venerdì 7 maggio 2010

Tutela della libertà di corrispondenza nell'era di internet: anno zero?




di Nicola Saracino
(Magistrato)



Questo è un blog e tutti i testi in esso contenuti sono, per scelta dei dialoganti, pubblici.

Tale strumento, relativamente nuovo, serve il diritto di manifestare e diffondere il proprio pensiero (art. 21 Cost.).

L’avvento di internet e delle tecnologie ad esso collegate mettono a disposizione altri strumenti utili alla comunicazione delle persone, come le mailing list.

Al pari dei frequentatori di un blog, anche gli aderenti ad una mailing list intendono comunicare tra loro, ma non pubblicamente giacché i loro messaggi sono destinati ai soli iscritti.

La mailing list è cioè al servizio di un’altra libertà costituzionale, quella della corrispondenza “privata” (art. 15 Cost.) la cui segretezza è funzionale alla stessa possibilità di comunicare riservatamente, senza cioè che persone diverse dal destinatario (o dai destinatari) possano lecitamente conoscere il contenuto delle comunicazioni.

E’, questa, una libertà fondamentale pacificamente inclusa nel catalogo dei diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 Cost.).

L’attuale dibattito politico si muove intorno al problema delle intercettazioni delle conversazioni (telefoniche oppure no) ed annuncia limiti ancor più restrittivi di quelli già operanti.

E’ a tutti noto che la possibilità di intercettare le comunicazioni personali è oggi confinata ai reati più gravi, che destano maggiore allarme sociale. Il Legislatore ha cioè ammesso il sacrificio di questa libertà fondamentale solo a fronte di un interesse preponderante qual è l’accertamento dei più gravi delitti.

Se la segretezza delle comunicazioni mentre esse sono in corso esige – secondo parte dell’opinione pubblica – una tutela ancor maggiore di quella attualmente assicurata, in pochi si pongono il problema della tutela della segretezza delle comunicazioni già avvenute, in relazione alle quali parrebbe molto più estesa la possibilità di apprenderne il contenuto.

E’, a questo punto, persino intuitivo che la segretezza accordata dall’art. 15 Cost. non avrebbe alcun senso se la sua tutela venisse limitata nel tempo; se, cioè, la protezione della segretezza terminasse subito dopo la conversazione, saremmo al cospetto di una finta libertà.

In altri termini occorre verificare se appaia giustificata una diversa disciplina tra l’intercettazione di una conversazione mentre essa avviene e quella della apprensione del contenuto di conversazioni già avvenute.

Un primo indizio normativo di sicura importanza lo si rintraccia nella stessa Carta e precisamente nel terzo comma dell’art. 68 Cost. che, nel rafforzare la tutela posta a presidio dei parlamentari, parifica alle conversazioni in atto quelle già avvenute e consegnate ad uno strumento, ad un supporto che ne consenta materialmente la successiva conoscibilità: l’autorizzazione della Camera di appartenenza risulta, invero, indispensabile non solo per intercettare un parlamentare, ma anche per sequestrarne la corrispondenza. La ragione di questa equiparazione è ovvia, non avendo senso alcuno proteggere la segretezza di una conversazione se la si limita al momento in cui essa è in atto; se fosse possibile, subito dopo, apprenderne i contenuti tanto varrebbe consentirne l’intercettazione.

Anche sul piano della legislazione ordinaria la tutela penale apprestata per la violazione della libertà fondamentale sancita dall’art. 15 Cost. appare coerente, risultando punite con pene piuttosto gravi sia l’intercettazione abusiva, sia l’indebita conoscenza e rivelazione del contenuto della corrispondenza, a prescindere dal mezzo in concreto impiegato per comunicare (artt. 616 e ss. c.p.).

E’ sul piano della tutela processuale penale del segreto delle comunicazioni e della corrispondenza che, invece, potrebbero scorgersi disarmonie tra tutele apparentemente diversificate.

