venerdì 26 luglio 2024

Quante volte figliolo?


A fronte della minimizzazione del fenomeno del correntismo tentata improvvidamente dai suoi attuali esponenti per scansare la "mannaia" del sorteggio del CSM, ospitiamo, col suo consenso, una mail di un giovane collega che ha il pregio della memoria.  Francesco Lupia cura un canale YouTube divulgativo sui temi della giustizia. 







 di Francesco Lupia - Magistrato 

Per capire se la degenerazione delle correnti sia o meno un fenomeno circoscritto solo agli ultimi anni ed ai colleghi nei confronti dei quali sono state accertate in sede disciplinare specifiche condotte ad esso relative, credo che il modo migliore sia guardare al passato.
 Potrei citare parecchi articoli giornalistici, ma preferisco riportare le parole spese (o meglio i richiami effettuati) dai vari Presidenti della Repubblica (in qualità di Presidenti del CSM) che si sono succeduti nel tempo.

Li ho tratti da due  articoli (uno  a firma di Alessia Palazzo ed uno a firma di Ermes Antonucci) , ma successivamente li ho verificati.

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giovedì 25 luglio 2024

Stupori




Capita che si stia svolgendo un procedimento penale per verificare o falsificare l’ipotesi che un magistrato abbia indebitamente distrutto dei reperti già utilizzati come prova processuale. 

Al CSM un consigliere laico, Enrico Aimi, si stupisce che a Palazzo dei Marescialli (manco fosse una questura dell’est europeo) non sia giunta notizia ufficiale dei dettagli di quell’indagine penale coinvolgente un magistrato. 

Sillabiamo qui la disciplina di legge. 

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Ventre molle




Approvata ieri dal CSM l’ennesima circolare, questa volta relativa all’obolo per togati. 

Si trattava di stabilire i criteri per autorizzare il collocamento fuori ruolo dei magistrati, chiamati fiduciariamente dalla politica a svolgere funzioni estranee a quelle per le quali lo Stato li ha assunti. 

 Chiamata diretta: senza concorso  e senza alcuna verifica della effettiva sussistenza delle attitudini ai nuovi compiti. Tutto sulla fiducia del politico di turno.  

I vantaggi così conseguibili dalla toga svolazzante dall'aula di tribunale a quella di un gabinetto sono plurimi: di solito si sta a Roma, sede ambitissima; si guadagna di più; le esperienze acquisite senza scrivere sentenze saranno smisuratamente sopravvalutate quando tornerà nei ranghi, il che assicurerà la prevalenza sui magistrati che non lasciano i propri compiti.  Proprio come per i chirurghi:  li mandiamo a scrivere i bugiardini in qualche ministero e poi gli affidiamo i pazienti sul tavolo operatorio.     



Di seguito l’intervento critico del Consigliere Andrea Mirenda che non ha votato quella circolare. 

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La mia posizione culturale sui fuori ruolo già vi è nota e si impronta al massimo self restraint e all’idea del rispetto della separazione dei poteri,  per evitare che si arrivi  a non  capire più chi fa che cosa.

Questa è la sede delle scelte e la proposta in esame le scelte le fa eccome.
E le fa, a mio sommesso avviso, al ribasso, a ventre molle, tutta protesa com’è ad assicurare AGIO agli aspiranti fuori ruolo, commmodities, anziché - come si dovrebbe - mettere al centro l’interesse pubblico all’efficiente  esercizio della giustizia.

QUATTRO RIFLESSIONI

A)
Toccava a noi decidere, per precisa indicazione del legislatore, e SI POTEVA DECIDERE DIVERSAMENTE, se mantenere o ridurre  l’attuale soglia massima di scopertura degli ufficialmente (si è mantenuto il 20% quando poteva seriamente essere il 15 o il 10) ed ancora, è criticabile il fatto che in quella percentuale siano valutati anche i semidirettivi tra le presenze utili al salva-soglia, essendo noto che i dirigenti contribuiscono assai meno al raggiungimento degli obiettivi di performance degli uffici,  per ragioni legate principalmente al - non sempre razionale - sgravio negli affari di cui  godono.
Nel silenzio della norma primaria - che un simile risultato avrebbe consentito - si è è scelta, invece, la soluzione “a ventre molle” che ha incluso nel calcolo, con chiaro easy going, giudici e semidirettivi, omogeneizzati in un simpatico “todos caballeros”…

