Astensione e ricusazione del
giudice sono istituti volti a garantire la terzietà del giudizio, vale a dire
che esso non risulti condizionato dai rapporti del giudice con le parti o dalla
diretta conoscenza dei fatti di causa acquisita al di fuori del processo.
Nel processo civile la disciplina dell’incompatibilità
è posta dall’art. 51 del c.p.c. che, tra le altre ipotesi, prevede quella del
giudice che “ha deposto in essa come testimone” o che “ha dato consiglio”; nel processo penale, analogamente, l’art. 34 del
c.p.p. esclude dalla funzione giudicante chi “ha prestato l’ufficio di
testimone”; l’art. 36 prevede poi l'obbligo di astenersi dalla funzione giudicante
del soggetto che abbia dato consigli sull'oggetto del procedimento fuori
dell'esercizio delle funzioni giudiziarie.
A queste ipotesi sembra ricollegarsi la
ricusazione da poco depositata dalla difesa del dott. Luca Palamara nei
confronti del dott. Davigo, componente della Sezione Disciplinare del CSM che è il giudice - elettivo – degli illeciti
disciplinari dei magistrati.
Eccone il testo.
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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA
MAGISTRATURA
SEZIONE DISCIPLINARE
INVITO ALLA ASTENSIONE EX ARTT. 51 C.P.C. E 36 C.P.P.
RICORSO ED ISTANZA DI RICUSAZIONE EX ART. 52 C.P.C. E 37 C.P.P.
PROC. N. 76/2019
Ill.mo Presidente,
il sottoscritto Stefano Giaime
GUIZZI, nella qualità di difensore di fiducia del dott. Luca Palamara, nato a
Roma 22 aprile 1969, ed unitamente ad esso, rappresenta quanto segue.
*** *** ***
Il Cons. dott. Piercamillo
DAVIGO, Presidente di Sezione della Corte di Cassazione, farà parte – quale
magistrato titolare di funzioni di legittimità – del collegio giudicante
chiamato a celebrare il dibattimento a carico del dott. PALAMARA e, dunque, a
pronunciarsi sulla sua eventuale responsabilità in relazione agli illeciti
disciplinari contestatigli.
Tuttavia, dal verbale delle
sommarie informazioni testimoniali rese dal dott. Stefano FAVA – ex artt.
391-bis e 391-ter cod. proc. pen. – in data 6 novembre 2019 [verbale che qui si
allega sub 1), ai sensi dell’art. 38, comma 4, cod. proc. pen., con riserva di
ulteriore produzione dello stesso anche in occasione degli incombenti di cui
all’art. 493 cod. proc. pen.], risulta che il medesimo ebbe ad incontrare il
predetto dott. DAVIGO, unitamente ad altro componente di codesto Ill.mo C.S.M.,
dott. Sebastiano ARDITA, in alcune occasioni. In particolare, il dott. FAVA ha
riferito che – in occasione di un incontro avvenuto a fine febbraio 2019 presso
il ristorante “Il Baccanale” – oggetto del suo colloquio con entrambi i Consiglieri
fu, oltre ad una sua possibile candidatura alle elezioni per il rinnovo degli
organismi dell’Associazione Nazionale Magistrati, l’esistenza di “divergenze di
vedute” all’interno del suo Ufficio di appartenenza (la Procura della
Repubblica di Roma), ed in particolare di “possibili conflitti di interesse”
che egli aveva segnalato “tra il Procuratore ed alcuni indagati”. Il dott.
FAVA, inoltre, ha riferito che – nel corso di un successivo colloquio, nel
maggio 2019, con il solo dott. ARDITA – ebbe a riferire al medesimo della
“segnalazione […] fatta al CSM il 27 marzo 2019” in merito, tra l’altro,
proprio a quel conflitto di interessi.
Per parte propria, anche il dott.
Erminio AMELIO, nel verbale delle dichiarazioni rese il 2 luglio 2020, ex art.
362 cod. proc. pen., innanzi alla Procura della Repubblica di Perugia [verbale
che qui si allega sub 2), ai sensi dell’art. 38, comma 4, cod. proc. pen., con
riserva di ulteriore produzione dello stesso anche in occasione degli
incombenti di cui all’art. 493 cod. proc. pen.], ha confermato – per avervi
egli stesso preso parte – la circostanza del pranzo, “all’inizio del 2019”, tra
il dott. FAVA e Consiglieri DAVIGO ed ARDITA. Il dott. AMELIO ha, del pari,
confermato che – nel mese di marzo 2019 – il dott. FAVA, dopo avergli riferito
di aver “redatto una richiesta di misura cautelare nei confronti dell’Avv.
