giovedì 12 settembre 2024

Pretesto anonimo.




Alla fine, con voto segreto, la consigliera superiore Rosanna Natoli è stata sospesa dall’incarico. 

Ciò perché è stata avviata nei suoi confronti un’indagine penale con l’accusa di aver rivelato notizie segrete riguardanti la decisione di un processo disciplinare contro un magistrato. 

Sfociato in una sanzione più grave di quella preventivata, sol perché la difesa di quel magistrato era stata ritenuta troppo aggressiva, tema peraltro rimasto occulto perché mai fatto oggetto di contraddittorio né riconoscibile dalla motivazione della sentenza. 

Ipotesi che, a prima lettura,  era apparsa talmente  assurda da non meritare credito.

La sanzione (civile, penale, disciplinare) è collegata all’addebito del quale si risponde, mai alle modalità della difesa dell’incolpato, sebbene sgradite al giudice. 

Invece il CSM col voto senza volto di ieri ha accreditato proprio la veridicità del racconto della consigliera sospesa. 

Ben ventidue consiglieri superiori  hanno ritenuto l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio credibile e non manifestamente infondata. Tra quei ventidue anche (alcuni o tutti) i colleghi del collegio disciplinare del quale faceva parte la consigliera troppo loquace. 

Un’autorevole conferma che il racconto della Natoli non fosse campato in aria. 

Di questo deve oggi prendersi atto.

Perché se, al contrario, il racconto della Natoli fosse stato frutto di sola fantasia nessun segreto sarebbe stato rivelato. 

Di tanto,  almeno alcuni dei ventidue votanti anonimi, dovevano avere consapevolezza certa, perché loro erano  parte del collegio i cui segreti s’ipotizzano rivelati. 

La legge del 1958  - applicata dal CSM come se nulla fosse cambiato da quell’epoca ad oggi  - lega indissolubilmente la sospensione del consigliere superiore al procedimento penale e quindi al reato che ne è oggetto.

E’ impensabile che si possa deliberare la sospensione di un consigliere superiore senza compiere almeno  un vaglio di verosimiglianza dell’addebito penalistico, che altrimenti la legge del 1958 non avrebbe subordinato l’esercizio di quel potere alla sottoposizione ad un procedimento penale, se non riducendo quel presupposto a mero pretesto per far pagare all’interessata colpe diverse da quelle di rilievo penalistico.

E se le colpe non sono quelle ipotizzate dalla procura della Repubblica che accusa la consigliera Natoli si è al cospetto di una vendetta, per giunta coperta dall’anonimato di chi l’ha compiuta, non dell’applicazione della legge. 

La dimostrazione logica? 

Se la consigliera Natoli nella confabulazione  registrata a sua insaputa non avesse fatto riferimento al tema della sanzione inflitta,  nessuna rivelazione del segreto d’ufficio sarebbe stata ipotizzabile con la conseguenza che mai poteva essere iscritta nel registro degli indagati per quell’ipotesi  né il Consiglio Superiore sospenderla. 

Le due cose, quindi, stanno o cadono insieme.

Il Consiglio Superiore ha ieri certificato la verosimiglianza non solo della  rivelazione del segreto d’ufficio ascritta alla consigliera sospesa, ma anche  del vendicativo esercizio del potere punitivo ad opera del giudice disciplinare dei magistrati. 

A ciascuno la scelta di guardare il dito o la luna.
  

  




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