B) 
appare, poi, assai debole la tutela dell’interesse dell’amministrazione al collocamento Fuori Ruolo, ancora una volta reso del tutto ancillare rispetto a quello dell’amministrazione di destinazione (art.105): nessun riferimento all’idoneità “verificata” del collega chiamato dalla PA, magari con una con una semplice seconda valutazione in tasca, a compiti delicatissimi di law maker o che altro… 
Avevamo chiesto, a  tal fine, di inserire almeno l’audizione dell’interessato e la verifica dei suoi titoli… ma niente… 
Suona quindi paradossale (se non irridente) il comma 4 dell’articolo 105 … che richiede che  l’incarico da conferire abbia caratteristiche di elevato grado di preparazione in materie giuridiche ovvero di particolare conoscenza dell’organizzazione giudiziaria o di esperienza pratica maturata nell’esercizio dell’attività giurisdizionale, senza poi andare a verificare se l’interessato abbia o meno quelle caratteristiche.

C)
anche il nuovo articolo 107 della circolare, nella formulazione che avrà attuazione dal 2026, appare espressione di questa cultura a ventre molle, quella  del “tutti liberi”.
La scopertura di sicurezza del 3% per ogni punto di scopertura nazionale dei posti, è stata portata a 2% per “correggere“ gli effetti della riduzione dei numeri di posti fuori ruolo voluta dal legislatore, nel chiaro tentativo di sminare, diluire e neutralizzare, per quanto possibile, la già molle scelta del regolatore, anziché assecondarla e potenziarla riducendo ulteriormente i posti fuori ruolo rispetto al massimo consentito.

D)
Mi si conceda, infine, di giudicare come “codina” la proposta di emendare l’art. 104 con l’abolizione della lett. d) (lì dove richiede almeno la terza valutazione di professionalità) perché la Cartabia si limitava a prevedere che il magistrato dovesse avere esercitato le funzioni per almeno 10 anni dalla data del loro conferimento, mandando al consiglio di individuare un termine eventualmente superiore, che ora si vuole incomprensibilmente riportare alla seconda valutazione, nella logica del ventre molle che caratterizza questa circolare .

Per queste ragioni, voterò contro l’emendamento e, tuttavia, mi asterrò dall’approvazione della circolare nel suo complesso


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L’Europa sprona l’Italia: sorteggio dei componenti del CSM anche per i non togati e separazione delle carriere estesa a tutte le magistrature.






Abbiamo un problema. 

Nonostante sulla "Carta" (costituzionale) sia proclamata l'indipendenza della magistratura dal potere politico,  i cittadini si sono accorti che così non è. 

Solo il 36% della popolazione ci crede.

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martedì 23 luglio 2024

Alice in wonderland ...









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Solo gli stupidi non cambiano idea




E' di poco fa la notizia della chiusura delle indagini sulla tragedia di Cutro, tante vittime la cui morte oggi si afferma evitabile. 

Da quella tristissima vicenda nacque il cd Decreto Cutro, misura che mirava ad evitare sbarchi pericolosi ma che contraddittoriamente rendeva la vita difficile a quanti avessero toccato, vivi, il suolo italiano. 

Tra quelle misure una particolarmente odiosa.

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Oste, com'è il tuo vino?



In queste ore si svolgono le "audizioni" in Parlamento sulla riforma della giustizia ed in particolare sul sorteggio dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura.

Tra tutti, è il punto chirurgico e nevralgico: col sorteggio del CSM nessuno avvertirebbe più la necessità di separare le carriere,  che nessun PM si sentirebbe protetto dalle alte sfere correntizie al CSM nell'intraprendere iniziative politicamente orientate (ammesso che in questo Paese mai siano esistite, che di "prove" non se ne sono mai raccolte) e probabilmente anche il disciplinare sarebbe gestito meno faziosamente. 

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Procure a gerarchia controllata




Da "Dimensione informazione" un contributo sulla neonata regolamentazione degli uffici di procura.

