di Stefano Sernia - Magistrato
Nella formulazione vigente prima dell’emanazione
del decreto legge numero 76 del 2020, l’articolo 323 del Codice Penale fungeva
da valida difesa dei cittadini di fronte agli abusi di chi fosse investito di
pubblici poteri, atteso che puniva con la pena della reclusione da uno a quattro
anni il pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio) che avesse
intenzionalmente procurato a sé od altri un vantaggio patrimoniale ingiusto, o
a terzi un danno (anche non patrimoniale) ingiusto, adottando volontariamente un provvedimento
illegittimo perché in violazione di legge o di regolamento.
Occorre tenere presente che si
intendeva, secondo la corrente interpretazione, integrata la violazione di
legge o di regolamento anche quando ad essere violate fossero disposizioni di
enti od organi pubblici non statuali,
purché a tali disposizioni facessero rinvio previsioni di legge o di
regolamento.
Il caso classico sono le regole proprie di un bando di concorso,
non stabilite dalla legge, allorché questa rinvia all’atto della stazione
appaltante o della commissione aggiudicatrice, sicché tale atto è adottato in
attuazione di una disposizione di legge.
Poiché la legge stabilisce
l’illegittimità degli atti viziati da eccesso di potere (vizio tipico degli
atti discrezionali) , quali sono ad es. quelli adottati per il perseguimento di
un fine illegittimo perché diverso da quello per la cui realizzazione il potere
è attribuito al pubblico ufficiale (d’ora in poi, p.u.), il giudice penale
poteva verificare anche se il p.u. avesse adottato un atto apparentemente
legittimo ma per fini illeciti (si pensi al bando di gara pubblica
preconfezionato con la richiesta di requisiti di partecipazione pensati per
escludere una determinata impresa e favorirne un’altra).
La norma era quindi piuttosto
chiara ed idonea a punire solo le condotte effettivamente offensive dei diritti della collettività e
dei cittadini: non era invero sufficiente che il pubblico ufficiale, nel
seguire il procedimento dettato per l’adozione di un atto del suo ufficio, si
limitasse a violare una norma procedimentale, ma era necessario che ciò facesse
volontariamente, ed al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto
patrimoniale, o di arrecare ad altri un danno ingiusto.
L’art. 23 deI DL 76/2020 ha, invece, di fatto
abrogato L’art. 323 cp, in quanto punisce gli atti con cui il p.u. intenzionalmente
arreca un danno ingiusto a terzi, o un vantaggio patrimoniale ingiusto, solo
allorché:
A) il pubblico ufficiale abbia agito in violazione di una
precisa regola di condotta specificamente prevista dalla legge (laddove invece,
come accennato, e come già altri commentatori hanno rilevato, non è in genere
la legge, ma un atto normativo o amministrativo di rango
inferiore, a dettare quelle regole procedimentali che servono ad assicurare la
rispondenza del contenuto dell’atto finale al perseguimento dell’interesse
pubblico) ;
B) l’atto adottato sia un atto dovuto e vincolato quanto a
contenuto, con esclusione pertanto degli atti discrezionali, quand’anche si
tratti di una mera discrezionalità tecnica (quale ad esempio, in una procedura di gara pubblica d’appalto,
la individuazione dell’offerta economicamente migliore o del progetto
tecnicamente più valido.
Quali le ragioni dichiarate di tale modifica normativa?
Nella parte introduttiva del DL
in oggetto, si legge (dopo i vari “visto l’art.” ecc.) “Ritenuta altresi'
la straordinaria necessita' e
urgenza di introdurre misure di semplificazione procedimentale e di sostegno e diffusione dell'amministrazione
digitale, nonche' interventi di semplificazione in materia di
responsabilita' del personale delle amministrazioni, nonche' di
adottare misure di semplificazione in materia di attivita' imprenditoriale, di
ambiente e di green economy, al
fine di fronteggiare
le ricadute economiche
conseguenti all'emergenza epidemiologica da Covid-19”, sembra si sia
voluto far intendere che, nell’attuale versione, l’art. 323 cp si ponesse
d’ostacolo alla rapidità (necessaria nella fase di emergenza economico-sociale
conseguente all’epidemia da CVID-19) dei procedimenti decisionali delle
pubbliche amministrazioni, ingenerando quella che è stata pure definita “la
paura di firmare”.
