di Sergio Palmieri
(Giudice del Tribunale di Napoli)
L’Associazione Nazionale Magistrati funziona come qualsiasi istituzione rappresentativa democratica. Lo Statuto dell’A.N.M. prevede infatti un “parlamentino” (il Comitato Direttivo Centrale – C.D.C.), i cui membri sono eletti dalla totalità dei soci (il “popolo”), ed un “esecutivo” (la Giunta Esecutiva Centrale – G.E.C.), i cui membri sono nominati dal C.D.C., esattamente come il Governo di uno Stato ha la fiducia delle Camere ed è espressione della maggioranza parlamentare uscita vincente dalla tornata elettorale.
Questo meccanismo ha una sua validità (in termini di efficacia dell’azione governativa e di reale rispetto delle differenze emerse in seno all’elettorato), nella misura in cui il Governo sia realmente l’espressione di una maggioranza, e sempre che ad esso possa contrapporsi una vera ed efficace opposizione che in Parlamento faccia valere il suo potere di controllo sull’operato dell’Esecutivo.
Fino all’ultimo confronto elettorale l’Associazione è stata per molti anni, e salvo brevi parentesi, governata da “Giunte unitarie”, esecutivi in cui, qualunque fosse l’esito del voto ed il peso di ciascuna corrente, tutte avevano i propri rappresentanti al governo, in numero tendenzialmente paritetico (con le eccezioni derivanti dal numero dispari di membri e da situazioni contingenti).
Un po’ come se, all’indomani del voto per le politiche, tutti i partiti eletti in Parlamento, da Alleanza Nazionale a Rifondazione Comunista, formassero un Governo di Unità Nazionale, una Große Koalition, designando un Ministro per ciascun partito.
L’espressione coniata (“Giunta Unitaria”) vuol rappresentare l’esistenza di una vera e forte unità in seno alla magistratura, che in tal modo, si sostiene, è più forte rispetto all’esterno.
In nome di questa “ragion di Stato”, si è in altri termini operata una sorta di fictio: si è cioè agito come se tutti i quasi diecimila magistrati italiani la pensassero esattamente allo stesso modo in merito a obiettivi e priorità dell’ANM.
Tuttavia, non è chi non veda come la mancanza di una vera opposizione determini, anche nel migliore dei governi immaginabili, un sostanziale decadimento della vocazione rappresentativa degli eletti.
E non solo non viene, in tal modo, rispettata la differenziazione, pure esistente, tra i modelli, ideologici, culturali, e di approccio alle problematiche che interessano la categoria, di cui ciascuna corrente è portatrice, ma addirittura, come si è detto, ciascuna corrente finisce con l’avere un numero di rappresentanti di governo indipendente dal consenso acquisito legittimamente con il voto.
E cioè, anche se la corrente A ha il 40% dei consensi e la corrente B il 10%, quelle correnti governano con uguale peso in Giunta, e dunque un’idea o un programma votato dal 40% degli elettori pesa quanto un’idea o un programma votato dal 10% dei soci.
Una “sterilizzazione” dell’esito elettorale, che ha come ulteriore conseguenza che, in una simile situazione, al socio-elettore riesce difficile comprendere quale ragione giustifichi la scelta per questa o quella corrente, per questo o quel rappresentante, e che, nell’ipotesi in cui egli dovesse ritenersi insoddisfatto dell’operato della corrente di riferimento, si vedrebbe di fatto privato di una reale alternativa, perché in qualunque direzione egli ritenesse di far confluire il proprio voto, il risultato sarebbe sempre quello di sostenere la medesima compagine “governativa”.
Nei fatti, poi, questa soluzione ha condotto, e non poteva non condurre ad un effetto paradossale: quello dell’opposizione al governo, o del governo di opposizione.
Sempre più spesso, infatti, la linea politica della G.E.C. è stata oggetto di forti critiche da parte di suoi stessi membri, oppure, all’opposto, su pressione di forze minoritarie all’interno della G.E.C., quest’ultima ha adottato delle deliberazioni di stampo programmatico, rimaste poi, ineluttabilmente, lettera morta, in quanto sostanzialmente non condivise dalla maggioranza dei suoi membri.
A seguito dell’ultima tornata elettorale, l’A.N.M. ha sfornato un nuovo ossimoro, sebbene di segno esattamente contrario: il governo di minoranza.