Non cambia la legge ma a quanto pare cambia il "capo", adesso è il CSM.

    

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domenica 21 luglio 2024

Da il Fatto Quotidiano, intervista a Felice Lima sull'ennesimo scandalo che coinvolge il CSM.




Palamara passa, il sistema resta.  Un'analisi, a prima lettura e salvi gli approfondimenti a venire, condivisibile. Come inquietanti appaiono gli interrogativi sugli scopi dell'inusuale convegno:  non era stato attivato dalla dott.ssa Fascetto che anzi ci andò munita di registratore. Cosa voleva la consigliera Natoli da lei? Per conto di chi?


   da il Fatto Quotidiano del 21 luglio 2024.      

“L’operato di Natoli è di una gravità inaudita”. 

A dirlo è Felice Lima, sostituto procuratore generale a Catania, da sempre lontano dalle correnti e voce fuori dal coro della magistratura.

Lima, il nuovo scandalo al Csm pare un déjà-vu: che idea s’è fatto? Natoli deve dimettersi?

È necessario distinguere le responsabilità personali da quelle “di sistema”, per evitare che le une diventino alibi delle altre e viceversa. L’operato della consigliera è d’inaudita gravità: se non si dimette non soltanto minerà, per il seguito del suo mandato, la sua – ormai inesistente – credibilità, ma anche quella della Istituzione. Come si può lavorare con chi, uscito dalla camera di consiglio, cerca l’incolpata e intavola accordi con lei? Quest’ennesimo scandalo racconta le conseguenze della protervia d’un potere politico che tratta le istituzioni come cosa propria. E ci manda persone scelte con criteri che è un eufemismo definire discutibili. Ma ci dice anche cosa – e come – si fa al Csm. Poi però ci sono questioni di sistema, che rimandano allo scandalo Palamara e alle riunioni all’Hotel Champagne.

Fonti del Csm raccontano che Natoli sia stata convinta a non partecipare alla seduta dell’ultimo plenum, pena l’apertura d’un dibattito, con scandalo immediato, sulla notizia dei suoi colloqui con la magistrata sottoposta a disciplinare. Che ne pensa?

Se fosse vero, se qualcuno ha esercitato pressioni perché non partecipasse al voto per la nomina del Procuratore di Catania, sarebbe inaccettabile: si sarebbe alterato l’esito di quel voto. Finché non si dimette, la Natoli è un Consigliere del Csm in carica. Lasciarla al suo posto, inducendola a fare o non fare questo o quest’altro, è peggio ancora che lasciarla al suo posto e basta.

Come è stato possibile che dopo lo scandalo Champagne si siano determinate le condizioni di una nuova bufera sul Csm?

La storia ha ormai dimostrato che sia i membri laici sia i togati rivendicano spudoratamente, contro la lettera e ancor più lo spirito della Costituzione, un ruolo “politico” al Csm. Entrambi – laici e togati – dicono di riferirsi alla “politica” in senso alto e nobile. I fatti dimostrano che perseguo-no interessi privati contro l’istituzione e contro la giustizia. Le chat di Palamara, al di là di ogni ragionevole dubbio, hanno tolto qualsiasi alibi ideale ai faccendieri che da decenni condizionano l’attività del Csm. Chi detiene il “potere interno” della magistratura ha scelto – ignominiosamente – di fingere di credere che Palamara abbia agito da solo e sia stata l’unica mela marcia. Sicché, cacciato il reprobo, nulla è cambiato.  Non c’è un “dopo Palamara”: siamo  allo stesso “sistema” di sempre. Temo che ora i politici tenteranno di fare lo stesso con Natoli, fingendo sia un incidente privo di rilievo collettivo.

Che tipo di reato si potrebbe configurare a carico di Natoli?

È difficile dirlo. Certo è che il dialogo fra Natoli e Fascetto suscita molti interrogativi, alcuni molto delicati. Sembra, infatti, che, per un verso, la Natoli prometta aiuto alla Fascetto, ma, per altro verso, le chieda alcune cose. L’insieme della vicenda fa pensare che possa essere stata la Natoli a tentare di condizionare la Fascetto, e non viceversa. E spiegherebbe perché Fascetto consideri Natoli “nemica” e la “bruci” depositando le registrazioni.

