di Francesco Siciliano
(Avvocato del Foro di Cosenza)
Qualche sera fa, il dott. Nicola Gratteri [Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria] ha partecipato ad un trasmissione televisiva portando in video la sua disarmante chiarezza.
Ad una domanda se vi fosse, realmente, la volontà politica di sconfiggere la mafia, ha dato una risposta ad dir poco agghiacciante.
Qualsiasi governo (ammesso che negli ultimi anni vi sia stata alternanza in Italia) ha e ha avuto come scopo primario un potere giudiziario imbrigliato (in modo che non si possa disturbare il manovratore) e una scuola inadeguata (in modo che non si formino nuove generazioni colte e intellettualmente capaci di cogliere i significati reconditi delle “questioni dell’agenda politica”).
Il dott. Gratteri è certamente uno di quelli che hanno inteso il proprio lavoro come un dovere e non come occasione di vivere bene nel senso che la sua funzione e il suo potere lo hanno esposto al rischio di perdere la vita e non ad essere in prima fila a teatro.
Nessun compromesso onde consentire anche a suoi figli di vivere bene.
Il suo linguaggio mediatico è diverso da altri, più semplicemente disarmante, più diretto; quasi quello di una discussione tra amici fidati nessun compromesso, messaggio semplice e diretto.
Un attimo prima, aveva detto che nel territorio di sua competenza il capo mafia è capace di determinare qualsiasi cosa, anche l’imbianchino che tinteggerà la casa di un quisque de populo che ha deciso di costruirsi o comprarsi un nuovo immobile.
Enorme potenza delle organizzazioni mafiose.
Questione criminale si dirà.
In Calabria, tuttavia, non molto tempo fa, una famosa inchiesta oggi al vaglio della magistratura penale giudicante, disvelò un sistema diffuso dall’altra parte della società (quella non criminale sic!) per cui il potere era in grado di determinare consulenti, incarichi, vite da stabilizzare, investimenti da realizzare.
Questione politica si dirà.
In Calabria, in realtà, quella inchiesta e quei comportamenti (la cui rilevanza penale non sono ovviamente di nostra competenza) hanno disvelato il vero problema di questa terra: non esistono, se non in forma minimale, spazi di libertà assoggettati alle norme del diritto se è vero come sembra che dal lato criminale esistono forme di pressione che, per ciò che qui interessa, impediscono a chi lavora bene di prosperare nel suo lavoro valendo come regola quella della appartenenza e, dal lato del potere esistono altrettante forme di pressione e di violazione delle norme del diritto valendo anche lì (seppure con aspetti meno pericolosi dal punto di vista criminale) la regola dell’appartenenza sopra il merito e le predette regole.
Il lavoro privato, quello cioè sottratto alle due influenze, è minimale e si occupa delle briciole della torta.
Questione meridionale si dirà.
Si questione meridionale che, tuttavia, per tornare alla disarmante semplicità e chiarezza delle posizioni di Gratteri, porta a chiedersi del perché in tanti anni non si sia voluto capire che basterebbe applicare le regole, esistenti, per risolvere molti annosi problemi.
Sottomissione al potere romano dicono le classi dirigenti calabresi.
Anche su questo viene da dire che è un luogo comune poiché il politico nostrano, forte di ruoli o di rapporti ben consolidati con il potere centrale, critica la sua sudditanza dal potere romano ma crea sudditanza con il suo elettorato di riferimento in modo da potere contare su un gruppo consolidato di condizionamento che si esplica quasi come un Giano bifronte in cui da un lato si sfrutta la forza elettorale verso il centro e dall’altro si sfrutta la contropartita del centro verso il gruppo di riferimento.
Degenerazione della politica, male atavico delle classi dirigenti e delle genti meridionali.
La situazione, in realtà, è del tutto diversa poiché essa, in realtà, è proprio il frutto della codificazione del principio del rovescio del diritto di cui esistono notevoli esempi proprio qui in Calabria.
Rimanendo sull’esempio di Why not basta soffermarsi sulle regole costituzionali per il problema dell’accesso al lavoro.
Sul punto, l’art. 97 recita testualmente “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.
