di Anna Maria Torchia - Magistrato
L'indipendenza della magistratura
è un valore posto a garanzia non dei magistrati ma dei cittadini. Senza l’interessamento
e il coinvolgimento di costoro la magistratura non potrà uscire dalla
gravissima crisi in cui si trova.
Questo ci ricorda la lettera che
una collega ha voluto indirizzare idealmente al popolo italiano e che
pubblichiamo oggi.
La redazione
-----------------------------------------------------------------------
Caro popolo italiano, ti scrivo…
Mi permetto di darti del “tu” non per sminuirti, ma
confidenzialmente, sia perché faccio parte “di te”, sia perché “con te”
trascorro molto tempo: da magistrato in ogni sentenza scrivo il tuo nome.
Noi giudici pronunciamo le sentenze “in nome del popolo
italiano”, si trova questa scritta in ogni sentenza, subito sotto il simbolo
della Repubblica.
Non si tratta di un’espressione vuota e retorica. La
magistratura, non solo in Italia e non solo in questo periodo storico, esiste
per un’unica e sola ragione: soddisfare un’esigenza del popolo, l’esigenza di
giustizia, che è connaturata a qualsiasi organizzazione umana e, dunque, alla
società.
So che da un anno a questa parte, leggendo di
intercettazioni in alberghi romani alla presenza di membri del Consiglio
superiore della magistratura e di esponenti politici mentre discorrono di
nomine “politiche”, leggendo di appartenenza alle correnti abusata e usata per
fini diversi da quello per cui sono nate, ti senti tradito e smarrito, tradito
proprio da quel potere dello Stato che vedi come soggetto cui ricorrere nel
momento dell’ingiustizia e che ora invece ti appare impelagato in un sistema
anomalo, almeno nel momento delle nomine dei “capi”.
Caro popolo italiano, mi sento di assicurarti che la
stragrande maggioranza dei tuoi magistrati lavora in scienza e coscienza, al
chiuso del suo studio, e ha sempre presente che dietro ogni fascicolo c’è la
vita di qualcuno e che quel fascicolo per quel qualcuno è il fascicolo più
importante di tutti quelli presenti negli uffici giudiziari del Paese.
Vorrei dirti però pure che i privilegi e le tutele della
magistratura di cui senti parlare, tutti collegati all’autonomia e
all’indipendenza, non sono concetti campati in aria, non interpretarli come
privilegi di una casta che sta abusando del suo ruolo, perché non sono nati e
non esistono e non hanno ragion d’essere se non per te. Così come la
magistratura stessa.
La giustizia deve essere amministrata nel nome del popolo, i
giudici devono essere soggetti soltanto alla legge e devono essere autonomi e
indipendenti da qualsiasi altro potere.
Tutto ruota intorno a te, parte da te e ritorna a te: tu
eleggi il Parlamento, il quale esercita il potere legislativo e dunque fa le
leggi, i giudici devono essere soggetti soltanto a queste leggi mentre
amministrano la giustizia, la quale deve essere amministrata in tuo nome, da
magistrati indipendenti.
In tutto ciò non c’è spazio per carrierismo, non c’è spazio
per personalismo, non c’è spazio per protagonismo. Noi siamo a tuo servizio e
per garantire al meglio questo servizio dobbiamo essere e apparire autonomi e
indipendenti. L’autonomia e l’indipendenza non sono privilegi concepiti per
noi, per meriti nostri, per tornaconto nostro, per darci visibilità, si tratta
di privilegi pensati per te, caro popolo italiano.
La politica in senso proprio e in senso lato non deve
sconfinare nel perimetro del potere giudiziario, ed è nostro dovere impedire
ciò.
Qualcuno disse che, quando la politica entra per la porta
della magistratura, la giustizia esce dalla finestra. Il problema è quello
della separazione dei poteri, che si può sintetizzare così: “ognuno si occupi
di garantire al meglio al popolo il servizio che gli compete, senza
intromettersi in quello che compete ad altri, altrimenti la libertà del popolo
è in pericolo, perché i poteri che dovrebbero vicendevolmente controllarsi e
limitarsi finiscono sconfinando per accordarsi e creare commistioni, e negli
accordi tra poteri, per il sol fatto che non sono rimasti separati, c’è un solo
sconfitto: il popolo in nome del quale invece dovrebbero tutti agire”.
E’ innegabile, quindi, che siamo di fronte a fatti assai
pericolosi se la nomina di un presidente di tribunale o di sezione, di un
procuratore della Repubblica o di un procuratore aggiunto viene “decisa” in un
posto diverso dal C.S.M., alla presenza di soggetti estranei e pure politici
con interessi personali a quella nomina o, in ogni caso, se certe nomine
vengono decise in base all’appartenenza a questa o a quella corrente, anche
quando la scelta ricada comunque su persone meritevolissime.
A fronte di una situazione grave, vengono proposte delle
modifiche normative che, pure agli occhi di un profano, non possono che
rivelarsi meramente apparenti o comunque poco efficaci e ciò è sconfortante,
perché si rischia di non scongiurare davvero queste derive e queste commistioni
tra poteri.