AMARA, che non aveva ottenuto il visto del Procuratore” (ciò che aveva
determinato “dei contrasti che avevano condotto alla revoca
dell’assegnazione”), apprese, dallo stesso, della sua volontà di “fare un
esposto, in quanto era preoccupato del fatto che la vicenda potesse andare
contro di lui”, tanto che il medesimo dott. AMELIO ebbe “l’impressione che il
suo intento” (ovvero, del dott. FAVA) “fosse tutelarsi da una vicenda, in cui
si sentiva, suo malgrado, coinvolto”, donde “la necessità di rivolgersi al CSM
perché temeva di poter subire un danno da quanto accaduto”.
Proprio tali risultanze
probatorie hanno indotto questo difensore, e con esso il dott. PALAMARA, a
richiedere a codesta Ill.ma Sezione Disciplinare, ex art. 468 cod. proc. pen.,
l’autorizzazione alla citazione – quale teste a discarico dell’incolpato – del
Cons. DAVIGO (e del Cons. ARDITA), costituendo le circostanze suddette fatti
idonei a dimostrare l’infondatezza degli addebiti, in particolare, di cui al
capo 1) lett. Y nn. 1), 2), 3 e 4).
Tale circostanza, pertanto, pone
il Cons. DAVIGO – qualunque sarà la determinazione che assumerà codesta Ill.ma
Sezione Disciplinare, in ordine alla richiesta di escussione dello stesso quale
teste – in una condizione davvero “sui generis”, tale da consigliarne
l’astensione ex art. 36 cod. proc. pen., ovvero, in difetto, da indurre sin
d’ora questa difesa a formulare istanza di ricusazione ex art. 37 del medesimo
codice di rito penale.
Ed invero, se il Cons. DAVIGO
fosse esaminato ai sensi degli artt. da 497 a 500 cod. proc. pen., si verrebbe
a determinare la singolare situazione di un soggetto che riveste, nello stesso
processo, la posizione di teste su (taluni dei) fatti oggetto di incolpazione,
nonché di giudice degli stessi.
Si tratta, pertanto, di
situazione rilevante – nella prospettiva della astensione/ricusazione del Cons.
DAVIGO – ai sensi degli artt. 51, comma 1, n. 4), e 52 cod. proc. civ., non
ostando, invero, a tale conclusione, ma anzi corroborandola, quanto affermato
dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione.
Esse, infatti, con riferimento ad
un procedimento disciplinare a carico di un esercente la professione forense
(fattispecie assimilabile alla presente, anche alla luce di quanto ritenuto
dalla giurisprudenza della Corte EDU,
che ha qualificato il procedimento a carico dei magistrati di cui al
d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 come
"un contenzioso disciplinare, concernente il diritto di continuare a
praticare una professione” che “può dar luogo a «controversie su diritti (...)
di carattere civile» ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione”; cfr.
Corte EDU, Seconda Sezione, sentenza 9 luglio 2013, in causa Di Giovanni c.
Italia) hanno, per vero, escluso che l’art. 54, comma 1, n. 4), cod. proc.
civ. potesse trovare applicazione con
riferimento al caso di un soggetto, chiamato a svolgere funzioni giudicanti in
quel procedimento, che era stato indicato come testimone nel procedimento
penale iniziato contro l’incolpato. Tuttavia, le Sezioni Unite Civile sono
giunte a tale conclusione sul duplice rilievo che, in quel caso, l’escussione
del teste era stata chiesta in un procedimento diverso da quello disciplinare
e, soprattutto, senza che la relativa istanza fosse già nota all’interessato al
momento di assumere la decisione come giudice, sicché proprio tali circostanze
– che non ricorrono, invece, nel caso in esame – sono state ritenute ostative
all’obbligo di astensione (cfr. Cass. Sez. Un. Civ., sent. 6 luglio 2005, n.
14214, Rv. 583897-01).
D’altra parte, qualora codesta
Ill.ma Sezione Disciplinare decidesse di escludere l’esame testimoniale del
Cons. DAVIGO, l’astensione/ricusazione dello stesso si rende necessaria ai
sensi degli artt. 36, comma 1, lett. c), e 37, comma 1, lett. a), cod. proc.
pen.
