di Nicola Saracino - Magistrato
Per mezzo secolo una legge liberticida ha leso i diritti fondamentali dei cittadini.
Il trattamento sanitario obbligatorio, al quale si ricorre quando la persona in stato di alterazione psichica necessita di cure che rifiuta, non poteva essere disposto senza che un giudice avesse sentito l’interessato.
Ciò perché la costrizione implica un’ovvia compressione della libertà personale sì da suggerire l’adozione di garanzie analoghe a quelle previste per chi sia accusato di un reato o sospettato di volerne commettere o per chi sia in procinto di essere allontanato dal territorio italiano non avendo i requisiti per permanervi.
Del resto, ricorda la Corte (sent. n. 76/2025), l’esame della persona è previsto nei procedimenti di interdizione, di inabilitazione ed in quelli per la nomina di un amministratore di sostegno.
Anche l’Europa ha, infine, raccomandato il massimo rispetto per i diritti fondamentali dell’individuo.
E ci mancherebbe.
Di qui lo sventurato maquillage dell’art. 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 che non a caso era inserito nel corpo normativo dedicato all’Istituzione del servizio sanitario nazionale; vi si parlava di salute in favore dei cittadini, non contro di loro.
Se qualcuno viene arrestato deve essere condotto dinanzi al giudice per la convalida dell’arresto: la persona, solitamente cosciente e consapevole, esporrà la sue difese con la necessaria assistenza di un avvocato e si discuterà di fatti e di “diritto”: non sono stato io, non volevo farlo, sono stato costretto dalla necessità, la cosa rubata era in realtà mia.
Si noti che se l’arrestato non dovesse essere capace di sostenere l’interrogatorio per infermità mentale non vi si potrà procedere (art., 71 cpp), proprio perché oggetto di quel giudizio è altro dal tema dell’incapacità (la responsabilità penale), così come nel trattamento sanitario oggetto della valutazione è la necessità di cura immediata.
Nel caso di uno straniero in procinto di essere espulso l’oggetto dell’esame saranno le condizioni previste dalla legge per il suo allontanamento e l’esistenza di eventuali eccezioni (ad esempio la persecuzione politica in patria).
Di cosa si discute, invece, quando sia in gioco la proposta del Sindaco, dietro suggerimento medico, di disporre un trattamento sanitario obbligatorio? Ma della diagnosi effettuata da un medico, per l’appunto.
Né il “paziente” né il giudice hanno le competenze per smentire quella diagnosi ed evocare il giudice come il “peritus peritorum”, vale a dire il più esperto tra gli esperti in ogni materia, equivale ad affidarsi alla magia (nera o bianca che sia), opzione che nulla ha di “scientifico” e preoccupa se ad essa si consegna il bene della salute del paziente (art. 32 Cost.).
Tutto ciò, si noti, deve avvenire in tempi ristrettissimi, in poche ore da quando il soggetto sia stato ricoverato: il che vuol dire che non sarà condotto dinanzi al giudice, ma che un giudice dovrà recarsi presso il luogo di cura.
Insomma, questo intervento della Corte Costituzionale implicava la predisposizione di una struttura giudiziaria capace di affrontare i nuovi compiti, con risorse persino superiori a quelle riservate alla materia penale, non foss’altro perché gli arrestati vengono “condotti” dinanzi al giudice in tribunale mentre i malati si trovano negli ospedali, in diversi ospedali delle città, e per ciascuno di essi dovranno spostarsi giudici e cancellieri con autoveicoli di servizio.
Un Legislatore attento prima di prevedere simili adempimenti si sarebbe occupato dei mezzi.
Ma la Consulta evidentemente prescinde dai problemi terreni ed in questo caso ( a differenza di altri) non ha dato il tempo al Legislatore di adeguare la legge.
I paragoni effettuati per parificare il trattamento sanitario obbligatorio ad altri procedimenti nei quali l’esame dell’interessato è già previsto non hanno molto senso: il giudizio per l’interdizione, quello di inabilitazione e quello per la nomina di un amministratore di sostegno non hanno i tempi contingentati come la convalida del TSO, essi si svolgono nel tempo richiesto dagli adempimenti necessari od anche solo opportuni, senza che la decisione debba intervenire in tempi prestabiliti.
Se vengono in discussione problemi tecnici il giudice potrà avvalersi di consulenti competenti, senza imporre il proprio sapere in campi diversi dal diritto; egli è perito tra i periti, ma solo nel senso che quando più siano le posizioni tecniche che si confrontano è chiamato a scegliere la più convincente; mai nel senso che il giudice possa sovvertire un giudizio di carattere scientifico sulla base di cognizioni che non ha.
Ce lo chiede l’Europa.
Sorprende, infine, la spendita dell’argomento “europeo” perché alla Corte non era stata prospettata la questione dell’inadempimento dei trattati internazionali posto che in tali eventualità spetta al Legislatore adeguare la normativa interna a quella comunitaria, non certo alla Corte Costituzionale, omisso medio, per giunta a fronte non già di direttive vincolanti ma di un mero “report” di un Comitato per la prevenzione della tortura del marzo del 2023 .
In quel report veniva segnalata preoccupazione perché “il giudice tutelare non incontra mai il paziente di persona.” Si tratta di una preoccupazione alquanto decentrata, perché il paziente ha bisogno del medico, non del giudice. Quel che conta è la possibilità di fare ricorso al giudice se si ritiene il trattamento sanitario non giustificato e per stabilirlo occorrerà una valutazione prima medica e soltanto dopo giuridica. E quel rimedio già esisteva.
Si tratta, all’evidenza, di garanzie fantasma che non prevengono remote ipotesi di abuso in materia di cura della salute, soprattutto se l’intervento del giudice viene costretto in tempi incompatibili con un qualsiasi assennato giudizio.
Le mancate convalide dei TSO ci saranno. Non perché il giudice tutelare andrà contro il parere del medico, ma perché non sarà possibile assicurare il rispetto di adempimenti a questo punto meramente burocratici innestati in una procedura da completare in termini di ore. Un pessimo risultato.
In definitiva la decisione della Consulta, senza introdurre sostanziali garanzie per i cittadini, rischia di creare caos in un settore molto delicato qual è la tutela della salute degli individui ergendo il giudice a medico e c’è solo da sperare che mai nessuna toga abbia la presunzione di indossare il camice e quindi di sovvertire la diagnosi e la terapia suggerite dal medico.
Nel frattempo, questo è certo, sindaci, medici e giudici sono alle prese con il più grande caos organizzativo mai creato da una sentenza adottata in Consulta.
Si pensi all’impraticabilità della consulenza tecnica perché il giudice possa esprimere una valutazione consapevole; all’assenza della difesa tecnica laddove la Corte evoca proprio il diritto di difesa; alla necessità di reperire interpreti laddove il paziente sia uno straniero.
Gli evidenti limiti di “ragionevolezza” dell’assetto imposto dalla Corte Costituzionale alla materia dei trattamenti sanitari obbligatori difficilmente potranno essere superati dallo stesso “giudice” che vi ha dato causa.
C’è quindi solo da sperare in un tempestivo intervento normativo che metta ordine nella delicatissima materia.
Continua - Leggi tutto l'articolo