Tale norma va letta in sistema (sistematicamente ndr) con l’art. 51, a mente del quale “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge” e con l’art. 3, II° comma, Cost., “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Dal quadro delle norme costituzionali, evidentemente cogenti anche in Calabria, si inferisce che al lavoro nelle pubbliche amministrazioni (il c.d. posto fisso) si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge, e che è obbligo delle istituzioni della Repubblica (che ovviamente non è un fatto astratto ma l’insieme degli uomini che ricoprono cariche istituzionali negli organi della Repubblica) garantire l’uguaglianza dei cittadini nell’accesso agli uffici pubblici nonché quello di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscano il pieno sviluppo anche economico della persona umana.
Le regole del diritto quindi sono molto chiare sia per gli uomini che ricoprono ruoli istituzionali sia per i cittadini: i gruppi di potere che influiscono sull’accesso ai pubblici uffici e agli incarichi pubblici (ovvero derivanti da investimenti di soldi pubblici) violano il dettato costituzionale; in altri termini violano la legge.
Non ha rilevanza, almeno qui, stabilire se ciò ha rilevanza penale: ha certamente rilevanza costituzionale nel senso di essere certamente una prassi un comportamento contrario alle regole dettate dalla nostra carta costituzionale. Nella sua disarmante semplicità (non semplicismo), si può affermare che interferire, almeno nel settore che interessa i soldi pubblici, sull’ingresso nel lavoro, la carriera, i guadagni, le condizioni di vita delle persone e dei suoi familiari è contrario alla nostra Costituzione.
Tutto chiaro e condivisibile?
No, sbagliato, la codificazione della regola del rovescio del diritto porta ad affermare che raccomandare è un fatto banale quasi umanitario; quando si prova ad indagare ipotizzando voto di scambio o altre figure di reato, i rappresentanti del rovescio del diritto banalizzano il problema affermando che si tratta, in realtà di semplici raccomandazioni con finalità umanitarie.
Verrebbe da chiedersi ma tutti i lavoratori a contratto, a termine (per il diritto non per il rovescio), frutto di chiamate dirette non violano la Costituzione?
La gratitudine che il selezionato tra migliaia di aspiranti prova per il suo amico politico non influenza le scelte del suo voto che dovrebbe essere libero?
Tutto questo quadro non è chiara indicazione di violazione dei precetti costituzionali?
Secondo i teorici del rovescio del diritto no o, quantomeno, ciò non rappresenta un problema visto che il cittadino elettore, anche sapendo che il politico tizio opera in questo modo lo legittima nuovamente con il suo voto libero.
Su questo il legislatore ha scelto che il voto di scambio è punibile solo quando avviene in cambio di denaro e, si sa, che in Italia, figuriamoci in Calabria, ci si dimette o si lascia la politica solo dopo l’esecuzione, a volte implorata, di sentenze definitive afferenti a gravi reati penali.
Questa piccola analisi, però, illumina le ragioni della speranza perché la diminuzione delle canches a disposizione dei nostri filantropici politici fa aumentare quelli fuori dai giochi e, soprattutto sembra avere prodotto, almeno qui in Calabria, non una illuminata elitè ma molti uomini e donne silenziose che nella loro vita quotidiana hanno deciso di dire che i teorici del rovescio del diritto in realtà violano la legge.
Speriamo si continui a camminare gridando che il rovescio del diritto in realtà era un titolo ironico di un saggio sui mali della legge e non una regola di codificazione.
14 commenti:
Analisi straordinariamente lucida. Non concordo soltanto sull'ottimismo finale, purtroppo. Non mi sembra che ci sia nulla che possa far presagire miglioramenti.
Sono perfettamente d'accordo con la Tua analisi. Il fatto è che molte volte trovi i soliti (p)olitici che utilizzando a pretesto il mancato funzionamento normativo, si arrogano si apportare "riforme" che tali non certo sono, perché l'obiettivo non quello di assicurare il funzionamento del sistema ma solo quello di assicurare il raggiungimento dell'obbiettivo personale e/o della parrocchia si appartenenza, sacrificando così molti dei sacrosanti diritti costituzionalmente garantiti, di cui Tu hai anche fatto cenno.
Antonino - Cittanova (RC)
Una blogger mia amica virtuale in rete, professoressa di lingue (sopratutto tedesca) italiana nata in Svizzera e sposata con un calabrese (quindi, vive in Calabria), sai sente molto frustrata dall'assenza dello Stato in quella tormentata regione italiana, a volte, come di recente, affranta.
