di Stefano Racheli
(Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma)
A chiedersi se ci sia qualcosa di meglio della democrazia, la risposta è nota: la democrazia è il minore tra i mali; non è tutta d’oro, ma non si è trovato nulla di meglio; è il frutto imperfetto dell’imperfettissima natura umana, e via dicendo.
Una risposta che - diciamolo – pesta acqua nel mortaio e non fa fare un passo avanti.
Propongo quindi un quesito diverso: c’è qualcosa che ha inceppato, nel suo cammino, il procedere della democrazia? A mio avviso, sì qualcosa c’è, è sotto gli occhi di tutti ed è rimediabile.
E’ infatti accaduto che - nata la democrazia come forma antagonista del potere assoluto e autoritario – le istanze e preoccupazioni “democratiche” abbiano avuto ad oggetto soprattutto la risposta a due quesiti di fondo: chi debba detenere il potere e in quali forme esso possa acquistarsi e debba esercitarsi.
Rimanevano - come dire? – defilati due interrogativi di pari (di maggiore?) importanza: può la democrazia sopravvivere all’assenza di una cultura diffusa che le sia omogenea? Ma - soprattutto e paradossalmente – corrisponde a verità il fatto che la democrazia sia a rischio a causa del sistema da lei stessa “inventato” per la conquista del potere?
Detto in altri termini, la “caccia al voto”, le manipolazioni della pubblica opinione, le menzogne sistematicamente poste a fondamento della “ragion di Stato” (di questo o quello schieramento), la sovranità dei sondaggi, quali strumenti per la conquista “democratica” del potere, non sono la tomba della democrazia?
C’è insomma il fondato sospetto che la conquista del consenso - strada obbligata in democrazia per la conquista del potere – finisca per ottundere (e talora per uccidere) proprio quella democrazia che si vuol supportare.
Certo, nel mondo della luna possono ipotizzarsi schieramenti che non mentano, che non manipolino, che chiamino le cose col nome e col cognome, e via discorrendo. Nel mondo della luna, appunto, ma qui tra noi le cose vanno diversamente: posto il fine, è inevitabile che molti scelgano i mezzi in base solo alla loro efficacia e senza andare troppo per il sottile.
Non c’è dunque via di uscita?
Penso che un rimedio serio sia quello in cui il rafforzamento della democrazia, la credibilità delle promesse e delle persone non si fondi tanto (o almeno non solo) sul corretto esercizio del potere, ma su un’attività politica che rinunzi alla conquista del potere, così affrancandosi dai mille, obbligatori adempimenti cui deve bruciare incenso colui che il potere deve conquistare.
E’ infatti evidente che non possa abolirsi né l’esercizio del potere (e dunque la sua conquista), necessario in ogni tipo di società, né la ricerca del consenso.
Può però evitarsi che tutta la politica si riduca a conquista ed esercizio del potere.
Tanto più sarà ragionevole sperare nel corretto esercizio del potere quanto più ci sia una forte azione politica (non dunque un’azione meramente culturale o moralizzante) che bilanci le tendenze “devianti” di chi cerca la conquista del potere.
L’astensione che auspichiamo - oltre che essere un forte grido di protesta – intende essere proprio questo: un’attività squisitamente politica diretta a rimuovere quelle ideologie (nel senso proprio di maschere indossate dal potere reale) che, utilizzate dal Potere, finiscono per dar vita alle derive di regime.
Siffatte attività politiche (l’astensionismo è solo una delle tante attività ipotizzabili), rappresentando una forma atipica di opposizione (quella tipica è rappresentata da chi esercita il potere nei modi proprio delle minoranze), mutua dell’opposizione il ruolo, la dignità, la fondamentalità.
L’opposizione-senza-potere risulta per il Potere assai più molesta degli avversari che si pongono come pretendenti al Potere. Non a caso siamo stati indicati, con malcelato e esplicito disprezzo (a mio avviso del tutto cieco), come “astensionisti”, “blogghisti” e quant’altro: la nostra natura infatti ci rende disomogenei rispetto alle logiche che regolano i rapporti tra coloro che aspirano al potere.
Noi, a rigore, non siamo neppure un avversario, visto che non concorriamo per conquistare potere: siamo, a ben vedere un ideale e un’idea con cui è necessario confrontarsi (come è noto gli ideali e le idee sono ostacoli ben più ostici di qualunque propaganda o slogan).
Auspichiamo dunque che in tanti possano sentire il richiamo – nobile e politico a tutto tondo – verso un ruolo fondamentale: l’opposizione senza potere.
(Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma)
A chiedersi se ci sia qualcosa di meglio della democrazia, la risposta è nota: la democrazia è il minore tra i mali; non è tutta d’oro, ma non si è trovato nulla di meglio; è il frutto imperfetto dell’imperfettissima natura umana, e via dicendo.
Una risposta che - diciamolo – pesta acqua nel mortaio e non fa fare un passo avanti.
Propongo quindi un quesito diverso: c’è qualcosa che ha inceppato, nel suo cammino, il procedere della democrazia? A mio avviso, sì qualcosa c’è, è sotto gli occhi di tutti ed è rimediabile.
E’ infatti accaduto che - nata la democrazia come forma antagonista del potere assoluto e autoritario – le istanze e preoccupazioni “democratiche” abbiano avuto ad oggetto soprattutto la risposta a due quesiti di fondo: chi debba detenere il potere e in quali forme esso possa acquistarsi e debba esercitarsi.
Rimanevano - come dire? – defilati due interrogativi di pari (di maggiore?) importanza: può la democrazia sopravvivere all’assenza di una cultura diffusa che le sia omogenea? Ma - soprattutto e paradossalmente – corrisponde a verità il fatto che la democrazia sia a rischio a causa del sistema da lei stessa “inventato” per la conquista del potere?
Detto in altri termini, la “caccia al voto”, le manipolazioni della pubblica opinione, le menzogne sistematicamente poste a fondamento della “ragion di Stato” (di questo o quello schieramento), la sovranità dei sondaggi, quali strumenti per la conquista “democratica” del potere, non sono la tomba della democrazia?
C’è insomma il fondato sospetto che la conquista del consenso - strada obbligata in democrazia per la conquista del potere – finisca per ottundere (e talora per uccidere) proprio quella democrazia che si vuol supportare.
Certo, nel mondo della luna possono ipotizzarsi schieramenti che non mentano, che non manipolino, che chiamino le cose col nome e col cognome, e via discorrendo. Nel mondo della luna, appunto, ma qui tra noi le cose vanno diversamente: posto il fine, è inevitabile che molti scelgano i mezzi in base solo alla loro efficacia e senza andare troppo per il sottile.
Non c’è dunque via di uscita?
Penso che un rimedio serio sia quello in cui il rafforzamento della democrazia, la credibilità delle promesse e delle persone non si fondi tanto (o almeno non solo) sul corretto esercizio del potere, ma su un’attività politica che rinunzi alla conquista del potere, così affrancandosi dai mille, obbligatori adempimenti cui deve bruciare incenso colui che il potere deve conquistare.
E’ infatti evidente che non possa abolirsi né l’esercizio del potere (e dunque la sua conquista), necessario in ogni tipo di società, né la ricerca del consenso.
Può però evitarsi che tutta la politica si riduca a conquista ed esercizio del potere.
Tanto più sarà ragionevole sperare nel corretto esercizio del potere quanto più ci sia una forte azione politica (non dunque un’azione meramente culturale o moralizzante) che bilanci le tendenze “devianti” di chi cerca la conquista del potere.
L’astensione che auspichiamo - oltre che essere un forte grido di protesta – intende essere proprio questo: un’attività squisitamente politica diretta a rimuovere quelle ideologie (nel senso proprio di maschere indossate dal potere reale) che, utilizzate dal Potere, finiscono per dar vita alle derive di regime.
Siffatte attività politiche (l’astensionismo è solo una delle tante attività ipotizzabili), rappresentando una forma atipica di opposizione (quella tipica è rappresentata da chi esercita il potere nei modi proprio delle minoranze), mutua dell’opposizione il ruolo, la dignità, la fondamentalità.
L’opposizione-senza-potere risulta per il Potere assai più molesta degli avversari che si pongono come pretendenti al Potere. Non a caso siamo stati indicati, con malcelato e esplicito disprezzo (a mio avviso del tutto cieco), come “astensionisti”, “blogghisti” e quant’altro: la nostra natura infatti ci rende disomogenei rispetto alle logiche che regolano i rapporti tra coloro che aspirano al potere.
Noi, a rigore, non siamo neppure un avversario, visto che non concorriamo per conquistare potere: siamo, a ben vedere un ideale e un’idea con cui è necessario confrontarsi (come è noto gli ideali e le idee sono ostacoli ben più ostici di qualunque propaganda o slogan).
Auspichiamo dunque che in tanti possano sentire il richiamo – nobile e politico a tutto tondo – verso un ruolo fondamentale: l’opposizione senza potere.