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martedì 23 febbraio 2021

Il tempo di disunire?



di Eduardo Savarese - Magistrato 

Un tema su cui sto riflettendo da settimane è l’unità associativa. L’unità è invocata come un valore di per sé, e mi pare riferibile a due dimensioni: da un lato, l’ente rappresentativo della magistratura deve essere uno e uno soltanto (l’ANM); la voce che questo ente rappresenta, dall’altro, è auspicabile che sia a sua volta internamente unitaria. L’unità assurge a valore nella misura in cui è con essa che la magistratura italiana – si argomenta - può veramente tutelare se stessa e i principi costituzionali che ne disegnano l’architettura. 

La mia percezione attuale dell’unità è molto diversa. Non mi sembra più un valore, tanto meno un valore assoluto. Mi risuona più come un dogma, come una verità indiscutibile a priori. Oggi come non mai, invece, credo che abbiamo bisogno di mettere in discussione molte verità che ci sono sembrate indiscutibili sino a ieri. 


L’idea dell’unità mi pare discutibile sotto entrambi gli aspetti, e cioè rispetto all’ente e rispetto alla sua articolazione interna. E lo spartiacque rispetto a questo valore tramutatosi in dogma dell’unità associativa è fornito, a mio avviso, proprio dal libro scritto da Sallusti e Palamara, il quale, piaccia o non piaccia, tecnicamente è un documento storico, cioè esso stesso è un fatto, e la “fattità”, come insegna Sartre, cioè ciò che viene ad esistenza, non è più cancellabile, quali che ne siano l’origine, il contenuto e lo scopo. E’ precisamente nella reazione alla realtà storica che fuoriesce da questo libro che, ai miei occhi, si misura la disunità della magistratura, e delle sue attuali forme di rappresentanza. Mi sembrano registrabili in effetti diverse reazioni all’uscita del libro. Superfluo dire che sono tutte accettabili e rispettabili…tot capita tot sententiae!

Reazione UNO. Il libro è un insieme di fandonie irricevibili, una roba mostruosa, vuole minare l’immagine della magistratura, non glielo consentiremo, e non glielo consentiremo proprio non dandogli alcuno spazio, alcun rilievo, alcuna dignità. Rispetto al libro, quindi, rigettate le accuse al mittente e trattandolo tamquam non esset, occorre soltanto impegnarci – sotto l’egida dell’unità associativa – a intraprendere un esame accurato delle chat e un virtuoso percorso di autoriforma.

Reazione DUE. Questo libro ci racconta quel che tutti già sapevamo, e lo fa però in malafede: più o meno tutti coloro che ambiscono a rappresentare la magistratura oggi sono in malafede, quindi continuiamo a lavorare in silenzio e con dignità, aspettando che la buriana passi, rassegnati a uno strutturale, endemico, insuperabile deficit di rappresentanza.

Reazione TRE. Sarà pure in malafede, ma questo libro è un documento da cui non possiamo non partire. Esso ci consegna un sistema profondamente malato, affetto da degenerazione correntizia sostanzialmente irrecuperabile. Vi sono responsabilità gravissime di taluni, che siedono oggi in ruoli apicali, e ai quali dovrebbe essere richiesto – decorso già un mese senza circostanziate smentite – di dimettersi dai rispettivi ruoli, e ciò indipendentemente dagli eventuali e successivi accertamenti ora disciplinari, ora penali. 

Di fronte a reazioni così profondamente diverse, viene da chiedermi: oggi possiamo parlare di unità associativa? Più in particolare: è storicamente corretto insistere sul dover essere di una sola associazione dei magistrati italiani? E ancora: dentro l’attuale – unica – associazione, la giunta unitaria, con esclusione degli eletti nella lista Art. 101, è davvero unitaria? In che senso lo è? Perché lo è?
Ecco, penso che, prima dei percorsi di riforme, dovremmo chiederci se oggi, nel farsi storicamente dato della magistratura italiana e della sua rappresentanza, l’unità non si sia trasformata nel baluardo della conservazione. E non intendo annettere nessun significato negativo a questo termine. Forse è meglio per noi che l’ANM resti una, che sia guidata da giunte (quasi) unitarie, che le correnti restino saldamente in sella. Però forse no. 