Il contributo dell'avv. Francesco Siciliano è chiaro nelle intenzioni, ma indulge in uno stile avvocatesco, non ha la chiarezza e la semplicità del modo di parlare di Nicola Gratteri (ho seguito anch'io il suo intervento ad una tramissione televisiva).
Gratteri lascia sgomenti per come descrive che cosa accade in Calabria e non so se nutre una speranza di modificazione della situazione (a me è sembrato di no), certo fa riflettere molto, come peraltro fa riflettere molto questo pregevolissivo contributo dell'avv. Siciliano, che per me è stato godibilissimo.
Ricordo un pregevole libro di Nicola Galgano, intitolato IL ROVESCIO DEL DIRITTO, che purtroppo non ho più, in cui l'autore - professore di diritto civile presso l'università di Bologna ed avvocato - dà vita ad una rappresentazione dei costumi del mondo del diritto che svela verità nascoste e smaschera luoghi comuni, facendo uso dell'ironia (e dell'auto-ironia).
La casa editrice Giuffrè ha pubblicato un riedizione nel 2007, varrà la pena di riacquistarlo.
Il libro è di FRANCESCO GALGANO noto bastian contrario del diritto civile italiano
grazie avv. siciliano per la Sua analisi.
Conosco la realtà calabrese, e ritengo che il danno maggiore e, a mio parere, non recuperabile, è il senso comune del cittadino calabrese.
Noto un generale lassismo a tratti con aspetti di rassegnazione totale che spesso si trasforma in accettazione delle regole.
Vige la teoria del "si salvi chi può", quindi se mi sono assicurato il posto al figlio, al genero, alla nipote in fondo il sistema poitico corrotto, la giustizia in tilt, il tessuto sociale che si sfalda, a me non tocca.
Ciò non esclude la presenza di tanti, anzi tantissimi che la pensano diversamente, io tra questi.
Di certo fare su un blog della questione calabrese argomento di analisi e discussione, è già di per sè un segnale di speranza e di fiducia.
O almeno a me piace considerarlo così.
Avv. giovanna bellizi
Gentile avvocato, sono incappato in un errore madornale: ho sbagliato il nome dell'autore, che non è Nicola ma Francesco.
Pazienza, nei miei 72 anni di vita ne ho commesso anche di peggiori.
Grazie per il chiarimento.
il libro del Prof. Galgano è molto divertente. Scandito sui dieci comandamenti. E quando si arriva al sesto ... c'è un pezzo memorabile sulla categoria di "osceno" nella giurisprudenza, con ironici eppure affettuosi elogi a un pretore che inondava la Corte Costituzionale di sublimi ordinanze di rimessione, grondanti citazioni shakespeariane, dantesche, bibliche e quant'altro. Darei un mese di stipendio, o un anno di anzianità di carriera, per ritrovare quell'aureo libretto!
E. Anastasio
Caro Anonimo, catalogo casa ed. Giuffrè, riedizione aggiornata anno 2007 e il gioco è fatto!
Gentile dott. Anastasio, a parte l'infelice esordio del nostro incontro sul blog (che ovviamente non era nulla di personale), potrei prestarglielo, per il tramite di amici comuni, ovviamente con garanzia di restituzione. Il titolo completo, tuttavia, è "Tutto il rovescio del diritto".
Approfitto del blog per fatto personale (e me ne scuso): ringrazio l'avvocato Francesco Siciliano, se scenderò a Cosenza sarà bello prendere un caffè insieme, cercherò io un recapito sull'albo. Buone cose, buon Natale
E. Anastasio
Grazie e, nel ricambiare gli auguri di natale, Le dico che ho una edizione (il titolo rivendendolo è "Il rovescio del diritto" ops) del 1991 costo Lire 10.000 consigliatomi, allora, da una mia cara amica la dott.ssa Francesca Del Villano Procura Pescara persona molto attenta al senso del diritto e non alle nozioni.
Buon natale a tutti
E' proprio la copia che possedevo io. Oggi ha cambiato leggermente il titolo.
Che il Prof. Galgano sia un "noto" bastian contrario, è "noto" solo all'autore dell'articolo. A me non risulta.
"bastian contrario" inteso come portatore e "dottrina" di posizione spesso fuori dal coro; stesso dicasi per Cannada Bartoli nel Diritto amministrativo. Non era una nota di demerito.
Buon Natale
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