Oggi in Giunta Esecutiva Centrale siedono, infatti, all’esito di una tormentata prima seduta del neoeletto Comitato Direttivo Centrale, esclusivamente membri della corrente Unità per la Costituzione (Unicost) che, pur essendo il “partito” di maggioranza relativa (43,4%), resta comunque al di sotto della soglia della maggioranza assoluta, e dunque, formalmente, non avrebbe i numeri per governare.
Pertanto la maggioranza degli elettori (quelli che hanno votato per Magistratura Democratica, per Movimento-Art. 3, e per Magistratura Indipendente) si vede “governata” dalla corrente per la quale non ha votato.
Un po’, per tornare all’analogia con le politiche, come se il Parlamento decidesse di affidare esclusivamente a Forza Italia il governo del Paese, con buona pace degli elettori dei restanti partiti dell’arco costituzionale.
Il che conduce, come logica conseguenza, al fatto che oggi, invece che ad una dialettica tra maggioranza e opposizione, si assiste ad una dialettica tra ... minoranza e opposizione, nel senso che l’opposizione, che è per definizione costituita dalle forze non rappresentate al governo, è in maggioranza in seno al C.D.C., rispetto alle forze di governo che sono in minoranza.
A chi ritiene che questi modelli di diritto costituzionale non abbiano nulla a che vedere con un’associazione di magistrati, mi permetto di replicare che se c’è un voto, ciò dovrebbe significare che, qualunque sistema l’abbia adottato, alla base vi è un modello democratico fondato sulla rappresentatività di chi è al potere e su una dialettica tra diverse forze, componenti, anime, o comunque le si voglia definire.
Altrimenti, l’A.N.M. non avrebbe dovuto essere strutturata in quel modo, con un C.D.C. che è eletto dai soci, come il Parlamento è eletto dal popolo, ed una Giunta che è nominata dal C.D.C., come il Governo è espressione della maggioranza parlamentare.
E mi pare altrettanto innegabile come, sia nell’un caso (Giunta Unitaria) che nell’altro (Giunta di minoranza), la soluzione non rispecchi, e dunque non rispetti, la “volontà popolare”, e come l’esito del voto ne risulti in qualche modo “sterilizzato”.
Ma cosa vuol dire “sterilizzazione” dell’esito elettorale?
Significa che l’elettorato, la base, finisce con l’avere l’unica funzione di legittimare, con il proprio voto, qualunque sia la direzione in cui confluisca, l’assetto verticistico, venendo, per contro, privata di quel “potere contrattuale”, che al voto dovrebbe essere inscindibilmente connesso, necessario per condizionarne le scelte e le linee politiche.
Si viene a creare, in tal modo, una frattura, uno scollamento, tra vertici e base, che produce una sempre più marcata autoreferenzialità delle “oligarchie” degli eletti.
Pare lecito domandarsi cosa impedisca all’Associazione Nazionale Magistrati di recuperare una normalità nei rapporti tra elettori ed eletti.
Eppure, segnali di un certo malcontento (forse scarsamente rilevanti se singolarmente considerati, ma certamente significativi se valutati nella loro globalità) sono in atto da diverso tempo.
Nell’ottobre del 2006 nasceva, su iniziativa di alcuni colleghi, tra cui il sottoscritto, un comitato per la convocazione di un’assemblea straordinaria dei soci, che si è tenuta il 26 novembre di quell’anno: un’autoconvocazione, cosa questa già di per sé eccezionale, per chiedere ai vertici una più incisiva ed efficace azione “sindacale” per la tutela degli interessi della categoria.
Quel comitato si è poi costituito in forma permanente (il Comitato 26 novembre), e ad esso un’altra aggregazione spontanea ha fatto seguito (il gruppo Controcorrente), con la finalità, come lo stesso nome suggerisce, di mettere in discussione le logiche di appartenenza correntizia che da più parti si ritiene informino le scelte determinanti per l’esperienza professionale dei magistrati; è sorto, in relazione alle ultime elezioni per il rinnovo del C.D.C., un movimento “astensionista”, sotto la spinta di colleghi come Stefano Racheli, e Felice Lima; ha visto la luce il libro “Toghe Rotte” di Bruno Tinti e si sono tenuti diversi convegni sull’indipendenza interna della magistratura, in cui si è rivisitato in chiave critica il fenomeno del “correntismo”, mettendone in luce le possibili degenerazioni; sono stati aperti blog e forum di discussione in cui si apre al confronto con la società civile, e si analizzano i rapporti tra magistratura associata e altri centri istituzionali di potere.
