Le cronache degli ultimi mesi danno conto del colpo di spugna con il quale la Sezione Disciplinare del CSM archivia il caso “Palamara” (l’unico a pagare) come fenomeno di costume tutto italiano ed al quale i magistrati non sono estranei.
Raccomandarsi è lecito, dividersi i posti tra correnti fisiologico.
Ed allora passi pure che “mio cugggino” sia votato all’unanimità dal CSM che altrimenti faccio brutta figura in famiglia.
Non è che l’ultimo dei bislacchi episodi sottoposti al vaglio del CSM, uscendone indenni da conseguenze.
Chi ottenne l’incarico direttivo col “naso turato” degli stessi consiglieri che lo votarono prosegue indenne il cursus honorum.
Insomma favoritismi e lottizzazione sono stati sdoganati dall’interno della magistratura, la stessa che frigna se le tolgono il reato di abuso d’ufficio che tanto era utile quando si trattava di dar fastidio agli altri.
Che il CSM abbia assolto più o meno tutti si spiega perché delle malefatte degli incolpati lo stesso organo sarebbe stato complice, consapevole oppur no.
Perché il paradosso è che molte delle raccomandazioni poi sfociate all’attenzione del giudice disciplinare erano andate a buon fine, esattamente nei termini voluti dai confabulanti.
L’estesa diffusione del fenomeno svelata anche dai libri il cui autore era indicato come uomo-sistema, vale a dire Luca Palamara, aveva a tal punto preoccupato l’opinione pubblica da indurre il legislatore ad introdurre una specifica ipotesi disciplinare, che in realtà riguarda fatti già ampiamente punibili con le norme preesistenti, vale a dire, all’art. 3 del d.lgs 109/2006, le lettere
l-bis) l'adoperarsi per condizionare indebitamente l'esercizio delle funzioni del Consiglio superiore della magistratura, al fine di ottenere un ingiusto vantaggio per sé o per altri o di arrecare un danno ingiusto ad altri;
l-ter) l'omissione, da parte del componente del Consiglio superiore della magistratura, della comunicazione agli organi competenti di fatti a lui noti che possono costituire illecito disciplinare ai sensi della lettera l-bis)
Ora, vi immaginate in quale condizioni si trovi il giudice disciplinare, cioè lo stesso CSM, nel dover prendere atto del pieno successo delle trame poste in essere dall’incolpato per il raggiungimento del risultato illecito perseguito?
Nemo iudex in causa propria.
Val la pena ricordare il famoso assioma "non poteva non sapere" sulla cui base si scatenò un terremoto politico. Quello stesso assioma il CSM di certo non lo applica a sé stesso.
Ecco, allora, che l’idea di spostare all’esterno del CSM il procedimento disciplinare è cosa molto saggia ed urgente; l’immaginetta in alto denota, al di là delle utilitaristiche polemiche politiche, il vasto consenso su quell’ipotesi.
Certo, lo schema del disegno di legge costituzionale è alquanto rozzo e dovrà essere raffinato per raggiungere una sufficienza giuridica tale da superare il contrasto con i principi del diritto europeo, ma l’idea è giusta.
Una corte di media statura sarà sufficiente, purché rispettosa delle garanzie, specialmente in tema d'impugnazione, che devono assistere chiunque.
1 commenti:
Una Corte esterna al C.S.M. sicuramente ridurrà favoritismi, lottizzazioni, abuso d'ufficio solo per glialtri, legibus soluti, il gravissimo cancro ad esito infausto dell'enorme estensione dell'imparzialità dello stato.
Posta un commento