Il 28 maggio scorso il Comitato Direttivo Centrale della
Associazione Nazionale Magistrati ha diffuso un comunicato/appello (lo si può
leggere a questo link:https://www.associazionemagistrati.it/doc/3571/lanm-sugli-emendamenti-governativi-al-ddl-di-riforma-del-processo-penale-ac-2435.htm), con il quale evidenzia i guasti che potrebbero
produrre gli emendamenti alla cosiddetta Riforma Cartabia, in esame al Senato
nei prossimi giorni.
Il documento del CDC, però, risulta alquanto superficiale,
perché - pur accennando ad una possibile incidenza della riforma sul “senso
autentico dell’architettura costituzionale della giustizia”, per poi
preoccuparsi immediatamente dopo della riforma del sistema elettorale - pare
non cogliere un dato importante ed a tratti eversivo: la maggioranza politica
costituitasi in Parlamento sta modificando l’assetto costituzionale della
Magistratura senza procedere alla indispensabile modifica della Carta fondamentale.
Eppure una piena consapevolezza del problema dovrebbe
indurre, o meglio avrebbe già dovuto indurre, l’ANM ad evidenziare al
legislatore il grave vulnus che la controriforma in discussione arrecherà
all’assetto costituzionale, rendendo probabile. se non addirittura certo, il
ricorso - in caso di sua approvazione – alla Corte Costituzionale.
Ma l’ANM si è ben guardata dal prefigurare una simile
prospettiva alla Signora Ministra, forse per troppa deferenza.
Una analisi più profonda delle conseguenze della riforma
avrebbe invece dovuto portare l’ANM, quantomeno, a:
- mettere in
risalto e denunziare il palese contrasto di alcuni sui passaggi con l’art. 107
Cost., a mente del quale i magistrati si distinguono fra loro soltanto per
diversità di funzioni e il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei
suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario;
- evidenziare
che il sistema di progressione in carriera con concorso per esami è figlio
dell’ordinamento giudiziario disciplinato dal r. d. del 1941, espressione del
regime fascista, nel quale la magistratura si configurava come un ordine
fortemente gerarchizzato, i cui vertici erano nominati dal governo.
E infatti “In quell’epoca i magistrati si
distinguevano per gradi (che, fra l’altro, corrispondevano ai gradi militari)
ed erano considerati “bocche della legge”, puri tecnici che dovevano non
interpretare, ma applicare il diritto secondo il suo unico significato
corretto. Per individuarlo, la selezione dei tecnici “più bravi” anche allora
avveniva attraverso appositi concorsi interni per titoli o per esami, all’esito
dei quali i “migliori” venivano promossi alle Corti di appello, quindi alla
Corte di cassazione, per correggere gli eventuali “errori” dei tecnici di grado
inferiore” (cfr. E. Paciotti su Questione Giustizia n. 1/22).
Il comunicato del 28 maggio quindi non rivela solo mancanza di autorevolezza, ma anche inconsapevolezza della collocazione dell’Ordine giudiziario nel quadro costituzionale, inconsapevolezza che è il frutto avvelenato di uno, a volte strisciante, a volte palese, collateralismo con la politica.
Questo fenomeno, orami radicato da tempo, ha paralizzato l’azione dell’associazione
medesima, togliendole quella incisività che in alcuni momenti storici - ormai
cronologicamente assai lontani – aveva consentito di contribuire all’evoluzione
della cultura istituzionale della Magistratura.
L’Anm si è volutamente auto-relegata alla vicenda dell’Hotel
Champagne, ignorando tanti altri luoghi ove si sono svolte manovre politiche di
bassa lega e di cui molti magistrati hanno beneficiato continuando, anche dopo
che esse erano emerse, ad esercitare le funzioni giurisdizionali senza subire
conseguenze di sorta (disciplinari o penali).
Anche di questi episodi è intrisa la storia della
magistratura italiana ma il comunicato del 28 maggio dimostra di non essere in
grado di leggerle e ricordarle e di non saper nemmeno proporre una linea di
opposizione.
A ben vedere da esso traspare una sostanziale condiscendenza
a quella politica che mira ad attuare una controriforma dannosissima per il
modello di magistrato disegnato dai padri costituenti.
Ciò spiega perché la maggioranza che governa l’associazione
ora preferisca concentrarsi sul tema degli emendamenti al ddl, così dimostrando
di non aver più, o addirittura di non aver mai avuto, intenzione né spinta
ideale per tentare di fermare la contro-riforma, sebbene disponesse degli
strumenti a ciò idonei.
E non ci si riferisce a forme di protesta come la recente
indizione di un giorno di sciopero, peraltro miseramente fallito, quando ormai
la riforma era stata approvata già dalla Camera, ma a proposte per incidere sul
sistema elettorale del Csm.
In tale prospettiva l’Anm, ad esempio, ben avrebbe potuto
proporre a tutte le correnti che la compongono - e, quindi, a se stessa - il
sistema del sorteggio temperato, così da stroncare finalmente l’inveterata e
nefasta prassi della designazione di candidati al Csm che sono espressione di
singoli gruppi di interesse salvaguardando l’indipendenza interna dei
magistrati.
Ed ancora: perché non è chiesto ai magistrati dei vari gruppi
associativi che operano al Ministero della Giustizia, e che hanno collaborato
alla stesura ed alla correzione del disegno di legge, di dimettersi ?
L’aver trascurato anche tale iniziativa, di agevolissima
attuazione, fa ipotizzare che l’operato dei colleghi ministeriali sia linfa
vitale per il mantenimento, la conservazione ed il rafforzamento dello status
quo, ampiamente favorevole alle correnti della magistratura.
2 commenti:
Il sorteggio temperato sarebbe un vero e proprio intervento salvavita in caso di arresto cardiaco.
Il problema per l'ANM è che in questi ultimi trent'anni all'esca della politica ha abboccato voracemente: al ponticello-costituzione, ha lasciato alla politica cavoli e capra, e si è dileguata con il lupo. Ecco: più che crepuscolo del diritto, per tornare al Post di ieri, siamo al funerale dell'ANM.
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