martedì 11 dicembre 2018

L'ANM invecchia, ma non impara

di Andrea Reale 
(giudice del Tribunale di Ragusa )
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Nel 2019 l’ Associazione nazionale dei magistrati spegnerà 110 candeline, essendo stata fondata nel 1909. Di solito con  l’età  si acquistano esperienza e saggezza.
Non è il nostro caso, purtroppo.
L’esperienza avrebbe dovuto insegnare alla nostra associazione, ad esempio,  che la prima battaglia da combattere era  quella contro il profondo conflitto di interessi che la anima.
Non si possono effettivamente perseguire gli scopi sanciti nello Statuto, se si mantengono stretti i lacciuoli con chi ‘governa’ la magistratura.
Non è pensabile che si possa davvero essere contraddittori di chi non è altro da te.
Le correnti della magistratura, che naturalmente animano la vita all’interno dell’Anm, hanno occupato tutti gli spazi del c. d. autogoverno, facendo taluno parlare di "sindacato giallo" (ossia di quella organizzazione sindacale che si ritiene di fatto asservita al datore di lavoro o ad altri soggetti, i cui interessi sono contrapposti a quelli dei lavoratori).
Il travaso dei dirigenti dell'ANM verso il CSM è praticamente una costante e il ruolo di "consigliere" viene vissuto come una logica prosecuzione dell'impegno, per così dire, associativo. Niente di più innaturale e di deleterio, avendo ciò di fatto annullato qualsiasi capacità di concreta interazione dialettica tra le due soggettività, portatrici di interessi diversi.
Da anni sono state poste in essere diverse azioni, anche normative, volte a purgare il CSM dall'asfissiante, e troppo spesso lottizzatoria, divisione per gruppi dei suoi componenti togati, attesa la sua natura di organo di garanzia e di ente garante, nella massima espressione, dell'imparzialità e dell'indipendenza interna ed esterna dei magistrati.
Proprio l'esperienza avrebbe dovuto insegnare che il rimedio all'uso strumentale dell'ANM per favorire "carriere parallele" andasse rinvenuto in una netta differenziazione dei due ambiti di azione e di percorso.
Nel 2010, dopo discussioni portate avanti da anni, iniziò ad assumere concretezza la previsione di incompatibilità tra incarichi associativi e istituzionali. Tutte le componenti dell'associazione erano convinte - o, quanto meno, dicevano di esserlo - della necessità di una riforma dello statuto in questi termini.
Furono elaborate due proposte, denominate "A" e "B", diverse con riferimento al contenuto e alla platea dei soggetti che avrebbero dovuto, per disposizione dello Statuto dell'ANM, essere interdetti dall'immediato passaggio da una funzione associativa ad altre di diversa natura (amministrative, politiche, istituzionali di governo dentro il CSM).
L'assemblea che avrebbe dovuto decidere, tuttavia, non trovò una maggioranza assoluta su una delle due proposte: i sostenitori della "A" non votarono la "B", ritenuta troppo rigorosa; quelli della "B" non votarono la "A", perché ritenuta all'acqua di rose e una finta soluzione.
Ebbene: invece che insistere e cercare di ridiscutere e trovare una soluzione, la decisione dei vertici dell'ANM fu quella di mettere del tutto da parte la questione, perpetuando negli anni successivi il solito e diffuso meccanismo degli improvvidi passaggi dall'una all'altra "carriera".
La saggezza avrebbe dovuto indurre la nostra associazione a tentare di emendare i propri difetti e di fare una sana autocritica, specialmente dopo che gli stessi iscritti avevano chiaramente espresso la loro volontà nella forma più democratica esistente (ossia tramite referendum).
Nel 2016 più della metà dei magistrati italiani, recatasi a votare, aveva, con una schiacciante maggioranza di voti, sollecitato i dirigenti associativi a concentrare  massima attenzione alle concrete condizioni di lavoro ed ad una intensa azione di sostegno sindacale a fianco dei singoli magistrati (per carichi di lavoro, responsabilità civile dei magistrati, ferie, piante organiche e carenza di organico del personale amministrativo).
Da decenni, inoltre, l’ANM è incapace di fornire concreta tutela ai suoi iscritti in caso di malattia ( anche per patologie gravi), ovvero il rispetto di elementari garanzie di sicurezza e salubrità dei luoghi di lavoro, ovvero, più banalmente,  di pretendere una riforma normativa che consenta la deducibilità fiscale dei più indispensabili strumenti di lavoro dei magistrati (codici, toga, riviste o testi di aggiornamento professionale).
Invece questa ANM continua a preferire una funzione di interlocutore “politico” del Governo e degli altri operatori della giustizia (diversi dai magistrati), nonché di fedele alleato del CSM, trascurando, per non dire obliterando, la tutela degli interessi morali e materiali dei rappresentati, il prestigio e il rispetto della funzione giudiziaria.
Proprio questa ottusa  chiusura alle esigenze della base,sempre più assillata da insostenibili carichi di lavoro, la maliziosa omessa convocazione di assemblee, il voluto sottrarsi ad ogni confronto aperto con la “base”, oltre che una cieca intransigenza ed indifferenza nei confronti di proposte alternative, capaci di disarticolare le cause del problema, costituiscono le piaghe che stanno diventando cancrena del funzionamento democratico dell’associazione dei magistrati e che ne hanno messo in crisi la funzione e la credibilità.
L’ANM che sottrae al dibattito assembleare o al confronto democratico le tematiche che la maggioranza degli iscritti ha chiesto di porre al centro della sua attività tradisce i suoi scopi statutari.  
Altro che festeggiare il centodecimo anniversario. Ci sarebbe, semmai, da registrarne la morte cerebrale ed impegnarsi in una rifondazione del soggetto associativo, cercando di raccogliere  dalla migliore esperienza della ormai comatosa ANM il  lascito derivante da uno statuto ancora capace, in astratto, di guidare verso la effettiva attuazione dei valori costituzionali della giurisdizione.

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