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sabato 20 luglio 2024

Generalizzare, se conviene.




di Nicola Saracino - Magistrato 

Lo scandalo Natoli è  scoppiato, la rassegna stampa odierna ne offre tutti i  risvolti.

Compreso quello del famelico e rapidissimo approfittamento delle correnti per alterare la maggioranza dietro alla scelta del nuovo procuratore di Catania, costringendo proprio la consigliera di origini etnee a non partecipare alla seduta di plenum, che altrimenti l’avrebbero pubblicamente dileggiata.
  
Per non appesantire il discorso il fatto è qui riportato “per relationem”: cercate su Google  Csm Natoli e saprete tutto. 

Quando emerse il “Sistema” dalle chat palamariane l’associazione nazionale magistrati ed in generale il corpo togato si affrettarono a disincagliarsene e lo scandalo doveva portare  il solo nome di Luca Palamara.

Non contava che rivelasse  quanto i magistrati fossero dediti alle trame e come il CSM fosse in mano a fazioni agguerritissime nella lottizzazione di ogni cosa. 

Con l’ausilio della Procura Generale dell’epoca tutto è stato nascosto sotto al tappeto, impunità di massa. 

Questa volta è diverso.

A qualcuno non conviene   parlare di “scandalo Natoli”, meglio coinvolgere tutti i cd membri “laici” del consiglio superiore della magistratura. 

Con inusitato senso istituzionale,  ecco i togati mettere in discussione l’assetto costituzionale del CSM attuale che a loro avviso risulterebbe inquinato proprio dalla presenza di  non magistrati eletti dal Parlamento, tutti accomunati nelle cattive intenzioni di una di loro. 

Correntisti alla riscossa. 

Il via alle danze lo dà il segretario  di una corrente in questi termini  "Leggo le notizie sulle improvvide frequentazioni di una consigliera  laica, giudice disciplinare, con una incolpata sua concittadina. Questi sono i laici ai  quali la politica affida la tutela della autonomia della magistratura? … Episodi come questi dimostrano quanto sia  pericoloso creare la alta corte disciplinare per i magistrati e rafforzare la presenza  della politica nel CSM".

Segue un più articolato comunicato di Magistratura Democratica secondo il quale  il fatto denoterebbe “ …una tendenza a utilizzare le dinamiche consiliari per finalità di ricerca del consenso da parte della componente laica vicina all'attuale maggioranza parlamentare”.

Di qui il pericolo rappresentato da una Corte disciplinare non racchiusa nel CSM, luogo notoriamente distante da logiche di ricerca del consenso, secondo Magistratura Democratica.

Apprezzo il coraggio. 

Perché sparare fandonie di questa dimensione facendo finta di niente non è da tutti. 

A scrivere, infatti, sono gli stessi che difendono “la ricerca del consenso”  quale presupposto dell’ascesa allo scranno di consigliere superiore: difendono coi denti “il voto” per il CSM che vogliono “politico”. 

La politica reca in sé cose buone e cose meno buone. 

Il clientelismo al CSM non è appannaggio dei laici, tutt'altro; è gestito direttamente dalle correnti che proprio ai laici chiedono appoggio nelle diverse pratiche, non lo disdegnano.

La permeabilità del giudice a condizionamenti non è il frutto della discendenza non togata di alcuni componenti,  ma dell’elezione, della scelta    dei giudici proprio ad opera degli stessi magistrati soggetti al suo giudizio. 

Sono, in definitiva,  i limiti del giudice elettivo, non del giudice “laico”. 

Tanto più che la presidenza dell’organo giudicante è assunta proprio da un laico, il vice presidente del CSM, per giunta "vicino all'attuale maggioranza parlamentare": quale conclusione dovremmo trarne secondo Zaccaro e Magistratura Democratica?

Il membri laici del CSM, quindi, sono sotto attacco, tutti. 

Sta a loro chiarire se le “dinamiche togate” al Consiglio Superiore della Magistratura siano cristalline ed immuni  dalla sistematica lottizzazione correntizia. 


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giovedì 18 luglio 2024

Toh, una prova ...