Ci si sarebbe pertanto aspettato
che - come previsto per le altre disposizioni del DL 76/2020 la cui efficacia
derogatoria alla disciplina di controlli e ricorsi è espressamente stabilita
con termine al 31.07.2020 - la modifica
dell’art. 323 cp fosse stata a vigenza temporalmente delimitata (venendo così
sottratta, ai sensi dell’art. 2 co. 5 c.p., al principio della retroattività
della legge penale più favorevole).
Invece, proprio e (pressocchè) solo l’art. 23 del DL n. 76/2020
(che come detto modifica l’art. 323 cp), non ha, tra le disposizioni del
suddetto DL, vigenza temporalmente limitata; sicchè, esso troverebbe
applicazione - giusta quanto previsto
dall’art. 2 co. 4 c.p. - anche per i reati già commessi sotto il vigore della
precedente formulazione dell’art. 323 c.p.; una grandissima quantità di fatti
fino ad ieri illeciti, perché frutto di favoritismi o prepotenze, lesivi di
diritti del cittadino o della collettività, diverranno tutto ad un tratto
leciti e non punibili.
Ce n’era effettivamente bisogno?
O non sarebbe stato sufficiente, a tutela dei pubblici ufficiali timorosi di
essere perseguiti per meri errori procedimentali, prevedere, ad es., la difesa
a spese dello Stato (e salvo rivalsa in caso di condanna) di ogni pubblico
amministratore inquisito per il reato di cui all’art. 323 cp?
O si tratta di un “regalo” fatto
a qualcuno? E perché? Per ragioni di solidarietà? Per un interesse comune che
lega Governo e responsabili di abusi già commessi? O per porre una maggioranza
politica in posizioni di “credito” nei confronti di qualcuno?
A far pensar male dell'art. 23
del DL 76/2020 è poi anche la circostanza che detta norma non abbia creato
alcun sussulto nella "stampa progressista", in genere pronta ad
insorgere contro il malcostume politico e la presentazione di disegni di legge
che lo favoriscano o ne garantiscano l’impunità , e peraltro stranamente
unanime nel mettere la sordina al contenuto delle chat del magistrato dott.
Luca PALAMARA con i vari “correntocrati”, compresi quelli di Area (la corrente
c.d. progressista), e da cui bene emergeva come anche tale corrente
partecipasse al biasimevole (ed illegittimo) sistema lottizzattorio di ogni
incarico di rilievo all’interno della magistratura.
Intanto può osservarsi che
un effetto macroscopico del suddetto art. 23 del D.L. n. 76/2020 è proprio quello di passare un
fenomenale colpo di spugna su quanto emerso dalla “chat” del magistrato Luca
Palamara e sul fenomeno delle degenerazioni clientelari caratterizzanti
l’influenza delle correnti dell’ANM sul Consiglio Superiore della Magistratura.
E’ infatti appena il caso di
osservare che tutte le nomine compiute dal CSM in maniera illegittima perché
conseguenti ad accordi clientelari o spartitori tra le correnti, diverrebbero
penalmente non perseguibili, atteso che la materia è specificamente regolata da
circolari del CSM (e non già dalla legge, che detta solo disposizioni di
cornice) ed è espressione di un potere a contenuto discrezionale, perché
valutativo e comparativo.
Allo stesso modo diverrebbero
penalmente non perseguibili tutte le pratiche di lottizzazione di incarichi
nella Pubblica Amministrazione, o anche le numerose aggiudicazioni di appalti
in favore di imprese corruttrici, o vicine a partiti politici (e magari
occultamente di loro proprietà), quand’anche si trattasse di imprese mafiose.