Se, infatti, l’intercettazione di una comunicazione o conversazione in atto risulta assoggettata ai rigorosi limiti posti dalla disciplina delle intercettazioni (art. 266 e ss. c.p.p.), l’apprensione del contenuto delle comunicazioni o conversazioni già avvenute potrebbe apparire, ad una lettura non accorta delle norme, consentita entro limiti smisuratamente ed irragionevolmente più ampi (art. 254 c.p.p.).

Per quanto sin qui detto, ad evitare il naufragio di un diritto fondamentale come quello alla corrispondenza, soccorre l’interpretazione sistematica: se privato del carattere della segretezza, infatti, il diritto alla corrispondenza dismetterebbe, all’unisono, anche quello della libertà.

Questo il tenore letterale del primo comma dell’art. 254 c.p.p.: “Presso coloro che forniscono servizi postali, telegrafici, telematici o di telecomunicazioni è consentito procedere al sequestro di lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi e altri oggetti di corrispondenza, anche se inoltrati per via telematica, che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere spediti dall’imputato o a lui diretti, anche sotto nome diverso o per mezzo di persona diversa, o che comunque possono avere relazione con il reato”.

E’ d’immediata percezione che solo trascurando il valore che uno Stato liberale assegna alla segretezza delle comunicazioni private potrebbe ammettersi la generalizzata possibilità di intrusione nella corrispondenza personale, per accertare anche la più banale delle contravvenzioni.

Se, allora, si vuole restituire logica al sistema, la “relazione con il reato” (art. 254 c.p.p.), giustificante l’apprensione forzata del contenuto delle comunicazioni, non introduce una generalizzata sequestrabilità della corrispondenza privata ad opera dell’autorità giudiziaria, ma va intesa come relazione con uno di quegli stessi reati catalogati nell’art. 266 c.p.p. per i quali è ammessa l’intercettazione delle comunicazioni o delle conversazioni.

Residuano, pur dopo tale interpretazione adeguatrice, diversità di procedura tra le due ipotesi, dato che il sequestro è operabile dal pubblico ministero senza la preventiva autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, autorizzazione espressamente richiesta solo per intercettare.

E’ auspicabile, in tale quadro, che un Legislatore saggio, senza bandire dall’ordinamento uno strumento d’indagine utile come quello delle intercettazioni, si ponga il problema di garantire analoga tutela procedimentale anche alle comunicazioni già avvenute, affidando ad un giudice il compito di “vegliare” sulla loro segretezza.


14 commenti:

Rosa Grazia Arcifa ha detto...

Più volte abbiamo chiarito che non sono ammissibili limiti alla libertà di espressione diversi da quelli fondati sulla Carta costituzionale. Il nodo che sembra importante sciogliere è se questi limiti valgono in forma identica per qualunque forma di manifestazione del pensiero.
Per questo motivo si è spesso posto il problema di trovare un equilibrio tra il diritto alla riservatezza e il diritto di cronaca.

Anonimo ha detto...

IL PM rende pubblici solo gli atti che reputa necessari al processo.

Tutto il malloppo passa alla difesa che rende pubblici ciò che gli interessa.
Tutto il resto rimane secretato ma a dispozione delle parti e del processo.
A fine processo tutto ciò che non è stato usato viene distrutto perchè implicitamente inutile.

Oppure:
TUTTO il malloppo è secretato ma ovviamente in mano anche alla difesa.
In dibattimento diventa pubblico ciò che viene usato.

menici60d15 ha detto...

