venerdì 7 maggio 2010

Giurista per caso: La difesa della Costituzione e la nuova legge sulle intercettazioni.




di Francesco Siciliano
(Avvocato del Foro di Cosenza)





E’ da poco passata la ricorrenza della liberazione e dell’inizio del nuovo cammino democratico dell’Italia consacrato nella Costituzione Repubblicana.

Di tale appuntamento, in una “nuova e peculiare” rappresentazione mediatica si ricordano i messaggi a reti unificate delle più alte cariche dello Stato e, la ricorrenza, in entrambi della rivendicazione del valore della lotta per la libertà del popolo italiano. In uno con i valori della resistenza sono stati richiamati i valori fondanti di quella lotta per la liberazione consacrati poi, si è detto, nella Costituzione.

E’ sempre di questi giorni una nuova battaglia, si dice, in difesa, proprio della Costituzione Repubblicana, dei deputati e senatori del Popolo della Libertà e con essi del Ministro AlFano.

Il Ministro e i predetti legislatori del Popolo della Libertà e della Lega Nord stanno, infatti, conducendo una epica battaglia in difesa dell’art. 15 della Costituzione Repubblicana.

Proprio il Ministro in alcuni dibattiti televisivi ha spiegato la necessità, in difesa della libertà consacrata nell’art. 15 Cost., della nuova legge sulle intercettazioni telefoniche.

La nuova legge si apprende dovrebbe limitare l’uso eccessivo delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, disposte oggi dal potere inquirente, che finiscono per attentare alla Costituzione ed ai diritti ivi consacrati.

Posta quindi sul piano giuridico la questione si tratta di capire, sempre da giurista per caso, cosa e in che modo, effettivamente, sia tutelato dall’art. 15 della Costituzione.

Prima di addentrarci in tale tentativo di spiegazione, giova ribadire, che la Carta Costituzionale và, ovviamente letta, in un’ottica di Padri Costituenti che, attraverso molte previsioni, tendevano a stabilire e tutelare diritti dei cittadini e potestà dei pubblici poteri in contrapposizione agli anni della scelta dittatoriale del ventennio fascista.

L’art 15 della Costituzione, richiamato quale faro della battaglia in difesa della Costituzione non del popolo viola ma del popolo della libertà, prevede espressamente “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.

Ogni avveduto costituzionalista, a proposito delle origini di tale diritto ha avuto modo di osservare che un primo riconoscimento si è avuto a seguito della rivoluzione francese quando l’Assemblea Nazionale nel 1790 proclamò l’inviolabilità della libertà di corrispondenza, riconoscendo così ad essa una garanzia anche nei confronti di ingerenze da parte dei pubblici poteri. In commento all’art. 15 della Costituzione, può dirsi, che essa libertà e segretezza della corrispondenza (intendendo per questa ogni forma di comunicazione anche, ovviamente, più moderna dal punto di vista tecnologico: telefono, posta elettronica, messaggistica, p2p) è consacrato quale diritto inviolabile dell’individuo (cittadino, straniero, apolide) ricavabile espressamente dall’art. 2 della Costituzione.

Allo stesso modo, può dirsi, che la libertà in esame (la quale tutela i modi attraverso cui la persona si pone in relazione con altri soggetti) rappresenta, al pari della libertà domiciliare garantita dall’art. 14, “un ampliamento e una precisazione del fondamentale principio di inviolabilità della persona umana sanzionato dall’articolo 13 Cost.”, “l’una garantendo alla persona un certo ambito spaziale, l’altra garantendo una delle forme più dirette ed immediate di collegamento della persona con il mondo esterno”.

Nonostante che la libertà di corrispondenza di cui all’art. 15 e quella di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 abbiano la stessa natura, trattandosi in entrambi i casi di una comunicazione di idee e notizie da un soggetto a un altro, la diversa disciplina dettata dalle due norme comporta che la prima non possa essere considerata come una mera “sottospecie” della seconda.

La particolare tutela accordata dalla Costituzione alla libertà in esame riflette la sua appartenenza ai principi “supremi” sottratti alla revisione costituzionale (cfr Commentario Costituzione, UTET, Digesto Pubblicistico).

Diverso è il caso della previsione della possibile limitazione di tale libertà con atto motivato dell’autorità giudiziaria (i Padri Costituenti e molti costituzionalisti sottolineano l’assoluta garanzia che la Costituzione ha voluto offrire a tale libertà rispetto a quella personale - art. 13 Cost. - e di domicilio – art. 14 Cost. - atteso che per la libertà della corrispondenza non è in alcun modo previsto un intervento autonomo e preventivo della polizia essendovi una riserva assoluta a favore della giurisdizione e della legge quanto alle ipotesi in cui la giurisdizione può limitarla).

La Costituzione, quindi, prevede un solo potere dello Stato (va detto che gli organi di polizia quando non agiscono su mandato dell’autorità giudiziaria - Polizia Giudiziaria - agiscono quale Polizia Amministrativa espressione cioè dell’Amministrazione dello Stato – Governo) quello Giudiziario quale potere legittimato, con atto motivato, a limitare la libertà e la segretezza della corrispondenza.

