Ammetto che il tema che affronterò di qui a poco potrebbe indurre all’umorismo più di uno smaliziato lettore.
Forse ne abbiamo bisogno in tempi in cui, tra pandemia e guerra, diventa sempre più difficile articolare i dodici diversi muscoli facciali del sorriso.
D’altronde, non era il vecchio Sigmund che assumeva che il sorriso è il risparmio nel mondo economico dei sentimenti?
Si sorride allorché tutte le lacrime possibili sono esaurite.
Va bene… cercherò di non farla lunga con i preamboli e le premesse andando direttamente al punto in cui il mulo ed il magistrato hanno la loro confluenza.
Avete letto bene: questo articolo affronta – senza censure di sorta – un luogo di convergenza etologica mai prima d’ora esplorato.
Non giudicatemi, da subito, irriverente ed eversore dell’ordine giudiziario.
Non sono certo io che ho sollevato l’ardito accostamento, ma, addirittura, l’appena nominato Procuratore della Repubblica di Milano.
Insediandosi nel prestigioso incarico, solo tre giorni fa, Sua Eccellenza ha subito chiarito il punto di vista (molto siciliano) agli interlocutori meneghini.
La frase riportata da tutti i giornali sembra sia stata di questo tenore: “L’animale simbolo del lavoro del magistrato non è l’aquila né il leone, ma il mulo“.
Sicuramente, più di un milanese sarà rimasto di sasso nell’ascoltare e metabolizzare il paragone etologico.
Se non altro perché di quadrupedi ibridi, a Milano, non se ne vedono da molto tempo, mentre in Sicilia questi pazienti animali aiutano (in alcuni paesi delle Madonie) nella raccolta dei rifiuti.
Beh… è possibile che qualcuno, tra i magistrati, possa essersi sentito offeso.
Non certo colui che, in quella stessa sede giudiziaria, usava paludarsi di notte in pelle di volpe con due code.
Però, dobbiamo ammettere che, in un sol colpo, la maestosa natura del rapace e quella regalmente ruggente della criniera felina sono state oscurate dall’altisonante e cacofonico raglio asinino.
Se era un modo per dire che il vero uccello si vede in volo e che non basta fingere di ruggire per sentirsi dei leoni, suppongo che il messaggio sia pervenuto forte e chiaro.
Conoscendo la tempra dell’Eccellente etologo neo-insediato suppongo che molti, in quell’ufficio, dovranno farsene una ragione.
D’altronde – sempre alludendo alle leggi della savana – a volte il leone (quello vero…) deve fare sentire il suo ruggito quantomeno per ricordare alle gazzelle la loro paura.
Tuttavia, da convinto animalista, ci si permetta un suggerimento al capo dell’organo inquirente milanese.
Non vi è una natura etologica che specificamente possa essere accostabile a quella del magistrato.
O, meglio, se può affermarsi – con inequivoca certezza – che i nostri magistrati martiri sono stati aquile e leoni uccisi da sanguinari bracconieri, allo stesso modo può dirsi che altri (tradendo il loro ruolo) sono stati miserabili iene, avvoltoi o serpenti.
In questa giungla, savana o deserto (o come la si vuol chiamare…) della giustizia italiana poi vi sono tanti altri abitanti.
Alcuni sono degli ingombranti ippopotami, altri strani armadilli, altri ancora singolari ed impacciati ornitorinchi.
La nomofilachia, poi, genera comportamenti etologicamente scimmieschi.
Come in ogni eco-sistema, nello zoo della Giustizia italiana vi è di tutto.
Per questo motivo ritengo sia stato inappropriato, per il mulo, formulare il non preciso accostamento…
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P.S. E ci sono tanti struzzi che fanno finta di non vedere la devastazione che le correnti hanno creato nella magistratura...
2 commenti:
Andrebbe precisato che l'uomo ha attribuito all'asino proprie ed esclusive qualità, ignorando quelle vere dell'asino: elevata intelligenza arricchita da profonda sensibilità e altissima dedizione al lavoro. Basta vedere i grandi castelli in cima ai monti che solo l'asino ha consentito di poter costruire. E non cavalli, aquile o leoni.
L’imbarazzo: tra selva, giungla o zoo. È pure successo che una pecora paludata da lupo perché da volpe a due code non avrebbe senso, visto che sono inflazionate come i cinghiali, ha fatto una brutta fine. Magari, da cane sarebbe ancora lì, a intrallazzare a favore delle iene, degli avvoltoi e dei serpenti. Ma soprattutto, a favore dei gattopardi, che non cambiano mai.
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