di Gherardo Colombo
tratto da Golem - L'indispensabile, Il Sole 24 Ore
La democrazia esige una informazione corretta.
Non può esistere stato di diritto, non può esistere democrazia quando l'informazione non è corretta.
La democrazia si basa sulla consapevolezza delle proprie idee, della propria collocazione, delle proprie finalità.
Democrazia significa, tra l’altro, scelta del “partito” – le virgolette dipendono dalla difficoltà di individuare nel presente partiti politici intesi nel senso tradizionale del termine –, della parte, dello schieramento, della persona che si trovi in sintonia con le proprie idee, collocazioni e finalità, e che sia in grado di rappresentarle.
La scelta, la esattezza di qualsiasi scelta, ha come presupposto la conoscenza puntuale delle alternative.
Questa dipende potremmo dire interamente dall'informazione: l'informazione scorretta inquina la conoscenza, e la conoscenza inquinata preclude la proprietà della scelta, rende vana o solo apparente la democrazia, e con essa lo stato di diritto.
Ma quando l'informazione è corretta?
L’interrogativo è scomponibile in più sotto-quesiti, perché la risposta implica, anzitutto, la considerazione tanto delle sedi destinate all’informazione quanto dei soggetti che se ne fanno promotori. Tra le sedici sono non solo i luoghi destinati a comunicare notizie (per intenderci,nella televisione i notiziari), ma i anche i momenti di approfondimento (come i talk show), i contenitori e gli “svaghi” comunque collegati alla realtà (i varietà della domenica, per esempio).
I soggetti comunicatori dell’informazione non sono solo i singoli nella loro individualità (il giornalista, lo speaker), ma anche le organizzazioni nelle quali operano (la testata, la rete televisiva) e i riferimenti di queste (il tycoon privato, l'emittenza pubblica, la parte politica, la fede religiosa).
Altro sotto-quesito: la correttezza riguarda il prodotto finale fornito dai canali di informazione nel loro complesso?
E, in tal caso, quale rilievo ha la disponibilità di plurime fonti di informazione da parte dello stesso soggetto?
Oppure riguarda il prodotto proposto da ogni singolo comunicatore nella sua particolarità – separata da quel che viene proposto dalle altre, presenti contemporaneamente nello stesso tempo e nello stesso luogo?
E questo quesito implica, a sua volta, che si chiarisca il significato della parola correttezza riferita al prodotto dell’informazione.
Se, quindi, questa corrisponda al riferire i fatti nel modo più obiettivo possibile; oppure coincida con l’astenersi dall’interpretarli secondo il proprio punto di vista; o ancora significhi evitare di renderli strumento dei propri obiettivi, di riferirli in modo distorto o parziale; di stravolgerli o addirittura inventarli.
E richiede ancora che si capisca se la correttezza riguardi anche il rispetto delle proporzioni nella comunicazione di notizie diverse che riguardino lo stesso tema (per esempio, nel campo della sicurezza, tra i misfatti attribuiti a stranieri e quelli attribuiti a cittadini).
Il passo successivo consiste nel domandarsi come l’informazione, dove non lo è, possa cambiare per diventare corretta.
Si tratta di individuare la strada percorribile, verificando se debba riguardare la proprietà, la direzione o il singolo giornalista; se attenga al campo della deontologia, delle regole dell’amministrazione, dei precetti penali; se passi attraverso suggerimenti, indicazioni, prescrizioni o sanzioni.
Una volta risolte le questioni che precedono, una volta stabilito se può individuarsi con sufficiente certezza un equilibrio tra i vari elementi funzionale - in linea teorica ad un’informazione coerente e compatibile con la democrazia, è necessario passare a verificare la praticabilità di questo livello di informazione “compatibile”, questione che dipende, però, da un quesito di fondo, di per se stesso assorbente.
È possibile, lasciando invariata la cultura, il modo di pensare prevalente, che l'informazione cambi e diventi corretta?
È un interrogativo che coinvolge aspetti che esorbitano dalla specificità del settore, e riguarda la società nel suo complesso, la sua cultura, il modo di relazionarsi tra le persone.
È un interrogativo la cui risposta rischia di porre nel nulla tutte le questioni precedenti perché il contesto generale, il pensiero prevalente condiziona irrimediabilmente il modo di comunicare, di informare: se questo è correlato a quello al punto che non può cambiare se non come conseguenza del cambiamento di quello, c’è da chiedersi se sia di qualche utilità risolvere prima e in astratto tutte le altre questioni.
