di Andrea Mirenda - Magistrato
Eccolo qua!
Dopo i consueti sermoni degli illustri pensionati protagonisti del “pensiero unico giudiziario”, da tempo riuniti nella celebre formazione dei Tre Tenori (al secolo Spataro, Bruti Liberati e Caselli), ecco giungere sul giornalone di turno (La Stampa, 17.08.2020) altro infaticabile “ex” che, con divertita iattanza, ci canta i mali che condurranno la magistratura all’implosione.
Per i non addetti ai lavori parliamo del buon Giuseppe Maria Berruti, già nel gotha dei leader di Unità per la Costituzione nonché esponente di spicco di quel “pancorrentismo” che, di riffa o di raffa, ha portato la magistratura nel gravissimo stato di coma morale e deontologico in cui versa.
Il “bravo opinionista”, emulo del bravo presentatore di marca arboriana nonché fratello dell’ottimo Massimo Maria Berruti (di cui possiamo leggere il simpatico ritratto su Wikipedia), è stato dal 1986 al 1990 Magistrato dell'Ufficio Studi del Consiglio superiore della Magistratura e dal 2006 al 2010 Componente del Consiglio Superiore della Magistratura; fino al settembre del 2000 e successivamente fino al 12 marzo 2004, esperto Giuridico della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ai sensi dell'art. 11 della legge n. 287 del 1990, e poi,ancora, Presidente della Commissione del Concorso per la nomina a Notaio, e poi ancora Magistrato componente la "Commissione dei Ricorsi contro i Provvedimenti dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi" (su indicazione del Primo Presidente della Corte di Cassazione), e poi, ancora, dal 25 novembre del 2013, Direttore dell'Ufficio del Massimario della Corte e poi, ancora , il 2 maggio 2014, con decreto del Ministro della Giustizia, Presidente della "Commissione ministeriale per gli interventi urgenti di riforma sul processo civile".
Infine, deposta la toga, il nostro Berruti è ora membro della Consob… per chiamata politica.
Un uomo instancabile, dunque, le cui doti formidabili sono solo pari ad altrettanta carriera, costantemente illuminata dalle luci della ribalta.
Ed è proprio lui, così beneficiato dal destino, che oggi ci ammonisce, a caratteri cubitali, sui rischi che stiamo correndo.
“Così la magistratura rischia l’autodistruzione”, tuona sulle colonne de La Stampa.
Verrebbe subito fatto di dargli ragione, confortati ( si fa per dire…) dalla spazzatura morale che le cronache recenti hanno fatto emergere. Ma certo! Berruti dice il vero! Poi, però, andando a cercare le ragioni dell’ “Armageddon” berrutiano, scompare subito il sorriso, cessa d’un botto il fanciullesco stupore pascoliano, prende il sopravvento la consueta amarissima certezza per cui dalle solite rape non si cava sangue e, men che meno, speranza di salvezza.
Perché, lo confessiamo, letto il titolo, abbiamo pensato, per un istante, che l’illustre di turno, in dissonanza dai “The Retired Swingin’ Trio ” e forte della personale e ben rodata conoscenza degli “interna corporis” (quantomeno della sua corrente, no?), avesse inteso comunicare la propria rimeditazione e, perché no, addirittura la resipiscenza rispetto a quel “sistema” di malaffare che ha visto, vede e vedrà un manipolo di intrallazzoni, spalleggiati da certa politica, nascondersi dietro l’alibi del pluralismo culturale e della (fantasiosa) politicità del CSM per riuscire, da una parte, a giustificare il correntismo e, dall’altra, a genuflettere brutalmente l’intera magistratura. Un sistema, come hanno potuto constatare i lettori dei giornali diversi da Repubblica, Il Corriere e La Stampa, fatto di mercimoni scambistici, di nomine farlocche fondate sui passaparola dei capi bastone locali, di disciplinari ritorsivi contro i colleghi che nell’esercizio del dovere avevano osato sfiorare “santuari” intoccabili, etc. etc. In breve, un sistema di affiliazioni fondato sulla lusinga per i sodali e la minaccia per i cani sciolti…
Non è andata così. Nulla di tutto ciò si legge, purtroppo, nel contributo del nostro opinionista in quiescenza.
Per lui l’Armageddon della magistratura sta, difatti, nella pretesa - stolta e populista - di abbandonare la retta via sin qui percorsa. Perché i mali della magistratura, per il nostro, stanno testualmente nella confusione elettorale di una legge che voleva battere le correnti, nel ruolo del Consiglio Superiore sempre più episodico, nella perdita da parte dei magistrati di ogni stile nelle polemiche, nell’essere venuta meno – grazie alle esecrabili Mani Pulite che “accarezzarono” anche il di lui fratello - l’autorizzazione a procedere per i parlamentari.
Ma non finisce qui! Perché nel severo catalogo berrutiano dei mali della giustizia entra, a pieno diritto, persino la velleitaria pretesa dei giudici di battere la corruzione, da lui seraficamente eretta - udite udite ( sta parlando un ex magistrato) - a “ male inestinguibile” e a “distorto” (bontà sua) “motore economico”. E tanto vale pure il Caso Palamara che - “reati a parte dei quali non so nulla”, come dichiara olimpicamente il nostro Candide, ignaro dell’abuso d’ufficio in concorso - dimostrerebbe semplicemente l’inadeguatezza culturale dei magistrati a fronteggiare l’attuale crisi dello Stato di diritto (un premio a chi ci ha capito qualcosa…).
“ La diffusione di conversazioni private ha dimostrato, niente di meno, che queste scelte sono oggetto di patteggiamenti”, scrive Berruti. Nulla più, dunque, che la banale scoperta dell’acqua calda. Eh sì, perché il nostro opinionista in quiescenza, grazie ai noti occhiali da spia pubblicizzati sulla Settimana Enigmistica, riesce ad intravedere, nelle segrete conversazioni dei consiglieri del CSM con i capi bastone locali del correntume, come pure con la miriade di questuanti di turno oppure con uomini politici che nulla c’entrano con l’attività consiliare, nient’altro che la “valutazione politica delle scelte”. Quella valutazione politica resa ben chiara da Fulvio Baldi, all’epoca Capo di Gabinetto del Ministro della Giustizia e in quota alla medesima corrente del dott.Berruti, che in un’amabile conversazione spartitoria con Palamara, giunse all’icastica conclusione: “ Che cazzo li piazziamo a fare i nostri?”.
Degno delle XII Tavole, infine, l’epilogo di Berruti. Ci piace evidenziarlo con alcuni grassetti apposti al virgolettato: “l’autonomia e l’indipendenza dei giudici è affidata alla discrezionalità dell’organo costituzionale che li governa. L’indipendenza dei giudici sta insieme alla libertà del Consiglio” e il “problema” dell’indipendenza ( che per il dott. Berruti pare essere tale …) si risolve solo limitandolo mediante la sottoposizione dei giudici al Governo ovvero, come appare preferibile nel Berruti-pensiero, affrontandone “il peso” ( sic!) mediante “la necessità della valutazione discrezionale del Consiglio”.
E noi che si pensava che il magistrato fosse soggetto soltanto alla legge; che i magistrati avessero pari dignità tra loro; che si distinguessero solo per funzioni; che l’indipendenza del CSM fosse solo strumentale all’indipendenza del singolo magistrato, l’unica espressamente menzionata in Costituzione…
E allora grazie Giuseppe Maria! grazie di cuore per l’alta lezione impartita! Finalmente usciamo dal buio e possiamo guardare con rinnovata speranza all’avvenire. Con o senza sole…
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