A chi sostiene – come accade -
l’inutilità del reato previsto dall’art. 323 cp, attesa la sua natura residuale, è bene
infatti ricordare che è molto più facile provare (e punire) un abuso in atti di
ufficio – in cui bastava dimostrare la condotta contraria a legge o
regolamento, e la sua strumentalizzazione al conseguimento per sé o per altri
di un ingiusto profitto patrimoniale, o alla causazione di un ingiusto danno a
terzi – piuttosto che il reato di corruzione di cui all’art. 319 c.p. (in cui
occorre provare anche che l’abuso sia il
frutto di un accordo tra corrotto e corruttore, avente ad oggetto quantomeno la
promessa di una remunerazione per l’abuso) o una induzione indebita di cui
all’art. 319 quater c.p., in cui nessuna delle due parti dell’accordo ha
chiaramente interesse a farlo emergere.
Ogni cittadino che avesse
un’istanza da presentare ad una Pubblica Amministrazione dotata del potere di
respingerla in base a valutazioni anche di mera discrezionalità tecnica (ad es:
l’istanza non è accoglibile perché l’opera di cui si chiede l’autorizzazione
non rispetta le specifiche di legge), o amministrativa (ad es. l’istanza non è
accoglibile perché quanto richiesto contrasta col pubblico interesse), si
troverebbe quindi sprovvisto della tutela offerta dalla sanzione penale contro
l’arbitrio del pubblico ufficiale, che rimarrebbe non punibile anche qualora
negasse a Tizio ciò che invece consente a Caio, magari perché suo amico, o
amico di amici, o vicino a qualche
“potente”.
Rimarrebbero perseguibili solo,
come detto, quegli atti – purchè non discrezionali - compiuti in violazione di
specifiche norme di legge: in pratica, quasi nulla.
Intanto, il procedimento a carico
di Palamara è stato rinviato al 15.09.2020, cioè ad una data immediatamente
successiva alla scadenza del termine per convertire in legge il DL n. 76/2020.
Nel frattempo, convinciamoci e
cerchiamo di convincere che la norma va assolutamente cambiata, a tutela dei
cittadini onesti e del loro diritto ad una Pubblica Amministrazione altrettanto
onesta.
Questo Blog conosciuto nel primo decennio del secolo ha contribuito, unitamente ad alcuni amici avvocati, e a un Professore di diritto penale che ha accettato di difendermi senza conoscermi e senza onorario, a farmi sopravvivere gli ultimi anni prima di varcare i cancelli di ben tre diversi penitenziari quanto sono stai gli anni di condanna per mafia, tre (3)! dopo decenni di kafkiano processo nelle more del quale ne ho viste di ogni colore. Per cui, aldilà dell'articolo 323 del c.p. che è stato abrogato in via d'urgenza con apposito decreto legge in quanto servirà a qualche impostore per mantere, invero, candida la propria fedina penale, voglio dire GRAZIE. E invitare ad ulteriori sacrifici di lavoro extra i suoi amministratori.
RispondiEliminaSiete una speranza per tutti i cittadini poveri e onesti.
Evento certo più della morte. Era nell'aria fin dai primi giorni dell'anno. Un depotenziamento dell'art.323 c.p. da valere come abrogazione per gli amici e applicabile ai nemici. Un provvidenziale colpo di spugna per un reato base. Comunque questo reato si accompagna spesso con quello di favoreggiamento(378-382) è la che bisogna colpire per stroncare il cancro.
RispondiEliminaOttimo commento, condividile in ogni espressione.
RispondiEliminaOgni governo che si è ritenuto forte, invincibile è puro (il Prodi 1 fece lo stesso) ha modificato l’art. 323 c.p. per avere le “mani libere”. E questo Conte bis si muove in questo solco.
Avv. Clemente Biondi - Napoli