In altri termini, è possibile informare in modo del tutto asimmetrico rispetto ai punti di riferimento che fondano ilprocesso di pensiero, di apprendimento e di conoscenza sulla base dei quali costruiamo opinioni e relazioni che ci legittimano nel modello sociale perché generalmente accettati, o è più logico ritenere che l’informazione non conforme a quei punti di riferimento finirà per essere relegata in nicchie tanto difficilmente raggiungibili da essere difficilmente conoscibili?
La risposta è, ovviamente, cruciale.
15 commenti:
Buona lettura!
http://www.centomovimenti.com/2007/dicembre/13_dg.htm
Invito ad integrare quanto prima da altri detto seguendo, se condiviso, quanto appare :
http://italy.indymedia.org/news/2006/09/1145627.php
(.):::::::e segnatamente il punto n° 1 per valorizzare il ruolo del popolo anche
come "potere" da considerare nell'amministrazione della giustizia.
mi sembra evidente, conddividendo quanto scritto nel post, che il nostro NON E' UN PAESE IN CUI VIGE LA DEMOCRAZIA.
Già da giorni scrivevo qualcosa di molto simile su un mio post.
http://sottosoprablog.splinder.com
ciao
Da RETE PER LA CALABRIA di oggi
BUONI E CATTIVI
di Sandro Ruotolo
Devono avere un pò di problemi al Csm.
Quella prima commissione che una settimana fa aveva deciso all’unanimità di aprire l’istruttoria per trasferire d’ufficio il Gip di Milano Clementina Forleo, oggi si è spaccata per Luigi De Magistris, il pubblico ministero di Catanzaro contro il quale lo stesso Csm dovrà esprimersi il 17 dicembre sulla richiesta del ministro di grazia e giustizia Clemente Mastella di trasferire cautelativamente l’ex titolare delle inchieste Poseidone e Why Not nelle quali sono indagati politici calabresi e il presidente del Consiglio Romano Prodi e lo stesso Clemente Mastella.
Oggi i membri della prima commissione del Csm hanno deciso di portare avanti l’istruttoria, verificando se le denunce di De Magistris su presunte collusioni tra politica, imprenditoria e magistratura abbiano o meno un fondamento, anche alla luce delle indagini portate avanti dalla procura di Salerno.
E il 9 gennaio sarà sentito il procuratore capo di Salerno Luigi Apicella. Ma chi è il procuratore Apicella? Torniamo indietro, al 12 gennaio 2005 quando il plenum del Csm decide di archiviare la pratica con la richiesta di presunta incompatibilità ambientale del procuratore Apicella.
Quattordici sì, otto no: Apicella resta a dirigere la procura di Salerno.
Ma di che cosa lo accusavano?
La sezione disciplinare del Csm assolve il 19 marzo 2004 (presidente Emilio Nicola Buccico, l’attuale sindaco di Matera indagato da Luigi De Magistris) l’alto magistrato da vari capi di imputazione:
a) per avere lo stesso, dopo esserne venuto a conoscenza nella qualità di procuratore reggente, rivelato al fratello Giuseppe Apicella l’esistenza di una indagine penale a suo carico, condotta dalla Dia e di una intercettazione telefonica in corso, consentendo al medesimo di informare alcuni coindagati;
b) per essere lo stesso magistrato indagato del reato di minaccia nei confronti del responsabile della Dia di Salerno, reato realizzato mediante un comportamento - articolato in due diversi colloqui - diretto a costringere il medesimo a non svolgere ulteriori indagini sul conto di Giuseppe Apicella;
c) per avere accettato in dono dal direttore di un’agenzia di un istituto di credito (tale Ricciardi) in occasione del natale del 1999, un televisore di elevato valore commerciale, eccedente quello dei regali d’uso per l’occasione, malgrado a carico di detto funzionario risultassero iscritti presso la procura di Salerno, tra il 1995 ed il 2000, cinque procedimenti penali concernenti fatti legati all’esercizio delle sue funzioni.
Per questi stessi fatti il procuratore Apicella era stato indagato dalla procura di Napoli e la sua posizione archiviata dal Gip del tribunale partenopeo.
Nel documento del Csm, una decina di pagine, viene riportata un’intercettazione ambientale. In data 10 settembre 2000 sull’auto di tal Ferraioli, fu intercettato un colloquio tra lo stesso, il fratello del procuratore e tal Antonio Benigno, cutoliano. Benigno:…[rivolto a Ferraioli] “Però, glielo ho spiegato pure al ragioniere [ ovvero all’Apicella Giuseppe] che tieni da riscuotere…indipendentemente dall’aumento del premio, anche qualche altra cosa, comunque non ci sono problemi ragioniere…”
Ferraioli: “Dai, se non ti dice niente… Apicella [rivolto al Benigno] Don Antonio…Infatti, dissi a lui: “non fare telefonate a don Antonio”, perchè io…Mio fratello disse “Vedi che facilmente ti chiama la Dia per quanto riguarda”…
Benigno: “E’ stata intercettata… Apicella:…telefonate che hanno fatto il nome tuo, vogliono sapere di cosa si tratta….Quelli tengono l’intercettazione”.