Privacy, sicurezza e panottismo

da www.menici60d15.wordpress.com

Il dr Saracino usa parole che avevamo quasi scordato, ricordandoci che abbiamo un fondamentale diritto al segreto secondo l’art. 15 della Costituzione, che tutela la libertà e la segretezza delle comunicazioni. Oggi invece nel parlato comune, e anche nel linguaggio delle istituzioni, si usa “privacy”, eufemismo soft, e non va di moda citare il diritto alla segretezza. La diade privacy/sicurezza viene usata retoricamente: si parla di privacy per bloccare le intercettazioni dei birboni, e di sicurezza per piazzare telecamere, schedare, limitare diritti, etc. Pigiando come un bravo organista ora su uno ora sull’altro di questi due pedali, si ottiene una musica che configura un mondo dove il singolo è sempre più controllato, e il potere è sempre meno soggetto a controllo. Penso che volendo discutere di questi temi - diritto alla riservatezza; intercettazioni; videosorveglianza; database che registrano atti amministrativi, consumi, spostamenti, dati sensibili, etc. - sia oggi divenuto indispensabile introdurre un terzo parametro, una terza “grandezza”, etica, politica, giuridica, che chiamerò “panottismo”, e che rappresenta la asimmetria tra controllori e controllati.

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Anonimo ha detto...

Per Menici60d15.
"Pigiando come un bravo organista ora su uno ora sull’altro di questi due pedali, si ottiene una musica che configura un mondo dove il singolo è sempre più controllato, e il potere è sempre meno soggetto a controllo"
Definizione perfetta.
Da Wiki (a proposito del panopticon di Bentham):
http://it.wikipedia.org/wiki/Panopticon
Lo stesso filosofo descrisse il panottico come "un nuovo modo per ottenere potere mentale sulla mente, in maniera e quantità mai vista prima"
Avevamo esattamente questa sensazione all'epoca del fascismo.
Ma ora ci dicono che il nostro regime è democratico, non è vero?
E se non fosse vero avremmo noi la possibilità di liberarci da un simile regime?
L'esperienza non ci insegna che da simili regimi non ci si libera che per un intervento esterno?
Basta, in tutti i casi, analizzare simili situazioni, scrutare, indignarsi e "esigere" per sperare che gli Dei ci offrano una soluzione? Che fare per ottenere che i sorvegliati sorveglino?

Valentino ha detto...

domando: se il destinatario di una mailing list (ben precisa) partecipa ad una terza persona il contentuto degli scambi epistolari elettronici, lede il diritto degli altri destinatari al segreto?
Contro il terzo che viene a conosceza del contenuto, se oggetto di insulti, si configura un qualche illecito?

attendo lumi... grazie...

baron litron ha detto...

e che dire del comportamento di facebook (comunità alla quale non appartengo, e dalla quale mi sono sempre tenuto ben alla larga?

non la si potrebbe denunciare per violazione dei diritti fondamentali, quando si adopera in determinati comportamenti?

attenti, chi ne fa parte, perché ciò che pubblicate in facebook non è più di vostra proprietà, ma diventa proprietà di facebook, che può farne ciò che vuole.

e no è sempre facile capire ciò che è privato (s'è visto poi con quale livello di riservatezza) e ciò che è pubblico, ciò che l'amministratore può e non può vedere.....

Anonimo ha detto...

Il cittadino considera una e-mail come una lettera elettronica e per analogia la cadella di posta sul server ad una cassetta postale a tutti gli effetti.
Un magistrato non può non cogliere la completa similutidine.
Un disonesto può spiare la posta elettropnica al pari di un portinaio disonesto che apre la cassetta postale e mette la busta sotto il vapore (ma funziona? me lo sono sempre chiesto!).

Un forum o una maling list sono equiparabili a delle piazze (se pubbliche) o a dei club più o meno riservati.
Qui non c'è alcuna privacy da violare. I destinatari sono liberi di spettegolare a piacere.
ma questo può farlo anche il destinatario di una e-mail.
Se ricevo una lettera da Mario sono libero di dirne peste e corna, poi scatta l'ingiuria,la diffamazione ma non certo la riservatezza.

Il Governo non deve spiare nella mia corrispondenza, tradizionale o elettronica ma è libero di infiltrare agenti nei forum e nelle mailing cos' come è libero di infiltrare agenti nella folla o nei club ad ascoltare.