Cari lettori del Blog,

quelli che ci seguono da più tempo hanno affrontato l’esplosione (implosione) dello scandalo del Sistema (non dello scandalo Palamara) senza particolari sorprese. 

Che avvenisse quel che avveniva lo si capiva dalle scelte del CSM in tutti i settori del suo intervento, dalle carriere alle punizioni dei magistrati indipendenti. 

Quindi chi aveva attivato i neuroni non si è sorpreso quando è comparsa la “prova” di quanto già ampiamente narrato negli anni da questo Blog, le chat di Palamara erano in realtà del mondo togato intero con Palamara.  

Com’era ovvio e si nega ancor oggi nelle sentenze disciplinari. 

Capita adesso che un’avventata avvocata, eletta al CSM del quale compone la Sezione Disciplinare (quindi un “giudice”, sia pur laico, a tutti gli effetti), si sia fatta inconsapevolmente  registrare mentre discuteva con una magistrata coinvolta in un procedimento disciplinare.

Si veda la notizia a questo link e si colga quanto faccia "figo" dirsi anti Palamara a quest'altro link.  

Fuori dal processo, quindi, uno dei componenti della Sezione Disciplinare (organo collegiale) sembra discutesse privatamente con l’incolpata del suo andamento. 

Per scelta difensiva  -  le cui finalità saranno note non appena si comprenderà quale risultato il difensore della magistrata volesse ottenere -  le trascrizioni di quelle registrazioni vengono depositate proprio alla Sezione Disciplinare del CSM.

Ma che scandalo,  ma che sorpresa!

E’ la lettura attenta delle decisioni di quel giudice  a dover sollecitare l’interesse (si legga Zurlo, ad esempio). 

L’uso mai univocamente decifrabile della clemenza connessa alla tenuità del fatto che manda assolto taluno e condanna l’altro. 

La disparità di trattamento, condanne severissime ed assoluzioni sconcertanti, non rassicura sull’equilibrio del giudice elettivo.  

La stessa interferenza del disciplinare su alcuni processi in corso e l'invocazione dell'opposto dogma quando  le maggioranze consiliari lo sconsiglino,  denotano scelte ondivaghe. 

Per molti dei componenti  del CSM l’essere “eletto” l’autorizza a far “politica”. 

Ma  chi fa politica  solitamente è incompatibile con l’ufficio del giudice. 

Quindi nessuno stupore  che taluni incolpati abbiano canali privilegiati coi loro giudici disciplinari. 

La sorpresa è che oggi ne sia stata depositata una prova documentale a quello stesso giudice. 

Che non crederà ai suoi occhi …
 


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domenica 14 luglio 2024

Altre voci sul trapasso dell'art. 323 c.p..

Nel segnalare un articolo del collega Rosario Russo apparso sulla testata "Domani" e leggibile a questo link, riceviamo e pubblichiamo il contributo del collega 


Mario Fiorentino - Magistrato 


     “Male non fare, paura non avere”  
(ei fu, l’art. 323 c.p. ovvero  l'abuso d’ufficio).

Provo disaccordo rispetto al percorso che ha portato all'abolizione dell'abuso d'ufficio, anche se occorre stare attenti alle strumentalizzazioni di parte o della stampa. 

E' un percorso che inizia da lontano. 

Già con il governo di centro sinistra del 1997 (rel. Sen. Salvi), attraverso la riformulazione  dell'art. 323 c.p., ne fu ridotto profondamente l'ambito di operatività, tanto che qualcuno ritenne che, così scritto, sarebbe divenuto un reato (quasi) impossibile da commettere o provare (l'abbassamento delle soglie di pena impediva, peraltro, che si potessero disporre intercettazioni, a meno che non ricorressero più gravi ipotesi di reato). 

Proseguì in tal senso  il governo dei 5 stelle-lega, limitandone ulteriormente  l’ambito di applicazione.

Ora la definitiva abolizione con il centro destra, anche se alcuni ritengono(probabilmente con qualche ragione) che si trattava di un reato già “quasi morto”.

Non siamo di certo in Svezia. 

Ed uno dei mali più profondi del nostro paese sono gli abusi che spesso si perpetrano ai danni dei cittadini per bene e della collettività. 