Infine, alle ultime elezioni per il Comitato Direttivo Centrale si è assistito ad un deciso arretramento delle due correnti (Magistratura Democratica e Movimento-Art. 3), a torto o a ragione identificate come le meno inclini a sposare un modello di tutela sindacale della categoria, e ad un correlato aumento dei consensi verso le due correnti (Magistratura Indipendente e Unicost), almeno dichiaratamente maggiormente vicine a questo tipo di istanze.
Logica avrebbe voluto che si formasse un governo di maggioranza, composto da esponenti di queste ultime due correnti.
Cosa ha dunque impedito che questo matrimonio benedetto dall’elettorato avvenisse? Cosa ha condotto alla soluzione barocca cui oggi assistiamo?
Le motivazioni contingenti, e per certi versi non previste né prevedibili, che pure hanno avuto il loro peso, sono forse poco rilevanti, a fronte del dato strutturale che vuole che, ancora una volta – come peraltro avevamo previsto nel dichiarare le motivazioni della nostra astensione – l’A.N.M. non è riuscita a darsi un assetto in linea con la volontà manifestata dal proprio elettorato.
E sono, peraltro, in molti pronti a scommettere – cosa che è stata apertamente dichiarata dagli attuali vertici associativi nell’incontro del 9 gennaio 2008 con il Capo dello Stato – che questa sia solo una soluzione transitoria, volta a scongiurare l’impasse determinatasi nella prima seduta del C.D.C., che preluda ad una prossima costituzione, di qui a qualche mese, di una nuova Giunta Unitaria.
Nihil sub sole novi, dunque.
Per comprendere le ragioni di questa perdurante anomalia, si deve tener conto, a mio avviso, della peculiarità di fondo che concerne il modo in cui l’A.N.M., e per essa le sue componenti, operano nei rapporti con le istituzioni.
È un dato acquisito, e secondo molti costituisce un “valore aggiunto” per l’A.N.M., il fatto che le componenti dell’Associazione contribuiscano ad orientare le designazioni e le candidature, concernenti i diversi luoghi istituzionali in cui si svolgono funzioni e prerogative di governo, di direzione e di controllo dell’operato della magistratura, ovvero in cui si adottano le scelte politiche in merito all’organizzazione ed al funzionamento dell’apparato Giustizia.
Sulla base del confronto dialettico tra le correnti vengono indicate le candidature per la copertura dei posti di componenti togati dei Consigli Giudiziari (che svolgono, su base territoriale, funzioni di complemento all’attività del C.S.M.), dello stesso Consiglio Superiore della Magistratura, organo costituzionale che ha poteri decisionali sui diversi aspetti della carriera dei magistrati (trasferimenti, cambi di funzioni, progressioni, esercizio del potere disciplinare, dispense dal servizio, collocamento fuori ruolo, autorizzazione all’espletamento di incarichi, approvazione e ratifica delle delibere dei capi degli uffici).
Le correnti possono sostenere le designazioni di aspiranti alla copertura degli uffici c.d. direttivi e semidirettivi (in sostanza, i capi degli uffici, come il Procuratore Capo, i Procuratori aggiunti, i Presidenti di Tribunale, delle Corti di appello, il Primo Presidente della Cassazione, i Presidenti di sezione).
Delle indicazioni delle correnti si tiene spesso conto anche ai fini delle determinazioni ministeriali in ordine alle nomine dei magistrati (che vengono dunque collocati “fuori ruolo”) per la copertura di posti presso i Dipartimenti e gli Uffici del Ministero della Giustizia.
Può ben accadere, poi, che gli stessi capi degli uffici, rivestano contestualmente posizioni di rilievo in seno all’A.N.M. (Presidente, Segretario, membro del C.D.C. o della G.E.C.).
A questo punto bisogna intendersi su una questione di fondo.
Tutti gli incarichi e tutte le cariche cui ho fatto riferimento, devono necessariamente, per legge, essere coperti da magistrati.
Dunque, sotto questo profilo, e considerato che non esiste alcuno specifico divieto per l’A.N.M. di occuparsi di queste questioni, tenuto conto inoltre che la designazione in qualche modo deve pure avvenire, e che secondo molti, l’alveo naturale in cui queste scelte possono essere fatte con maggior cognizione di causa è proprio quello delle correnti, il dato in sé è assolutamente neutro e non assume alcun connotato di disvalore.
Ma è altrettanto innegabile che questo determina un’anomalia, un’ambiguità di fondo, prima ancora che all’esterno o in riferimento alle istituzioni cui si è accennato (cosa questa, pure paventata da molti dei “critici”), certamente in seno alla stessa A.N.M..