Il Cons. DAVIGO risulta, infatti,
aver interloquito – stando, almeno, ai documenti sopra menzionati – con il
dott. FAVA, il quale ebbe, in particolare, a discutere con lui in merito a
quelle “divergenze di vedute”, all’interno della Procura della Repubblica di
Roma (e, segnatamente, con i vertici della stessa) e su quei “possibili
conflitti di interesse”, in relazione ai quali egli ebbe, poi, a ritenere
opportuno presentare alla Prima Commissione del CSM quell’esposto che tanto
rilievo riveste, nella prospettazione dell’accusa, in ordine alle incolpazioni
di cui al capo 1), lett. Y, nn. 1), 2), 3 e 4), elevate a carico del dott.
PALAMARA.
Ricorre, dunque, quella
condizione – l’avere il Cons. DAVIGO “manifestato il suo parere sull’oggetto
del procedimento” (almeno “in parte qua”) “fuori dell’esercizio delle sue
funzioni” – alla quale danno rilievo, nella prospettiva
dell’astensione/ricusazione del giudice, le norme codicistiche sopra
menzionate.
Ed invero, la giurisprudenza
penale di legittimità, nel precisare che le “nozioni di «parere» (rilevante ex
art. 36, comma 1, lett. c e 37, comma 1, lett. a, cod. proc. pen.) e
«convincimento» (rilevante ex art. 37, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.) sono
talvolta state promiscuamente intese”, ha sottolineato, con forza, come “il
dato letterale, ovvero la diversa terminologia adoperata nel medesimo contesto
(le due distinte ipotesi confluiscono, infatti, nella stessa norma, l’art. 37
cod. proc. pen.)”, riveli, tuttavia, “la trasparente intenzione del Legislatore
di fare riferimento a due situazioni diverse: in caso contrario, sarebbe
davvero incomprensibile l’impiego, in una stessa norma, di due distinti termini
per evocare il medesimo concetto” (Cass. Sez. 2 Pen., sent. dep. 25 giugno
2013, n. 27813, Rv. 255691).
La Suprema Corte, pertanto, ha
evidenziato non solo che “l’espressione «oggetto del procedimento» di cui
all’art. 36 lett. c) cod. proc. pen., ha contenuto più ampio rispetto a quella
di «fatti oggetto dell’imputazione»”, ma pure, per converso, “che il termine
«convincimento» ha un significato più ristretto, implicante un’analisi ed una
riflessione rispetto al «parere», che indica un’opinione non preceduta
necessariamente da un ragionamento fondato sulla conoscenza dei fatti o degli
atti processuali” (Cass. Sez. 2 Pen, sent. dep. 6 giugno 2005, n. 20923, Rv.
232689; in senso conforme anche Cass. Sez. 2 Pen. sent. n. 27813 del 2013,
cit.) e ciò, oltretutto, “senza che rilevino nè il momento, né il luogo, né il
destinatario, né la qualità del parere medesimo”, così come la circostanza che
“il procedimento sia in corso o ancora non si sia iniziato” (Cass. Sez. 1 Pen.
sent. dep. 15 ottobre 1996, n. 5293, Rv. 205843-01; in senso conforme anche
Cass. Sez. 2 Pen. sent. n. 27813 del 2013, cit.),
Orbene, a tale ampia nozione di
“parere sull’oggetto del procedimento” è certamente ascrivibile il contegno
tenuto dal Cons. DAVIGO, dal momento che egli, come detto, ebbe ad interloquire
con il dott. FAVA – senza far mancare, nell’ambito di tale colloquio, quella
“opinione non preceduta necessariamente da un ragionamento fondato sulla
conoscenza dei fatti”, idonea, come visto, ad integrare il “parere” cui dà
rilievo l’art. 36, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. – in merito alla situazione di conflitto
all’interno della Procura capitolina e alle modalità con le quali, più
opportunamente, quel sostituto avrebbe potuto portarla a conoscenza delle
autorità competenti, circostanze, entrambe, «oggetto del procedimento» (secondo
il significato dianzi chiarito, che individua la nozione in chiave autonoma
rispetto a quella di “fatti oggetto dell’imputazione”), nel quale il Cons.
DAVIGO riveste, oggi, la qualità di giudice.
ciò premesso e
considerato
Nell’interesse del dott. Luca
PALAMARA ed unitamente ad esso si ricorre alla competente Sezione del Consiglio
Superiore della Magistratura affinché, ai sensi degli artt. 36 e 37 cod. proc.
pen. e dell’art. 52 cod. proc. civ., in relazione al precedente art. 51, voglia
accogliere la presente istanza di ricusazione nei confronti del Cons. dott.
Piercamillo DAVIGO per le motivazioni espresse in premessa.
Si allegano i documenti indicati
nell’istanza.
Con osservanza.
Chiavari/Roma, 17 luglio 2020
Per il dott. Luca
PALAMARA
Stefano Giaime GUIZZI