certi trattati internazionali ha preso il formale impegno di rispettarli, e ha confermato implicitamente che la sua magistratura li accoglie e li applica.”

Questo è vero, ma nessun trattato internazionale dice che chi resiste agli Usa in Iraq è terrorista.

Questa cosa la dice solo la propaganda di Bush.

Che è la stessa che copre Abu Ghraib e Guantanamo, violando, essa si, la Convenzione di Ginevra in maniera specifica e palese; la stessa che sconfessa il protocollo di Chioto; la stessa che non consegna i militari americani ai processi italiani, anche quando, a termini di specifici accordi internazionali, avrebbe il preciso dovere di farlo; la stessa che rapisce, violando la sovranità altrui, cittadini presunti innocenti e li va a fare torturare altrove; la stessa che si rifiuta di aderire ai trattati per i tribunali penali internazionali; la stessa, insomma, che fa letteralmente quello che vuole nel mondo, armi in pugno.

L’Italia ha l’obbligo di rispettare i patti che ha sottoscritto, non di essere complice di crimini contro il diritto internazionale e l’umanità.

Scusate tutti per la lunghezza di questa risposta e grazie a tutti e a Baron Litron in particolare per la disponibilità e la pazienza.

Un caro saluto.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Impossibile non ringraziare il dottore Lima: i suoi interventi sono lezioni, oltre che di diritto, ancor più importante di buona educazione!!!
Dopo di chè, mi sia permessa una battuta:...erano FALSI e Bush ha detto testualmente: “Se non mentivamo sui motivi, non ci avrebbero lasciato fare questa cosa”.
Mia madre mi diceva sempre da piccolo, attenzione alle cattive compagnie: Bush a dire bugie lo ha imparato da certi amici italiani, che gli hanno mandato il falso dossier di cui si può leggere a questo link.
bartolo iamonte

Anonimo ha detto...

Egregio monsù Lima, come ho già detto i diritto non è la mia materia, e per questo motivo è molto facile ch'io sbagli quando mi ci avventuro. La sua esauriente risposta, per la quale desidero ringraziarla, lo ha ampiamente dimostrato.
Resta da considerare, ma qui si rimane nel campo delle opinioni, quale legittimità ed efficacia abbiano stragi essenzialmente di civili (in coda al mercato, in coda davanti agli uffici di reclutamento, in attesa del bus) per liberarsi di un'occupazione straniera, e quanto sia appoggiata dalla popolazione la guerra per bande messa in atto in Iraq tra le fazioni sciita e sunnita, appoggiate e no da potenze straniere.
A mio parere, la popolazione irachena non ne può più, e infatti i "combattenti" vedono man mano diminuire e l'efficacia delle loro azioni (sempre assai ridotta peraltro, se se ne considera il fine), e l'appoggio residuo degli altri iracheni, tanto che per compiere l'ultima vigliacca strage di civili si sono ridotti a far indossare cinture esplosive a due sventurate handicappate, fatte poi esplodere a distanza - un atto da veri resistenti coraggiosi, va riconosciuto.
Per me erano e restano assassini, il paragone con la mafia non è del tutto campato in aria, e questo non per nobilitare in un certo modo la mafia, ma per ridurre certe operazioni armate al loro livello essenziale di azioni criminali.
E' invece chiarissima l'utilità soprattutto mediatica di dipingere dette azioni come atti di resistenza, ma non desidero proseguire nell'argomento, sia per la sua estrema delicatezza, sia perché sfiora in maniera del tutto marginale il vero nucleo dell'articolo di monsù Agosto.
Quanto invece all'osservazione sull'uso del termine "madama" riferito alla dottoressa Forleo, voglio assicurarle che non v'è il minimo intento denigratorio, e che tale termine non ha nulla di dispregiativo od offensivo. Non sapendo io se la signora Forleo sia nubile o sposata e non sapendo se l'eventuale sua suocera sia ancora vivente, non ho potuto riferirmi a lei come "tota" oppure "madamin", termini che nella mia lingua connotano appunto diverse condizioni di stato civile dell'universo femminile.
Ho optato quindi per un generico quanto rispettoso "madama", termine che tradotto in italiano significa "signora", del tutto privo di qualsivoglia sfumatura offensiva, e anzi appellativo di rispetto più caldo e riverente dell'impersonale "dottoressa". Quanto a me, sono "dottore", ma non tengo particolarmente a farlo sapere, né mi preme di essere così chiamato, soprattutto quando utilizzo un soprannome che si rifà a ben altra tempra d'uomo.
Noto che lei non ha avuto altrettanta sollecitudine nel rimprovero quando ho chiamato "monsù" il Gasparri, che oltretutto - mi pare - è anche dottore e pure onorevole... Semplice e comprensiva espressione di cameratismo e rispetto tra colleghi, immagino, nonché segno del rispetto dovuto comunque a una signora. Avessi voluto offenderla (anche se non ne ho alcun motivo), avrei potuto scegliere tra le decine di appellativi a tal uopo germinati nel corso dei secoli nella mia lingua o in italiano, senza dover ricorrere a sfumature o possibili doppi sensi.
Sperando di essermi spiegato, la saluto con l'augurio di proseguire in questa impresa telematica che aiuta moltissimo ad avvicinare cittadini qualunque, e anche "professionisti del ramo", a un universo sovente incomprensibile.

baron litron

Anonimo ha detto...

Per Baron Litron.

Gentilissimo Dottore,

mi permetta di ringraziarLa ancora, perchè davvero Le sono molto grato per questa nostra conversazione.