L’A.N.M. viene infatti correntemente definita «il sindacato delle toghe», e non a torto, atteso che tra i suoi compiti vi è quello di «tutelare gli interessi morali ed economici dei magistrati, il prestigio ed il rispetto della funzione giudiziaria» (art. 2 n. 3 dello Statuto).
Ma questa complessità di funzioni, questa diversificazione degli interessi delle sue componenti, non può non determinare situazioni di oggettivo conflitto di interessi tra la base ed i suoi rappresentanti.
A pochi viene in mente il seguente paradosso, suggeritomi da un collega che si è sostanzialmente trovato in una situazione analoga: «il capo del mio ufficio ha adottato un provvedimento che mi pregiudica. Ora chiamo il sindacato e mi faccio assistere». Poi chiamo il sindacato e mi risponde il mio capo. Un po’ come se Pezzotta, Angeletti o Epifani, svolgessero le mansioni di capo del personale alla Fiat o in qualche altra azienda.
Si può storcere il naso di fronte a simili analogie, che certamente contengono taluni elementi di forzatura, considerato che è difficile assimilare l’Associazione Nazionale Magistrati ad un sindacato tout court. Ciò però non toglie che il Ministero della Giustizia e il Governo in generale, il CSM, i Consigli Giudiziari, i capi degli uffici, sono “luoghi istituzionali” in cui si adottano scelte che ben possono porsi in contrasto con gli interessi della categoria o comunque che ben possono richiedere per il magistrato un’assistenza di natura sindacale.
Retribuzioni, condizioni di lavoro, procedimenti disciplinari, valutazioni di professionalità, progressioni in carriera, nomine, collocamenti fuori ruolo, etc. Mi pare difficilmente contestabile che si tratti di questioni che interessano direttamente la categoria in quanto tale o comunque che toccano interessi di singoli legati alla loro attività professionale.
Ed è altrettanto innegabile che ogni qualvolta si decide su taluna di queste questioni, la posizione dell’A.N.M. sia di obiettiva difficoltà, perché in tutti questi momenti essa, in qualche misura, è portatrice di ragioni che tengono conto contestualmente di entrambi i contrapposti interessi.
E pare altresì agevole presumere che l’impegno profuso dalle correnti nella ricerca continua di equilibri interni ed accordi su questioni che non interessano, almeno non in misura immediata e facilmente percepibile, la generalità dei soci, possa costituire un ulteriore fattore di allontanamento dell’A.N.M. dalla sua base elettorale.
In altre parole, autoreferenzialità.
Un’autoreferenzialità, si badi, che non vuol essere una messa in dubbio circa il valore, le qualità morali e le competenze professionali di chi è stato in passato e di chi è chiamato oggi a guidare l’Associazione.
Ma il problema di fondo resta. Ed è un problema di sistema e di rappresentatività che va al di là delle capacità e delle qualità dei singoli.
Che quelle indicate possano effettivamente costituire alcune delle ragioni di questa discrepanza tra esito elettorale ed assetti verticistici, è ovviamente solo un’ipotesi.
E tuttavia ritengo che queste osservazioni possano costituire quanto meno uno spunto, utile per avviare quella riflessione critica che da più parti si auspica, anche solo per dissipare i dubbi di quanti temono che l’A.N.M. possa trasformarsi in poco più che un simulacro, dietro il quale si regga un complesso sistema volto principalmente a gestire un potere fine a se stesso, con scarso ritorno per gli interessi collettivi della categoria.
Sui temi affrontati da Sergio Palmieri nell'articolo qui sopra, segnaliamo, dal nostro blog, fra gli altri, anche:
RispondiElimina“Una riflessione necessaria”
“L'Associazione Nazionale Magistrati è gestita democraticamente o c'è aria di regime?”
“Cos'è e a cosa serve l'opposizione e cosa facciamo qui”
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La Redazione
"Livatino - ha aggiunto il Gip Forleo - ci ha insegnato che essere magistrati non implica isolamento, ma che impone una lotta per i diritti civili di chiunque, soprattutto dei più deboli ed emarginati, di coloro che rimangono senza effettiva difesa".
RispondiEliminaGrazie Gip Forleo,la maggioranza degli italiani deboli ed emarginati è con Lei. La minoranza delle caste contro. Deve essere doppiamente onorata di avere contro una minoranza di indegni. bartolo iamonte.
Perchè i magistrati non possono avere un sindacato "normale" come la maggior parte dei lavoratori, ivi compresi perfino quelli di Polizia?