Di tutto ciò non devi disinteressarti, caro popolo italiano,
perché tu hai il diritto di avere un giudice terzo, imparziale, indipendente e
anche un giudice che così appaia. Non basta che il tuo magistrato lavori senza
condizionamenti e onorando il suo ufficio, ma deve anche comportarsi in maniera
tale che neppure ti possa sorgere il dubbio che una sua decisione sia frutto di
una commistione tra poteri, di un’appartenenza, di un’idea politica, di un
intimo pensare.
Qui non c’è in gioco una lotta interna per le poltrone, come
potrebbe sembrare, quasi come fosse la corsa ai ministeri cui periodicamente
assistiamo, qui c’è in gioco la democrazia, i principi di diritto su cui si
fonda la nostra Repubblica. Qui c’è in gioco la tua libertà, il tuo complesso
di diritti, perché i tuoi diritti sono indeboliti se per la loro tutela non
puoi rivolgerti a una magistratura che sia, ma anche appaia, autonoma e
indipendente.
Il presidente del tribunale o il procuratore della
Repubblica non è come un ministro, perché se è logico che un partito ambisca a
quel ministero per portare avanti una certa politica in quel settore, non vale
lo stesso per noi: noi dobbiamo amministrare la giustizia nel tuo nome,
soggetti soltanto alla legge, non abbiamo - perché non dobbiamo avere - una
visione politico-programmatica come invece legittimamente ha un ministro,
appartenente a un altro potere, quello esecutivo.
Noi magistrati siamo chiamati a svolgere una funzione assai
delicata, che non ci consente di comportarci come “gli altri”, non perché siamo
esseri superiori, ma perché al contrario siamo a servizio, a servizio del
popolo e in questo servizio dobbiamo impegnarci per difendere l’indipendenza
della magistratura.
Lo dobbiamo a te, caro popolo italiano, in quanto per te
solo esistiamo, non per la nostra vanità. Se vogliamo fare politica - e dunque
esercitare un potere di natura diversa da quello giudiziario, l’unico che siamo
legittimati a esercitare - possiamo farla, non ci è precluso, soltanto credo
che dovremmo prima “spogliarci” della toga.
La toga non è per politici: è nera e uguale per tutti per
spersonalizzare il magistrato, magistrato che come ogni uomo ha la sua testa,
il suo cuore, le sue idee politiche e sociali, i suoi gusti, ma che quando
esercita la giurisdizione è “solo e semplicemente” un magistrato dalla toga
nera e pettorina bianca, che applica la legge in nome del popolo italiano.
Caro popolo italiano, sii consapevole della centralità del
tuo ruolo anche nel sistema giudiziario e senti come tue, perché tue sono,
quelle garanzie che la Costituzione ha previsto per noi, quindi non guardarci
come un gruppo di privilegiati che ha brama di potere e non sentire lontane da
te vicende che non devono assolutamente ripetersi.
Ciò non solo per onorare il lavoro serio che svolge la quasi
totalità dei tuoi magistrati, “capi” inclusi, ma soprattutto per te, in nome
del quale ogni giorno pronunciamo sentenze e a favore del quale soltanto i
nostri privilegi sono previsti.
Quel qualcuno era Piero Calamandrei. Nell'ottobre del 1943 mio zio materno si trovava a Napoli per motivi di guerra, poiché aveva superato gli scritti del concorso per magistratura superiore a soli 23 anni(a quel tempo i concorsi erano due: uno per pretore e l'altro, molto più difficile, per giudice di tribunale) un generale alleato gli disse: nelle aule dei vostri tribunali c'è scritto che la legge è uguale per tutti: Se avete bisogno di scriverlo, ciò significa che da voi la legge non è affatto uguale per tutti. Da tempo Felice Lima si spella la lingua dicendo che senza l'aiuto del Popolo, i problemi della giustizia difficilmente si possono risolvere. Ma il popolo è assente, e chi se ne approfitta lo sa bene.
RispondiEliminaCara dottoressa.
RispondiEliminaIl singolo cittadino è come la goccia del mare, singolarmente sono nulli; agglomerati tra le altre gocce, le une, e organizzati in forma unitaria, gli altri, acquisiscono potenza che va oltre ogni rispettabile Autorità. Lei, dall'alto della Sua, rivolgendosi al popolo appare un umile cittadino. I suoi colleghi, invece, organizzati in correnti sono dei piccoli mari. Così, anche altri cittadini, aggregati tra loro secondo l'organizzazione dello stato sono altrettanti piccoli mari. Ora dai mari le gocce, trasformate, si staccano consentendo il perpetuarsi del ciclo vitale; o mortale nei fenomeni estremi. Non succede lo stesso con i cittadini? Fin quando contribuiscono all'organizzazione che si sono dati esercitano le funzioni del ciclo vitale dell'umanità, quando debordano creano catastrofi. Ora, per quanto io sia un cittadino debordato, da solo, rimango pur sempre una nullità. Ed in quanto non fatta di idrogeno e ossigeno, sono da recuperare. Spero leggano anche queste lettere i tanti palamara, e ancora più, i tanti che invocano i roghi.
Cara Dottoressa ho letto il Suo scritto e debbo dirle che non nutro alcun dubbio sulla legittimità delle Sue riflessioni e sulla Sua trasparenza e onestà intellettuale.
RispondiElimina