Il nepotismo, le raccomandazioni, le distorsioni amministrative per favorire imprese o interessi vicini a quello o quell'altro personaggio o a centri di interesse, in barba alla meritocrazia, degradano la società: la deprivano delle scelte migliori, in tutti i settori.

L'abuso d'ufficio nasce proprio per tutelare l'imparzialità dello Stato, affinché le scelte dei pubblici funzionari, anche quando non integrino più gravi ipotesi di reato (ad es. corruzione), non siano dettate da interessi personali o di partito, siano le più giuste, le più adeguate per l'interesse collettivo.

Al giorno d'oggi, e già dopo aver verificato gli effetti della riforma del 1997, occorreva semmai rafforzarne l'efficacia, ovviamente nel pieno rispetto dei diritti della persona sottoposta ad indagini e con tutte le garanzie del caso.

Invece, constatatene le gravi “condizioni di salute”, anziché curarlo, si è deciso di “sopprimerlo”.

Probabilmente, chissà, il Governo starà studiando le forme migliori per combattere il malaffare dei “colletti bianchi”, con adeguati aggiustamenti.

E certamente non è da ora che i cittadini (e la società tutta) risultano privi di effettivi rimedi, di fronte a condotte tese ad alterare il corretto funzionamento della macchina pubblica.

Ma il messaggio che passa è quello che da domani sarà possibile abusare del proprio ufficio (ad es; fare vincere un concorso o un appalto senza merito, etc.) senza temere, laddove non si ravvisino più gravi reati, responsabilità penali.

Una giustizia sempre più forte con i deboli e debole con i forti?

Ai penalisti l’ardua sentenza.

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La strana Corte.



Le sentenze si rispettano. 

E nessuno, infatti, pretende di mettere in galera un assolto o di liberare un condannato.

Ma nessun potere può limitare la critica. 

Il testo di Stefano Zurlo raccoglie recenti sentenze della Sezione Disciplinare del CSM non mancando di stupirsi  - e di stupire - per il nonsense di alcune motivazioni.

Un giudice disciplinare elettivo risponde, inevitabilmente,  a pulsioni insondabili. 

Zurlo le sonda.          

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Disciplinare magistrati: anche di media statura, purché la Corte sia esterna al CSM.



Le cronache degli ultimi mesi danno conto del colpo di spugna con il quale la Sezione Disciplinare del CSM archivia il caso “Palamara” (l’unico a pagare) come fenomeno di costume tutto italiano ed al quale i magistrati non sono estranei. 

Raccomandarsi  è lecito, dividersi i posti tra correnti fisiologico. 

Ed allora passi pure che “mio cugggino” sia votato all’unanimità dal CSM che altrimenti faccio brutta figura in famiglia. 

Non è che l’ultimo dei bislacchi episodi sottoposti al vaglio del CSM, uscendone indenni da conseguenze. 

Chi ottenne l’incarico direttivo col “naso turato” degli stessi consiglieri che lo votarono prosegue indenne il cursus honorum.  

Insomma favoritismi e lottizzazione sono stati sdoganati dall’interno della  magistratura, la stessa che frigna se le tolgono il reato di abuso d’ufficio che tanto era utile quando si trattava di dar fastidio agli altri. 

Che il CSM abbia assolto più o meno tutti si spiega  perché delle malefatte degli incolpati lo stesso organo sarebbe stato complice, consapevole oppur no. 

Perché il paradosso è che molte delle raccomandazioni poi sfociate all’attenzione del giudice disciplinare erano andate a buon fine, esattamente nei termini voluti dai confabulanti.