RispondiEliminaQuesto gioverebbe alla loro indipendenza, che deve affermarsi non solo nei riguardi dell'esecutivo e della politica, ma anche quanto alle istanze interne (capi uffici, ministero, CSM).
L'unità è un bene prezioso, ma non se è forzosa ... quando CSM o capi degli uffici si comportano in modo vessatorio, il magistrato deve avere mezzi di tutela che prescindano dall'ambiguità autoreferenziale dell'ANM e che, finché tale condizione permarrà, rischiano sempre e comunque di riversarsi in sede politica, o peggio in sede giudiziaria penale come è toccato fare a De Magistris.
E allora, Palamara e compagnia ... vogliamo darci una smossa?
Caro Catone,
RispondiEliminaNon possono averlo perché i Magistrati NON SONO lavoratori come tutti gli altri, nel senso che esercitano, IN PRIMA PERSONA, un POTERE dello Stato.
Del resto, anche la Polizia ha dovuto attendere decenni prima di avere dei sindacati. E lo stesso dicasi per le Forze Armate.
La nascita delle associazioni, delle correnti e delle fazioni in seno all'A.N.M. è, del resto, cosa abbastanza recente, benché l'associazionismo "di categoria" abbia quasi un secolo di vita.
E forse, vista la degenerazione correntizia del "sistema", qui più volte lamentata, sarebbe stato meglio che l'attuale assetto sindacale della Magistratura non fosse mai venuto alla luce.
Ricordiamo, infine, la sostanziale differenza dei sindacati italiani da quelli inglesi: in Inghilterra sono i partiti (Labour Party) ad essere figli dei sindacati, laddove in Italia sono i sindacati ad esser FIGLI DEI PARTITI ... traetene voi le conseguenze, dato che tale "matrice" credo si applichi a TUTTI i sindacati italiani, toghe incluse !
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RispondiEliminaAlle considerazioni di Sergio Palmieri, ne vorrei aggiungerne un paio di mie, che, per brevità, esporrò in maniera molto sintetica (se avrò tempo, nei prossimi giorni, svilupperò meglio questi concetti).
1. Come ho scritto in altre occasioni, la democrazia certamente non è solo un metodo di scelta del governante, ma ancor più e soprattutto un metodo di esercizio del potere e un sistema di relazioni fra i consociati.
Come accade nella politica del Paese, a me pare che anche nell'A.N.M. non ci sia più sostanzialmente una vera democrazia, e la democrazia sia ridotta al "votare per scegliere i dirigenti" (come nel Paese la democrazia è ridotta a ciò che faremo il prossimo mese di aprile).
Sul punto, rinvio a uno scritto di Stefano Racheli pubblicato in questo blog a questo link, dal significativo titolo "L'A.N.M. è gestita democrativamente o c'è aria di regime?"
2. In questa crisi complessiva di democrazia, appare ancor più grave che neppure il voto - unico elemento ormai che dovrebbe caratterizzare come democratica una organizzazione (l'A.N.M.) che, a mio modesto parere e senza offesa per le brave persone che vi si impegnano, è ormai esclusivamente "verticistica" - venga rispettato, per le ragioni molto bene esposte da Sergio.
3. Sergio osserva giustamente come sia paradossale che una associazione che si crede democratica sia "governata" da una Giunta che rappresenta la minoranza, con il "sostegno" di altre due correnti che fanno da "ombra" del "governo" con le ovvie conseguenze in termini di "trasparenza" (assente)nel "potere" e nelle concrete dinamiche di esercizio dello stesso.
A ciò intendo aggiungere l'osservazione di due fatti che a me appaiono molto molto preoccupanti.
Il primo riguarda la circostanza che anche nell'ambito della scelta surreale di dare vita a una Giunta di minoranza (!!??) la corrente "al governo" abbia tenuto in disparte i suoi rappresentanti più votati.
Ciò costituisce, per un verso, ulteriore lesione dei principi di democrazia (Presidente dell'A.N.M. è un esponente di minoranza e, nell'ambito della corrente di minoranza, non quello che ha ricevuto più voti!!!??) e, per altro verso, sintomo inequivocabile che quello attuato nello scorso novembre è stato un artificio "falso".
La Giunta dell'A.N.M. è "precaria" e, se mi si concede il termine figurato, "per finta".
