lunedì 19 ottobre 2020

Com'è profondo il mare ?


di Clementina Forleo - Magistrato

Com’è noto, l’art.4 lett d) d. l.vo n.109 del 2006 relativo agli illeciti disciplinari dei magistrati, tipizza come tale “qualunque fatto costituente reato idoneo a ledere l’immagine del magistrato, anche se il reato è estinto per qualsiasi causa o l’azione penale non può essere iniziata o proseguita”.

In base a tale disposto la Procura Generale presso la Corte di Cassazione aveva sostenuto l’accusa nei confronti del P.M. capitolino Desirèe Digeronimo, “rea” di aver pubblicato sul social network facebook un breve scritto dal tenore inequivocabilmente ironico, ritenuto tuttavia lesivo della reputazione dell’allora sindaco di Roma, Ignazio Marino. Nello specifico, nel testo incriminato l’avverbio “beatamente” compariva connotato da una parentetica “o” tra le lettere “a” e “t” dello stesso con ciò appunto ironizzandosi su condotte tenute dal primo cittadino della capitale.

Il sindaco Marino non solo non aveva querelato il P.M. Digeronimo, ma venuto a conoscenza dell’avvio di un procedimento a suo carico, aveva fatto pervenire alla Commissione disciplinare  una missiva in cui asseriva di non essersi sentito offeso da detto “post” attesa la sua natura inoffensiva, riconosciuta dunque anche dal diretto interessato.

La Commissione disciplinare aveva pronunciato sentenza di assoluzione della collega per “scarsa rilevanza” del fatto ai sensi dell’art.3 bis del citato decreto.

Senonchè l’organo dell’accusa, rappresentato nella circostanza dal dr Mario Fresa – noto per aver rappresentato tale organo anche in altri e più complessi procedimenti disciplinari oltre che per essere stato componente del Csm - evidenziava, rimarcava e insisteva sul particolare vulnus che l’incriminato scritto aveva recato ai doveri di sobrietà e correttezza che devono connotare l’operato del magistrato anche al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni. Aveva dunque impugnato tale sentenza di assoluzione e di seguito veniva condannata alla sanzione dell’ammonimento.

Vi è da pensare che il caso Digeronimo non sia il solo per il quale la Procura Generale, e in particolare il dr Fresa, sia stata così rigorosa nell’interpretazione di detti doveri del magistrato, a meno che non si voglia pensar altro: del resto, come diceva qualcuno, “il pensiero è come l’oceano e non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare”.

A seguito di tali accadimenti, e in particolare nello scorso mese di aprile, vari organi di stampa davano conto di una denuncia sporta nei confronti del dr Fresa dalla moglie dello stesso. Secondo quanto riportato in maniera dettagliata dai media che si erano occupati dell’accadimento, la donna aveva riferito di maltrattamenti psicologici e fisici da parte del coniuge che si erano perpetrati da quando aveva scoperto che lo stesso aveva un’altra donna; a quanto pare non l’unica, secondo il racconto della denunciante. In particolare, in più occasioni, l’uomo l’avrebbe umiliata accusandola di mettersi in competizione con “l’avversaria”, giungendo a percuoterla anche in una camera d’albergo ove nella circostanza si trovavano. Le percosse erano continuate sino a quando, in data 10 marzo, presente la domestica della coppia, l’uomo le aveva sferrato un pugno all’altezza della tempia cagionandole un vistoso ematoma, come tale refertato dai sanitari del Pronto Soccorso ove la donna si era subito recata.

Ne era seguita denuncia ai competenti organi e in essa erano state anche rappresentate pregresse pressioni, provenienti da colleghe del dr Fresa, finalizzate a scongiurare segnalazioni della “difficile” situazione familiare e dunque conseguenti strascichi sull’immagine e sul futuro professionale del noto magistrato.

A seguito di tali notizie di stampa si è solo appreso che dopo tale denuncia e il relativo risalto mediatico, il dr Fresa veniva assegnato - sempre nel medesimo ufficio - a funzioni diverse, esulanti dunque da quelle di accusatore in altrui procedimenti disciplinari.

Altro non è dato sapere del destino del dr Fresa.

Diviene quindi d’obbligo chiedersi se anche nei suoi confronti sia stata avviata azione disciplinare in virtù della citata norma e dei principi che lo stesso aveva invocato per il certo più banale “incidente” che aveva inciso sulla carriera della collega da lui accusata.

A questo punto vale la pena riallacciarsi ad un interessante e recente intervento apparso sul quotidiano “La Verità” in data 12 ottobre a proposito di quanto accaduto all’indagine innescata a Perugia sul dr. Luca Palamara a causa delle indebite, anticipate e parziali divulgazioni da parte di alcune testate giornalistiche.

Sono convinta - ma rimane evidentemente una mia intima convinzione - che chi ebbe a troncare il fisiologico corso dell’indagine perugina, svelando anticipatamente solo spezzoni di quanto sino a quel momento venuto alla luce, aveva una finalità precisa.