L’estesa diffusione del fenomeno svelata anche dai libri il cui autore era indicato come uomo-sistema, vale a dire Luca Palamara, aveva a tal punto preoccupato l’opinione pubblica  da indurre il legislatore ad introdurre una specifica ipotesi disciplinare,  che in realtà riguarda fatti già ampiamente punibili con le norme preesistenti, vale a dire, all’art. 3  del d.lgs 109/2006, le lettere 

 l-bis) l'adoperarsi per condizionare indebitamente l'esercizio delle funzioni del Consiglio superiore della magistratura, al fine di ottenere un ingiusto vantaggio per sé o per altri o di arrecare un danno ingiusto ad altri;
l-ter) l'omissione, da parte del componente del Consiglio superiore della magistratura, della comunicazione agli organi competenti di fatti a lui noti che possono costituire illecito disciplinare ai sensi della lettera l-bis)

Ora, vi immaginate in quale condizioni si trovi il giudice disciplinare, cioè lo stesso CSM, nel dover prendere atto del pieno successo delle trame poste in essere dall’incolpato per il raggiungimento del risultato illecito perseguito?

Nemo iudex in causa propria

Val la pena ricordare il famoso assioma "non poteva non sapere" sulla cui base si scatenò un terremoto politico.  Quello stesso assioma il CSM di certo non lo  applica a sé stesso. 
 
Ecco, allora, che l’idea di spostare all’esterno del CSM il procedimento disciplinare è cosa molto saggia ed urgente; l’immaginetta in alto denota, al di là delle  utilitaristiche polemiche politiche, il vasto consenso su quell’ipotesi. 

Certo, lo schema del disegno di legge costituzionale è alquanto rozzo e dovrà essere raffinato per raggiungere una sufficienza giuridica tale da superare il contrasto con i principi del diritto europeo, ma l’idea è giusta. 

Una corte di media statura sarà sufficiente, purché rispettosa delle garanzie, specialmente in tema d'impugnazione,  che devono assistere chiunque.  


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Stesso "Sistema", stessi metodi




Il Tribunale del riesame di Genova ha negato la revoca degli arresti domiciliari al Governatore della Regione Liguria Toti. 

Permane, secondo quel giudice, il pericolo di reiterazione del reato in un  quadro indiziario grave. 

Aggiunge, il giudice genovese, che l’indagato non riconoscendo di aver sbagliato denota attitudine a ripetere i suoi errori. 

Dal CSM giunge  - con sorpresa dei soli  smemorati – la richiesta di due consiglieri (laici) di sottoporre il tribunale ligure ad accertamento disciplinare per supposta abnormità di un provvedimento che riecheggia, a loro avviso, i metodi della santa inquisizione.  

Oggi l’ANM alza gli scudi e denuncia la grave interferenza.

Nel 2009 era invece ammesso che ANM e CSM sollecitassero il Ministro ad agire disciplinarmente contro la procura di Salerno,  rea di indagare su altra procura della Repubblica. 

L’abnormità (il pretesto), quella volta, fu ravvisata nella lunghezza del decreto di sequestro. 

In questa intervista di Gabriella Nuzzi un memo di quanto accaduto all’epoca per mano del Sistema. 

Se non si ripeterà per i magistrati genovesi ciò sarà dovuto, semplicemente, al rapporto di forza in seno all’ANM ed al CSM (che fanno, per l’appunto, “sistema”). 

Che altrimenti Genova si ritroverebbe senza tribunale del riesame in un batter di ciglia, sol che al CSM vi fosse una maggioranza pronta a costituire  il collegio dell'inquisizione …


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venerdì 12 luglio 2024

L'abuso dell'abuso.



di Nicola Saracino - Magistrato 

 
L’art. 323  del Codice Penale è stato, alla fine, abrogato. 

Com’è noto dava vita ad una vera “star” tra i reati ascrivibili ai pubblici ufficiali, ovvero l’abuso del potere commesso per favorire o danneggiare qualcuno o comunque la mancata astensione nell’ipotesi di conflitto di interessi. 

Da cittadino sarei alquanto preoccupato se fosse vero che saremo completamente  sprotetti di fronte alla prevaricazione del potere. 

Ma che l’abuso non sia più reato non significa affatto che sia una condotta lecita. 

Resta sicuramente illecita, sotto tutti i profili tranne quello penale. 

Se un atto “sviato” arreca danno alle casse pubbliche l’autore ne risponderà contabilmente e dovrà risarcire l’erario. 

Se danneggia un privato  è oggi previsto il risarcimento del danno anche se lesivo di un interesse legittimo. 

Per me, dunque, non cambia moltissimo  se è vero che sul versante penale l’efficacia dell’azione della magistratura è stata alquanto deludente. 