Ora mi tornano alla mente le parole di una settimana fa della vicepresidente della prima commissione del Csm, Letizia Vacca, che aveva definito “cattivi magistrati” Clementina Forleo e Luigi De Magistris.
Mi chiedo: chi sono davvero i cattivi e chi sono i buoni?
Cosi' scrive Ruotolo: non e' il solo a pensarla cosi', il gioco e' scoperto.
A questo si aggiunge poi il monito del Presidente oggi....
Vi segnalo quest'articolo del 11/12 di Sandro Ruotolo che apre un inquietante (retro)scenario sul nostro caro CSM, e guarda caso va ad intrecciarsi proprio con il caso De Magistris
http://www.sandroruotolo.splinder.com/
Riflessione:
Ho la forte impressione che, per assurdo, la GIP Forleo è penalizzata ancora più di De Magistris in quanto donna (con un percorso lavorativo di carriera e non di casta) in un mondo giuridico prevalentemente maschile. Si sa che per gli uomini (naturalmente quelli che non avrebbero certo diritto a questo titolo), quando vogliono screditare una donna, gli argomenti di forza sono sempre l'instabilità psichica (della serie: quella è matta) o la poca integrità morale (della serie: quella è una p.....). In questo caso la seconda ipotesi non sarebbe stata appropriata, mentre la prima calzava a pennello! Mi sembra di leggere un classico dell’atteggiamento maschilista-corporativo in tutto ciò, o l'ho sognato?
Intendiamoci, è solo una lettura in chiave femminista, e proprio perché non è mia abitudine usarla, mi è affiorata alla mente solo ora quest’idea. Pensate sia infondata?
un saluto a tutti
Cara Cinzia,
anche a me pare che nei confronti di Clementina ci sia, oltre ad altre cose, anche una componente di deprecabile maschilismo.
Un caro saluto.
Felice Lima
Grazie dott. Lima,
mi conforta molto sapere che una persona (uomo a pieno titolo) autorevole e preparata come Lei, che peraltro stimo molto, avvalori la mia tesi con la sua condivisione.
Lasciate il "maschilismo" e "La Pretora" (con Edwige Fenech...) ai sessantenni: forse Cinzia non sa che oggi la maggioranza dei vincitori del concorso in magistratura è composta da donne !
Per Anonimo delle 22.38.
Gentile Lettore,
credo lo sappia anche Cinzia.
Mi permetta, però, di farLe notare che la questione è:
1) che il fatto che la maggioranza dei vincitori del concorso di magistratura sia oggi composta da donne non vuol dire affatto che la magistratura non abbia in sé ancora parecchio maschilismo.
L'intero Paese, poi, è, a mio modesto parere, profondamente e gravissimamente maschilista e sarebbe bello animare anche in questo blog un dibattito su questo. Pensi che nel lavoro privato le donne hanno, a parità di mansioni, stipendi inferiori del 30% rispetto a quelli degli uomini (ma è solo uno dei mille profili di discriminazione inaccettabile);
2) che addosso a Clementina danno i politici, i giornalisti e tanti altri rispetto ai quali il numero di donne vincitrici del concorso di magistratura resta indifferente.
Dunque, sul punto, come su tante altre idee, io resto con Cinzia.
Un caro saluto.
Felice Lima
Sì, forse ha ragione...credo che se Clementina si fosse chiamata "Clemente" probabilmente il risultato sarebbe stato diverso... !!!
Se mi permettete, vorrei aggiungere che
in questo quadro non era mia intenzione escludere l'atteggiamento maschilista delle donne (vedi la Vacca) che è il peggiore,
anche da sopportare (almeno per me in
quanto donna).
Ci sono “donne” che raggiunte posizioni
di potere, sempre state per definizione maschili, per sentire affermata la propria autorità assumono comportamenti sulla scia degli uomini, aggiungendo a questo il peggio del femminile e non ultimo anche una frustrazione archetipica (se mi passate il termine), prodotto dell'interiorizzazione
di un ruolo subordinato all'uomo da sempre;
risultato: una miscela velenifera.
Per assurdo questo veleno è usato
più sulle proprie simili di genere
che non sugli uomini, chissà perché!
Io qualche idea ce l’avrei, ma non voglio
azzardare oltre, d'altronde non sono né
una psicologa, né tanto meno una sociologa
e le mie sono solo idee frutto di esperienze personali.
un saluto a tutti
Scusate la digressione, ma vorrei rispondere a Cinzia.
