di Antonio Ingroia
(Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo)
da L'Unità del 31 dicembre 2007
L’articolo di Marco Travaglio e la replica del segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara possono costituire l’occasione per una riflessione, pacata ma franca, su temi che dovrebbero stare al centro dell’attenzione di chi ha veramente a cuore principi-cardine della nostra democrazia, come l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
Oggi più che mai occorre freddezza d’analisi ed equilibrio nei giudizi, purché ciò non sia sintomo di timidezza nel prendere posizione.
È d’obbligo evitare guerre di religione, ma anche semplificazioni e superficialità, che rischiano ancora una volta di dominare la scena, determinando equivoci, fraintendimenti, se non disinformazione, a danno dei cittadini e della credibilità di tutte le istituzioni (e le persone) coinvolte.
Sarà possibile almeno questa volta? Qualche dubbio è legittimo visto che nel paese sembra circolare aria un po’ pesante, clima d’intolleranza per le voci fuori dal coro, sicché, un po’ per paura, un po’ per prudenza, finiscono per prevalere antiche inclinazioni al quieto vivere.
Il che tuttavia, in un momento come questo, non sembra richiedere neutralità imparziali, bensì professioni di fede, l’obbligo di schierarsi con questa o quella tribù o casta.
Difficile, perciò, proporre ragionamenti senza pregiudizi, disponibilità a riconoscere le ragioni degli altri e i propri errori. Come minimo si viene guardati con sospetto. Ciò nonostante, attraversiamo una fase sufficientemente delicata per affrontare il rischio, senza eccessive prudenze di maniera.
L’associazionismo giudiziario attraversa una fase critica? Certo che sì, come dimostrano i più recenti dati elettorali che, fra crescente astensionismo e rigurgiti corporativi, penalizzano quelle che Travaglio definisce le «componenti più dinamiche» della magistratura associata, così determinando – lo dico con il massimo rispetto dei nuovi vertici dell’A.N.M. – una soluzione «debole», quale certamente è quella di eleggere una Giunta minoritaria: come dire, un Governo Prodi alla potenza.
Se questo è, indubbiamente, il sintomo, più difficile è fare una diagnosi e individuare le cause di questa «fase critica».
È solo una coincidenza che, nello stesso momento in cui la politica dei partiti non riesce a esprimere un governo solido, in grado di varare un’ampia politica delle riforme, a cominciare da un’autentica riforma della giustizia, anche l’associazionismo correntizio della magistratura non riesca a varare una Giunta forte?
E siamo certi che le sole alchimie elettoralistiche, nelle quali è impegnato il dibattito politico, siano in grado di accorciare la distanza fra rappresentanti e rappresentati che oggi sembra sempre più incolmabile (Grillo docet ...)?
O c’è un deficit di democrazia nel nostro paese che rende sempre più ampia la distanza fra rappresentanti e rappresentati, sicché in casa nostra stanno esplodendo le stesse contraddizioni esplose dentro la Politica Grande?
Domande che meritano (forse) approfondimento.
Ma per spiegare la crisi della magistratura associata, sostiene Travaglio, c’è dell’altro, ed ancor più specifico, che ha a che fare con una certa realpolitik dell’A.N.M., sostanzialmente descritta come complice di un nuovo (ma sempre eguale a se stesso) disegno politico di «normalizzazione» di certi magistrati, «delle voci dissonanti», «di chi crede troppo in una “giustizia uguale per tutti” e dunque disturba i manovratori», realpolitik che si sarebbe manifestata nella «freddezza» con la quale l’A.N.M. avrebbe trattato le vicende dei colleghi Forleo e De Magistris.
Io non so dire se il termine «normalizzazione» descriva bene quel che sta accadendo alla magistratura oggi in Italia. Quel che mi pare evidente che anche in questa fase sembrano prevalere due atteggiamenti: fastidio e disagio.
Un certo «fastidio» per il controllo di legalità, che trasversalmente percorre il mondo politico quasi per intero, e che nelle sue espressioni più estreme, manifestatesi clamorosamente «ai tempi di Berlusconi», si è trasformato in un assalto alla baionetta all’autonomia e indipendenza della magistratura.