Anonimo ha detto...

Facebook è una bacheca dove tutti possono appuntare dei biglietti con su riportata la propria privacy.

Per uno che accetta di rendere pubblici in todo o in parte le proprie passioni non c'è legge che tenga.

Facebook è volutamente pubblico.
E' nata affinchè ciascuna ci metta la propria foto ed alcuni dati essenzaili per essere rintracciato dagli amici di infazia o simili.
Se poi questo qualcuno approfitta dell'occasione per scriverci le segretezze del suo animo peggio per lui.

baron litron ha detto...

"Facebook è una bacheca dove tutti possono appuntare dei biglietti con su riportata la propria privacy."

verissimo, se si tratta dei contenuti pubblici che si accetta di rendere tali.

ma qui si sta parlando di messaggi PRIVATI tra due membri della comunità di FB i quali, proprio in quanto privati, non devono essere accessibili all'amministratore....

in ogni caso, a ME interessa poco perché non sono membro, ma ai membri la cosa dovrebbe essere ben spiegata, onde evitare spiacevoli equivoci.

Anonimo ha detto...

Se lei PAGA un servizio di posta elettronica lei ha diritto alla qualità descritta nel contratto.

Se lei NON PAGA un servizio di posta non ha diritto ad alcunchè.
Su facebbok, da qualche parte, ci sarà qualche clausola a proposito del "servizio postale" e della custodia dei suoi dati.
Magari c'è scritto che non un servizio di posta, ma un servizio di invio di messaggi....non sigillati.

A mio avviso i primi difensori della nostra riservatezza dobbiamo essere noi.

baron litron ha detto...

mi perdoni signor Spiano, ma io ho un vecchissimo indirizzo di posta elettronica con libero,completamente gratuito e ancora attivo: il fatto che non lo paghi dà secondo lei il diritto a Libero di intercettare, leggere ed eventualmente censurare i miei messaggi?

oppure, per farla più semplice, se io do al portinaio del suo palazzo una busta chiusa chiedendogli di consegnargliela, il fatto che no abbi a pagato il francobollo autorizza il portinaio ad aprirla e leggerne il contenuto?

il concetto per cui se io non pago un servizio non ho alcun diritto mi spaventa non poco, se devo essere sincero.....

Anonimo ha detto...

La buona educazione impedisce di leggere gli appunti altrui sigillati o meno che siano....ma è bene non fidarsi.
Effettivamente, gratis o a pagamento non cambia nulla, Ella non ha modo di accorgersi dell'intercettazione.
Ed allora sana diffidenza: busta sigillata affidata ad una società che, dietro compenso,garantisce un buon servzio.

PS: Che una società di e-mail la interectti è un suo sospetto...come provarlo in giudizio?

baron litron ha detto...

"PS: Che una società di e-mail la interectti è un suo sospetto...come provarlo in giudizio?"


beh, non è proprio un mio sospetto.... se si collega al link che ho messo nel primo mio commento le sarà tutto più chiaro.

in ogni caso, concordo pienamente con questa sua affermazione: "A mio avviso i primi difensori della nostra riservatezza dobbiamo essere noi.", ed è proprio per questo che diffido profondamente da Facebook e attrezzi simili

Anonimo ha detto...

Alcuni (termine volutamente generico)
articoli della Costituzione o del codice penale sono puramenti teorici.

La Costituzione serve come paletto per il governo (il parlamento è solitamnete litigioso e numeroso), si proibisce al governo di fare intercettazioni di qualsiasi natura e forma e di riflesso al cittadino comune.
Non solo la Costituzione ma anche lo spirito costituzionale, lo spirito democratico,il senso civico ci impediscono di curiosare.
Dal governo mi difendo giudicandolo, se mi fido (se non mi fido...sto attento a ciò che scrivo), dalla società o dal concittadino la vecchia e sana diffidenza!!

(E che dire di coloro che si vendono i ns dati!)