E' ovvio perché le donne non legano tra loro: 5.000 anni di "storia" e qualche decennio di "potere femminile" sono troppo pochi per eliminare del tutto 200.000 anni di esistenza della nostra specie (homo sapiens sapiens), o addirittura i milioni di anni di esistenza di specie pre-umane estinte, durante i quali la donna ha sempre cercato di appropriarsi in via esclusiva di un uomo che le potesse fornire cibo e, soprattutto, protezione durante la gravidanza e l'allattamento !
Ecco perché le donne ben difficilmente "legano" tra loro, a differenza degli uomini:
la donna vede nell'altra donna essenzialmente una rivale, l'uomo, invece, vede nell'altro uomo un possibile compagno di caccia !
Questo è scritto nei nostri cromosomi, e potrà mutare solo seguendo i tempi naturali dell'evoluzione, assai più lunghi della storia e della cultura di una specie.
Nel nostro piccolo, crediamo di aver ideato uno strumento per la tutela della libera formazione della volontà dell'elettore prima del voto.
Si tratta di uno strumento GRATUITO con cui l'elettore che, prima del voto, voglia essere veramente informato, può diventarlo e, in ogni caso, può procurarsi DA SOLO ulteriori dati oggettivi con cui esercitare il suo diritto di elettorato attivo.
In breve, con il nostro strumento, l'elettore può davvero scegliere il “partito”, la parte, lo schieramento, la persona "che si trovi in sintonia con le proprie idee, collocazioni e finalità, e che sia in grado di rappresentarle".
Si tratta, soprattutto, di uno strumento che può essere utilizzato direttamente dall'elettore, senza necessità di delegare (come, ad esempio, accade con la c.d. par condicio).
Si tratta, del PROTOCOLLO C3.
Per studiarlo è sufficiente navigare sul sito www.protc3.org.
Attendiamo suggerimenti e/o critiche dagli illustri giuristi che leggono questo blog.
ASSOCIAZIONE PROTOCOLLO C3
Roma
Vorrei rispondere al sig. Anonimo che trovo la sua anlisi certamente esatta dal punto di vista biologico, ma un po' troppo semplicistica. Ad oggi siamo così intasati di sovrastrutture psichiche, le quali prendono tante di quelle forme nevrotiche, da essere difficile e superficiale generalizzare, figuriamoci semplificare. Sono certa che alle radice dei nostri comportamenti ci sia molto dei nostri ruoli biologici, ma se fosse semplicemente una lotta di genere sarebbe molto più facile da gestire. Comunque, volendo, si può anche vederla come la vede lei però a me sembra di fermarmi solo al primo piano di un grattacielo. Il piano più basso è sicuramente il più profondo e basilare, ma per vedere la struttura bisogna prendere le distanze e guardare tutto nel suo insieme, pur tenendo conto dei ruoli di ogni piano e delle connessioni tra di loro.
Penso anche che così come è stato per il nostro pianeta, che in questo ultimo secolo ha subito un'accellerazione di mutamento, allo stesso modo anche per le nostre menti sia avvenuta la stessa cosa. Ma è un discorso lungo ed io non sono brava come molti degli autorevoli frequentatori di questo blog nell'esporre il mio pensiero.
I miei saluti a tutti
Cara Cinzia,
Lei ha ragione quando afferma che l'analisi è superficiale. Ovvio che sia così, non si può scrivere un trattato in poche righe...
Mi creda, però, quando Le dico che le "sovrastrutture" (di infausta marxiana memoria....) e le scale di valori, più o meno faticosamente costruite ed elaborate nel tempo, verrebbero rapidissimamente meno qualora l'ambiente nel quale viviamo cambiasse in modo inaspettato e repentino.
La mente, cara Cinzia, non segue l'evoluzione della scienza, ma quella della natura: se Lei prendesse un uomo del Neolitico sin da bambino e lo facesse crescere nel nostro tempo, non noterebbe alcuna differenza con i ragazzi di oggi !
Le scale di valori cambiano secondo la struttura sociale nella quale si vive. Occorre, però, ricordare che il cervello dell'uomo, che è la fonte prima di tali valori, non cambia altrettanto velocemente.
E ricordare anche che molto spesso quello che oggi appare come una "conquista" o, peggio ancora, una verità assoluta e immutabile, è soltanto il prodotto di una serie di circostanze e di condizioni storiche, venute meno le quali anche il prodotto si dileguerebbe come neve al sole.
Ma alcuni essenziali bisogni dell'uomo, tra i quali non ultimo il bisogno di giustizia, troverebbero comunque altre forme e altri modi per esprimersi. Ne sono convinto.
Posta un commento