Un attacco respinto anche grazie alla fermezza di un’opposizione che, tuttavia, una volta divenuta maggioranza, sembra non essersi liberata affatto da quel «fastidio», in nome di un rivendicato «primato della politica».
E il disagio: un disagio diffuso nella magistratura che ha visto prevalere l’interpretazione del cosiddetto «primato della politica» con richieste di passi indietro alla magistratura, ma che ha visto anche prevalere all’interno della magistratura associata atteggiamenti nuovi verso la politica.
Non tanto, e non solo, la doverosa disponibilità al dialogo, ma anche tutto un farsi carico di esigenze altrui, quelle della Politica innanzitutto, un’inusuale e improvvisa maggiore predisposizione alla «prudenza», a fare passi indietro.
Non credo si tratti né di collaborazionismo con opere di normalizzazione della magistratura, né di collateralismo con una maggioranza politica. Ma non v’è dubbio che c’è un’aria nuova, non positiva, che non mi pare sintomo di buona salute della democrazia interna all’associazionismo giudiziario, e che come tale è stato percepito dai magistrati, come dimostrano i più recenti risultati elettorali. O no ?
E questa disaffezione verso l’A.N.M. trova concreti appigli anche negli avvenimenti più recenti.
Checché ne dica il neo-segretario Palamara, è difficile non restare sorpresi di fronte al comunicato stampa dell’A.N.M. del 21 dicembre e al suo articolo di ieri su queste stesse colonne, quando la questione dei rischi connessi al «processo mediatico» viene posta in relazione alla trasmissione di AnnoZero che sembra avere soltanto informato i telespettatori sul caso Forleo con metodi nuovi, e cioè col linguaggio della fiction, che possono non piacere, ma che non costituiscono certamente un processo al processo (a quale poi?).
Semmai, il prof. Giostra, nel suo recente articolo su Il Riformista, ha posto alcuni seri interrogativi sulle interferenze fra processo giurisdizionale e processo mediatico, che però c’entrano assai poco con la puntata «incriminata» di AnnoZero e c’entravano tantissimo, ad esempio, con alcuni evidenti tentativi di interferenza su processi in corso ad imputati «eccellenti», invitati a discolparsi senza contraddittorio, come avvenne più volte durante il processo nei confronti del dott. Contrada, invitato a partecipare a trasmissione deliberatamente a senso unico e allestite all’interno di importanti salotti televisivi.
Perché mai nessun intervento dell’A.N.M. per le interferenze televisive sul processo Contrada, sul processo Andreotti, e così via, e questo intervento sul caso Forleo?
Questa nuova attenzione «mediatica» dell’A.N.M. ci deve far essere più fiduciosi o più preoccupati?
Sullo specifico delle vicende Forleo e De Magistris, pur con la «dovuta ponderazione», alla quale giustamente ci richiama il segretario Palamara, non sarebbe legittimo attendersi dall’A.N.M. qualche intervento quanto meno sull’inusualità del provvedimento di avocazione e delle sue modalità di attuazione preso nei confronti del collega De Magistris, sembrando un provvedimento d’altri tempi, che non ci si sarebbe attesi, così, senza reazioni, nell’Italia dei tempi di Prodi, che dovrebbe essere ben diversa dall’Italia dei tempi di Berlusconi?
Ed è forse necessario entrare nel club dei fans di Forleo e De Magistris per dire qualcosa sui rischi insiti nell’ampliamento dei limiti di sindacabilità, in sede disciplinare, della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali?
E ragionare sui motivi per i quali l’indipendenza e l’autonomia, interna ed esterna, della magistratura sembra tuttora in sofferenza, anche dopo la riforma Mastella e non soltanto dopo la riforma Castelli?
Si può riflettere ad alta voce su questi temi senza paura di essere trattati da eretici?
Del resto, è lo stesso segretario dell’A.N.M. ad avvertire il pericolo di un «abbraccio mortale» della politica.
E questo allarme è un segnale positivo. Così come è importante riaffermare la fiducia nel «potere diffuso dei magistrati» e in una magistratura «soggetta soltanto alla legge».
Ciò che davvero conta, poi, è essere consequenziali.