Sarà la storia a giudicare l’utilità e le conseguenze di tale operazione, atteso che i suoi promotori, organizzatori e partecipi non potevano immaginare l’effetto boomerang scaturito da quelle illecite anticipazioni: l’imprevedibile conservazione, nell’apparecchio cellulare sequestrato al dr. Palamara, di migliaia  di messaggi intervenuti tra lo stesso e “insospettabili” personaggi che con lo stesso si incontravano non all’Hotel Champagne di notte ma al “solito posto” in ore diurne (a “controra” si direbbe nel Sud d’Italia) per concordare promozioni di amiche o amanti, o lo contattavano anche per scongiurare (come nel caso del noto contatto intervenuto con la dr.ssa Anna Canepa detta “Annina”) la nomina di colleghi ritenuti “banditi incapaci”, comunque appartenenti a correnti diverse da quelle di propria appartenenza e poi effettivamente esclusi dagli incarichi cui aspiravano.

In altri termini, l’alea di imprevedibilità che connota anche l’agire umano ha fatto a un certo punto irruzione sulla scena del ”crimine”, portando alla luce documentalmente quello che tutti si immaginavano e “intuivano” ma che non si osava neppure sfiorare nel discettare delle condotte tenute anche dai vertici della magistratura associata.

Di fronte a tale inoppugnabile prova, peraltro portata a conoscenza del comune cittadino, si è stati costretti a fare i conti con il “sistema” che aveva messo sul trono i suoi regnanti.

Credo, ma rimane sempre una mia personale opinione, che la Procura Generale abbia a questo punto il dovere di chiarire le determinazioni assunte nei riguardi dei numerosi magistrati che contattavano il dr. Palamara per chiedergli i favori e per prospettargli le situazioni su cui lo stesso poteva incidere e che abbiamo avuto modo di conoscere per tabulas.

Tanto lo si deve a tutti i magistrati, e non solo per coerenza con il modus operandi adottato per i fatti inizialmente trapelati attraverso le suddette propalazioni giornalistiche, ma anche per meglio lumeggiare i criteri utilizzati per “direttive” che hanno portato a selezionare la sfera dell’illecito da quella del fatto non ritenuto tale atteso che -  deve presumersi sino a prova contraria – tali “direttive” sono chiamate ad operare anche in ordine a condotte future.

Lo Stato di diritto è strettamente correlato, com’è noto, al principio di legalità: ciascuno deve poter esattamente conoscere le conseguenze sul piano giuridico del suo agire, a prescindere da valutazioni in termini di opportunità e convenienza, etica o altro.

Si chiede dunque chiarezza, oltre che la consueta coerenza, al dr. Giovanni Salvi: dopo la famosa conferenza stampa sui fatti dell’Hotel Champagne, renda noto chi altri sia stato accusato per quello che è emerso e chi invece sia rimasto immune da censure, specie se questi ultimi rivestano ruoli di primaria importanza nell’organigramma del Potere giudiziario.

Tanto, soprattutto, per evitare di finire – a causa di altri Mario Fresa che per disgrazia dovessero affacciarsi sulla scena dell’accusa - nei panni di incolpati e condannati per fatti analoghi a quelli che, secondo tali “direttive”, siano stati ritenuti di scarsa o di nulla rilevanza.

 

2 commenti:

Unknown ha detto...

Quanto scrive coraggiosamente la dressa Forleo a proposito del magistrato di Roma pervicacemente messo sotto inchiesta e alla fine sanzionato (ammonito) dal magistrato (Fresa) della Procura Generale. per un commento ritenuto censurabile sulla vicenda Marino, in fondo non stupisce. Non stupisce nemmeno che la vicenda Palamara sia finita nel modo a dir poco vergognoso, in cui e' finita, almeno al CSM E non stupisce nemmeno che la Stampa del caso Palamara abbia riferito poco e niente. Per quanto mi risulta sono molti anni che il CSM (sanziona) soprattutto magistrati scomodi, salvandone troppi veramente indifendibili. Quando i rapporti fra potere politico e vertici giudiziari che ovviamente devono e non possono non esserci, diventano costanti continui (organici). Allora il legame diventa incestuoso con tutto quello che ne consegue e puo' stupire solo i farisei. Per quanto mi riguarda nel mio piccolissimo mi assocero' ad ogni iniziativa di denuncia deciderete di promuovere in tal senso. Giammauro PASQUALE Genova

Unknown ha detto...

Condivido in toto lo scritto della collega. Compreso l'invito finale alla chiarezza rivolto al Procuratore Generale giacché mai come ora il discrimine tra consentito e non consentito sotto il profilo disciplinare deve risultare assolutamente inequivoco in modo che la discrezionalità del giudicante non sfoci in arbitrio.