Ai miei occhi dimostra come lo sforzarsi reciprocamente (mi scusi se in qualcosa avessi sbagliato e grazie per il Suo evidente impegno di cortesia) per un verso di difendere le proprie idee, ma per altro verso di non ferire con esse gli altri dia dei buoni frutti.

Quanto a ciò che Lei scrive in risposta alla mia, urgono due precisazioni.

La prima è che, per quello che può valere, io credo che chiunque e a qualunque fine uccida civili innocenti sia un indegno assassino.

Dunque, non ho alcuna "simpatia" e non trovo alcuna giustificazione nei confronti di chi si fa saltare in aria uccidendo civili innocenti.

Non credo alla "ragion di Stato" e dunque neppure alle "ragioni della rivoluzione" o della resistenza, quando con esse si cerca di giustificare assassinii e gravi delitti in genere.

Ma credo che non sia questo il punto.

A Clementina Forleo non veniva chiesto di giudicare se una strage alla fermata dell'autobus fosse o no un assassinio, ma se reclutare persone per combattere in Iraq fosse, PER CIO' SOLO e in assenza di qualsiasi prova che tale combattimento dovesse avvenire con metodi terroristici, da considerarsi "terrorismo" in senso tecnico.

Credo che la situazione del mondo sia - come peraltro è stata sempre - molto complessa e che, dunque, ci si imponga uno sforzo - difficile e a volte anche costoso - di approfondimenti e distinguo.

Almeno per evitare che:

1. gli evidenti crimini commessi dall'amministrazione americana accomunino tutti gli americani in un giudizio pesantemente negativo;

2. gli evidenti torti subiti dagli iraqeni accomuinino tutti gli iraqeni in un giudizio positivo;

3. gli evidenti meriti di alcuni americani accomunino, eccetera eccetera.

Insomma, la mia proposta è di analizzare singoli fatti a singoli fini e di non "schierarsi" aprioristicamente "pro" o "contro", ma difendere quelle che, volta per volta, appaiono le ragioni degli uni e quelle degli altri.

In fondo, :-) è il lavoro del giudice: che a volte dà ragione a questo contro quello e in un'altra causa al secondo contro il primo.

E dà ragione anche all'avvocato che gli è antipatico e torto anche all'avvocato che gli sta simpatico, quando hanno rispettivamente ragione e torto.

La seconda precisazione riguarda la questione "madama Forleo".

Preso atto del Suo chiarimento, Le chiedo sinceramente scusa per averLa fraintesa.

Avevo attribuito al "madama" un significato spregiativo e a "monsù" uno ironico.

Evidentemente, ho sbagliato.

Ovviamente, se avessi percepito come offensivo anche il riferimento all'on. Gasparri, avrei "difeso" anche lui.

La prego di darmi atto che in questo blog trattiamo con rispetto tutti e non questi o quelli.

E anche nei confronti di coloro che critichiamo con riferimento a vicende concrete, non usiamo toni sprezzanti o irridenti.

Se mi permette di alleggerire il tono e scherzarci su, io mi rivolgo a ogni donna, anche giovane, chiamandola "signora", perchè cerco di contrastare questa cosa un po' antica che le donne non sposate sarebbero "signorine". Come se una donna fosse completa solo con il matrimonio, mentre per l'uomo non sarebbe la stessa cosa (si immagina se qualcuno chiamasse un uomo adulto celibe "signorino"?).

E sempre per rimanere sul tono "leggero", questa cosa di come rivolgersi alle persone di cui non si conoscono i titoli accademici non è sempre facile.

Anche io, come Lei, sono indifferente a che mi si chiami "dottore" o "signore". Nei provvedimenti dell'ufficio metto solo "il giudice Felice Lima" e non, come fa la maggior parte dei miei colleghi, "il giudice dottor Mario Rossi".

Ma, quando mi rivolgo agli altri, sto in un certo imbarazzo.

Infatti, se chiami "signore" un dottore o "signora" una dottoressa, rischi di dispiacerlo/la.

Ma d'altra parte, se chiami "dottore" o "dottoressa" chi non lo è, rischi di metterlo in imbarazzo, come se presumessi che tutti debbano essere laureati e che non esserlo sia una deminutio, cosa che io non credo affatto.

E, dunque, inevitabilmente faccio gaffes di vario genere.

Comunque, mi scuso ancora per il malinteso su "madama" e La ringrazio per il dialogo franco che mi offre.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Ancora una volta grazie a questo blog.
Quando la decisione della Dr.ssa Forleo venne divulgata dai media rimasi sconcertata, come cittadina qualunque, preoccupata dal fenomeno,inusuale per noi in quest'epoca, dell'infiltrazione di un "terrorismo" straniero.
Il Dr.Lima chiarisce, che il Giudice è chiamato a risolvere un problema tecnico-giuridico.
E' la Politica tenuta a fornire i mezzi di difesa con legislazione "Attuale" su questi fenomeni.
E invece ha lasciato che la decisione "limitata" al caso facesse ricadere la responsabilità della carenza legislativa sulla responsabilità della decisione del giudice peraltro soggetta a condivisione o no di altri organi.
Da questo, la mia modesta impressione è che la Politica tenti di strumentalizzare la Magistratura per coprire sue responsabilità.
Un esempio che mi viene in mente è il "caso" Forleo:
Dopo l'ultima audizione, fu annunciata una decisione "entro il giovedì successivo".
Ora credo che anche la Dr:ssa Forleo dovrà attendere la fine della campagna elettorale in quanto una qualsiasi decisione scatenerebbe un dibattito "scomodo" per la Politica.
Alessandra