Il secondo - che trova anche riscontro nel primo - è che i più autorevoli esponenti di vertice dell'A.N.M. lavorano dal primo momento in cui è nata la "Giunta per finta" all'ennesima Giunta Unitaria, costruita in spregio - perchè nella totale indifferenza rispetto - ai risultati elettorali dell'ultima consultazione.
Giunta Unitaria che sarà costruita come tutte le precedenti, secondo le inaccettabili dinamiche molto bene illustrate da Sergio Palmieri.
Di questo vi è prova certa nel Comunicato Stampa dell'incontro del 9.1.2008 della Giunta dell'A.N.M. con il Presidente della Repubblica, nel quale si riferisce che la Giunta ha detto al Presidente Napolitano di "essere nata con lo scopo di guidare l'Associazione verso il recupero della conduzione unitaria".
Per incomprensibili ragioni, questo Comunicato Stampa, addirittura, non è neppure inserito fra i Comunicati Stampa riportati nel sito dell'A.N.M. (www.associazionemagistrati.it) (o l'incontro con il Presidente della Repubblica non è stato ritenuto "importante" - !!?? - oppure ci si è vergognati ex post di questa "confessione" dei retroscena della "Giunta per finta").
Sono consapevole che tanti miei colleghi troveranno forse petulanti queste considerazioni, ma, nella mia prospettiva, è proprio il non riuscire più a vedere lo "schema" nel quale operano e operiamo tanti che rende così tanto grave la malattia che ci affligge e che affligge l'A.N.M..
Peraltro, chi ha criticato la scelta di alcuni di noi di astenerci alle elezioni del C.D.C. tenutesi a novembre dovrebbe a mio parere prendere atto della inutilità, per intenzionale e predeterminata vanificazione da parte dei certici dell'A.N.M., delle elezioni medesime.
Felice Lima
Concordo anch'io che "tutti i sindacati" sono figli dei partiti.
RispondiEliminaNon rappresentano più un servizio per tutte le categorie ma un favore a qualcuno e per la giustizia gli utenti, cioè noi cittadini,con le nostre controversie da decidere, siamo
un incidente di percorso,un intralcio e ancora non sappiamo cosa vogliono veramente i giudici,visto che le nostre questioni ora possono essere decise da arbitri, dalle camere di commercio,da questo e da quello, ma evidentemente non basta.Ci facciano sapere i magistrati cosa vogliono per giustificare la loro funzione naturale.
Alessandra
Dal Blog di Sandro Ruotolo:
RispondiEliminaLUIGI BORSELLINO ]
Ho preso nota della delibera di "richiamo" da parte dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per le puntate del 4 ottobre, del 6 e del 20 dicembre 2007 di Annozero. Nessuna sanzione ma un "richiamo". E non voglio certo entrare nel merito del provvedimento. Mi soffermo però alla pagina quattro della delibera quando, a proposito della prima puntata dedicata al caso "De Magistris", si sostiene che "pur essendosi registrata l'esposizione di un ampio arco di opinioni e tesi espresse dagli ospiti in studio, la trasmissione è apparsa squilibrata a favore delle tesi contro l'operato del ministro della giustizia, anche grazie ai collegamenti in esterno con le città di Potenza e di Catanzaro diretti a dare voce ai sostenitori dell'operato del magistrato Luigi De Magistris contro le iniziative del ministro della giustizia e all'intervista realizzata allo stesso magistrato, il quale è stato l'unico a poter spiegare compiutamente le ragioni della vicenda che lo vedeva protagonista". L'intervista a Luigi De Magistris era registrata. Realizzata prima degli eventi in discussione. In studio, invece, c'era l'attuale ministro della giustizia Luigi Scotti che, all'epoca era sottosegretario del ministro, entrò nel merito della vicenda, senza che De Magistris potesse replicare. Volete sapere chi erano gli altri ospiti della puntata secondo quanto scritto nella delibera dell'Agcom? "Pasquale Borsellino, fratello del magistrato Luigi Borsellino...". Cara Autority, il fratello del magistrato si chiama Salvatore. E il magistrato si chiamava Paolo, Paolo Borsellino e non Luigi.
http://notizie.alice.it/notizie/politica/2008/02_febbraio/12/forleo%20%20giovedi%20%20csm%20decide%20se%20chiudere%20istruttoria%20su%20gip%20milano,14036784.html
RispondiEliminaClementina Forleo, forse giovedi' la I commissione decide cosa fare di lei.
E la Prof.ssa Vacca? E' sempre li'?
Qualcuno disse "passeranno tutta la vita a difendersi".
Della serie, come distogliere i magistrati volenterosi dal loro lavoro....