Solo nel cinque per cento dei procedimenti penali avviati sull’ipotesi dell’abuso d’ufficio sfociava in condanna. 

Sono i dati che più volte il Ministro Nordio – mai smentito - ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica per giustificare il definitivo martirio dell’art. 323 c.p. , già ridotto in brandelli da precedenti riforme poste in essere da forze politiche antagoniste rispetto a quelle oggi al governo del Paese. 

In sostanza per giungere al misero risultato di cinque condanne si impegnavano le forze di cento procedimenti. 

Ma, soprattutto, per punirne cinque se ne massacravano “processualmente” novantacinque. 

Ecco allora che qualche riflessione autocritica da parte della magistratura sarebbe opportuna, perché all’eliminazione della “primadonna” dei reati contro la pubblica amministrazione ha fornito un formidabile concorso. 

Quante volte al tg abbiamo sentito “aperta indagine per abuso d’ufficio contro Tizio …".

Tantissime volte. 

A quanto pare solo cinque volte su cento abbiamo avuto notizia che Tizio è stato condannato per quel delitto. 

I magistrati, che tanto piangono il trapasso dell’art. 323 del codice penale, si trincerano dietro alle difficoltà tecniche della prova dell’abuso d’ufficio. 

Il che è senz’altro vero. 

Perché l’illiceità da punire penalmente non era la semplice illegittimità dell’atto amministrativo, ma la volontà “cattiva” che l’aveva determinata (per l’appunto, quella di favorire o danneggiare qualcuno). 

Prima ancora della difficoltà della prova, allora, doveva prendersi atto della difficoltà di formulare l’ipotesi e le denunce superficiali che si limitavano a segnalare illegittimità amministrative andavano cestinate se non offrivano un qualche elemento immediatamente indicativo di quella “volontà cattiva”. 

Invece la magistratura ha iscritto ogni segnalazione come ipotesi di reato. 

Come se si dovessero traslocare dal tribunale amministrativo regionale alle procure della Repubblica tutte le pratiche delle impugnative di atti amministrativi denunciati per vizi di legittimità, migliaia e migliaia, non basterebbero i camion.
 
Di qui la desolante percentuale di “successo” delle ipotesi accusatorie che avevano dato origine ad un numero abnorme di procedimenti penali. 

La deterrenza, vale a dire la capacità di sconsigliare condotte scorrette  (in questo caso dei pubblici ufficiali), di renderle non convenienti per l’aspirante reo, è senz’altro uno degli scopi delle norme penali.  

E’ un effetto lecito e voluto direttamente dalla legge penale quando minaccia la sanzione.  

Insopportabile, al contrario, la  minaccia di dover subire un processo anche quando nessuna “cattiva volontà”  ispiri l’azione del pubblico ufficiale. 

Novantacinque su cento hanno dovuto subire il danno mediatico, economico, morale ed anche politico di iniziative processuali sfociate in nulla di fatto. 

Questa particolare deterrenza non è fisiologica, non è nella legge ed in effetti frena non già l’illecito,  ma la stessa azione della pubblica amministrazione. 

Sicché fa davvero sorridere l’affermazione di qualche procuratore della Repubblica secondo la quale da domani non potrà  aiutare  il cittadino che lamenti abusi: andrebbe ricordato a quel procuratore che le sue risposte erano assai carenti anche prima dell’abrogazione del delitto, rispondeva bene solo nel cinque per cento dei casi. 

Nessuno si fascerà il capo,  forse cinque su cento. 

Se poi la pretesa della magistratura fosse  quella di impaurire i “sudditi” con la minaccia di coinvolgimento in processi destinati comunque all’archiviazione o all’assoluzione, ecco allora che può tacciarsi proprio quell’aspirazione di essere “abusiva”. 

In definitiva l’abuso è morto per l’abuso che se ne è fatto. 

Risorgerà? 

Non è escluso,  cambia la maggioranza e cambia la legge, è nelle regole democratiche. 

Ma servirà un legislatore accorto ed una magistratura meno incline a mascherare ogni sua inefficienza dietro al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale: ho sbagliato ma ero obbligato … 


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