Cioè, noi oggi dobbiamo darci la possibilità di pensare in un modo diverso il nostro modo di essere magistrati insieme, e immaginare cosa sarebbe una magistratura con diversi enti rappresentativi, e così pure come potrebbe essere una ANM che cessi la recita del dogma dell’unità (con i 101 all’opposizione!). E possiamo inoltre immaginare che, per una parte della magistratura, le correnti non vanno più bene, e devono soltanto sciogliersi prendendo atto di un fallimento storico, secondo linee di decadimento dei fenomeni, dopo l’ascesa e il fulgore, piuttosto fisiologiche in tutti i meccanismi organizzativi del genere umano, in ogni tempo e in ogni spazio. 

Naturalmente, uscendo fuori dall’ANM una mia idea me la sono fatta. 

Però questa e-mail vuole essere soprattutto un insieme di domande sul metodo: forse dobbiamo smetterla di invocare l’unità, perché essa non esiste più, e fare onestamente i conti con questa inesistenza, trarne le conseguenze, e operare ciascuno le proprie scelte. Non perché ci siano i buoni e i cattivi. Ma perché ci sono idee diverse, profondamente diverse. Direi: fuori e dentro l’ANM. E forse perché oggi come non mai è il momento in cui l’individuo, il singolo magistrato, torni a riappropriarsi di un peso che le strutture associative hanno troppo a lungo mortificato. 

E’ anche per questo che mi associo alla lettera sottoscritta da alcuni magistrati italiani, aderendovi integralmente, e diretta al Presidente della Repubblica che, oltre a invocare un percorso immediato di riforme, chiede di fare specificamente i conti con l’emersione claris verbis davanti all’intera società civile, rilevante per la storia prima che per il diritto o per le vicende della nostra categoria, di un “sistema” preciso nei suoi meccanismi di funzionamento e attuazione.

Nella mia lettera di dimissioni dall’ANM, ricordavo un mezzo di “giustizia riparativa” molto interessante: quello delle “commissioni di verità e conciliazione” istituite nel Sud Africa post-apartheid. 

Il percorso di introduzione di 10, 100, 1000 nuove regole, dalla Costituzione alle norme di legge sull’ordinamento giudiziario, non può prescindere da un’indagine fondamentale in termini di verità, prima, e riparazione, poi: e noi oggi abbiamo un documento preciso davanti a noi, un libro (oltre alle migliaia di pagine di chat), che sarà sicuramente inaffidabile, meschino, parziale e perfidamente utilizzato come cavallo di Troia. Ma un libro, con fatti circostanziati. E io vorrei sapere se tra uno, due, tre, cinque anni, rischierò la sorte di Clementina Forleo come se nulla avessimo potuto, tragicamente, comprendere e apprendere dal passato.

 A meno che quanto è stato detto su Clementina Forleo sia falso: resto in attesa, dal 25 gennaio, di risposte alternative a quella ricostruzione. Poiché – da Tucidide in avanti è così – tutti i documenti storici sono, in fin dei conti, di parte. Ma non per questo ci si può consentire il lusso di non prenderli in debita, prudente, critica considerazione. 

2 commenti:

  1. "...a questo maestà, non ci siamo riusciti neanche noi in venti secoli". Così il cardinale segretario di stato del Papa a Napoleone, che aveva minacciato di distruggere la Chiesa. L'ANM in venti anni, invece, è riuscita ad assoggettare la magistratura ai tanti reucci con la morale e l'etica più che di Napoleone, di Ivan il Terribile. Non finirò mai di ringraziare questo blog, e per questo, non oso rivolgermi al Presidente Matterella, ma a Palamara si. Lo prego di dire tutto quanto oltre il libro, perché sono certo che non soltanto lui, ma tanti altri magistrati sanno cose indicibili sulla politica e la magistratura.

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  2. Quanto ha denunciato Clementina Forleo è oro colato, le in-giustizie nei suoi confronti, e purtroppo anche di ( altre/altri) sono di tale gravità che sprofondano nella "tortura". Oggi non è possibile dire se fra cinque anni sarà possibile rischiare la stessa sorte. E' sicuro che: se questo Blog sarà vivo e vegeto, NESSUNO rischierà tanto, nessuno sarà solo e totalmente abbandonato a se stesso. Quale componente della società civile(Comunità-Stato) la ringrazio per la sottoscrizione e per le dimissioni dall'anm.

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