E su tale possibilità la Corte Costituzionale – unico organo deputato a valutare la coerenza tra la legge ordinaria e la Costituzione – chiamata a decidere su norme del Codice di Procedura penale in tema di intercettazioni e acquisizione di tabulati, ha avuto modo di affermare che «nell’art. 15 della Costituzione “trovano protezione due distinti interessi: quello inerente alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’art. 2 della Costituzione, e quello connesso all’esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene anch’esso oggetto di protezione costituzionale” (v. anche sent. n. 120 del 1975, sent. n. 98 del 1976, sent. n. 223 del 1987, sent. n. 366 del 1991). L’art. 266 c.p.p. e, più in generale, le disposizioni contenute nel capo quarto, del titolo terzo, libro terzo, del codice di procedura penale costituiscono un’attuazione per via legislativa dei predetti principi, che, al pari delle norme similari previste nel codice di rito previgente, stabilisce una disciplina complessiva delle intercettazioni telefoniche in relazione ai poteri d’indagine a fini di repressione penale e alla loro utilizzabilità come mezzi di prova in giudizio. Più precisamente le anzidette disposizioni stabiliscono i li miti di ammissibilità delle intercettazioni telefoniche (art. 266 cod. proc. pen.), i presupposti e le forme dei provvedimenti che ne dispongono l’effettuazione (art. 267 cod. proc. pen.), lo svolgimento puntuale delle conseguenti operazioni (art. 268 cod. proc. pen.), i modi e i limiti di conservazione della documentazione delle intercettazioni stesse (art. 269 cod. proc. pen.) e, infine, l’utilizzabilità di queste ultime in altri procedimenti e i relativi divieti (artt. 270 e 271 cod. proc. pen.). Le speciali garanzie previste dalle norme appena ricordate a tutela della segretezza e della libertà di comunicazione telefonica rispondono all’esigenza costituzionale per la quale l’inderogabile dovere di prevenire e di reprimere reati deve essere svolto nel più assoluto rispetto di particolari cautele dirette a tutelare un bene, l’inviolabilità della segretezza e della libertà delle comunicazioni, strettamente connesso alla protezione del nucleo essenziale della dignità umana e al pieno sviluppo della personalità nelle formazioni sociali (art. 2 della Costituzione). In altri termini, il particolare rigore delle garanzie previste dalle disposizioni prima citate intende far fronte alla formidabile capacità intrusiva posseduta dai mezzi tecnici usualmente adoperati per l’intercettazione delle comunicazioni telefoniche, al fine di salvaguardare l’inviolabile dignità dell’uomo da irreversibili e irrimediabili lesioni ……………. Ferma restando la libertà del legislatore di stabilire più specifiche norme di attuazione dei predetti principi costituzionali, il livello minimo di garanzie appena ricordato - che esige con norma precettiva tanto il rispetto di requisiti soggettivi di validità in ordine agli interventi nella sfera privata relativa alla libertà di comunicazione (atto dell’autorità giudiziaria, sia questa il pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari o il giudice del dibattimento), quanto il rispetto di requisiti oggettivi (sussistenza e adeguatezza della motivazione in relazione ai fini probatori concretamente perseguiti) - pone un parametro di validità che spetta al giudice a quo applicare direttamente al caso di specie, al fine di valutare se l’acquisizione in giudizio del tabulato, contenente l’indicazione dei riferimenti soggettivi, temporali e spaziali delle comunicazioni telefoniche intercorse, possa essere considerata legittima e, quindi, ammissibile ...» (cfr Corte cost., 11/03/1993 n. 81).

La questione, appena accennata, sembra quindi potersi meglio inquadrare, da giurista per caso, nel quadro dei precetti Costituzionali, dei diritti da tutelare e nelle libere scelte del legislatore.

L’art. 15 Cost non attiene precipuamente alla privacy (rectius: riservatezza) dei cittadini essendo questa regolata e riconosciuta unanimemente dall’art. 2 Cost, né, tantomeno, le intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte, oggi, sulla base delle norme del codice di procedura penale, costituiscono una violazione dell’art. 15 Cost atteso che, esso, prevede espressamente quel potere della giurisdizione.

Le modalità ed i limiti con cui l’autorità giudiziaria può disporre limitazioni della liberta e segretezza della corrispondenza (intercettazioni) possono legittimamente essere determinati dal legislatore il quale ben può delimitare i casi e la durata delle stesse.

Ciò facendo, tuttavia, il legislatore non muta in alcun modo la previsione costituzionale di riserva della giurisdizione quanto, invece, stabilisce un bilanciamento “tra due distinti interessi: quello inerente alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’art. 2 della Costituzione, e quello connesso all’esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene anch’esso oggetto di protezione costituzionale” (v. anche sent. n. 120 del 1975, sent. n. 98 del 1976, sent. n. 223 del 1987, sent. n. 366 del 1991) (Corte Costituzionale) e, allo stesso modo, compie scelte di politica criminale comprimendo, ovvero dilatando, un metodo di indagine del potere giudiziario – unico potere diverso dalla polizia che già oggi non può autonomamente intercettare – nella scoperta e repressione dei reati.

Il Popolo Viola, insomma, può tirare un sospiro di sollievo nessuna difesa della Carta da parte del Popolo della Libertà e del Ministro ma legittimo esercizio del potere legislativo con le sue scelte nel bilanciamento degli interessi: circoscrizione di alcuni strumenti di indagine e più riservatezza per i cittadini, tutela, tuttavia, non estesa ad atti della vita privata (baci storie d’amori e paparazzi) ma ad intrusioni nella riservatezza che derivano da indagini tese all’accertamento di reati penali.



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