giovedì 1 settembre 2011

Flamminii Minuto spirito libero




di Oliviero Beha



da Il Fatto Quotidiano del 30 agosto 2011


Se ne è andato Oreste Flamminii Minuto, evadendo dalla prigione dei suoi malanni e lasciando non un buco ma un cratere in tutti coloro che gli sono stati vicini, affettivamente, amichevolmente, professionalmente.

È stato vivo, vivissimo nei sentimenti, nelle emozioni e naturalmente nelle idee, fino a un momento prima di andarsene: sembra un’ovvietà, ma forse non lo è o non lo è mai stata per lui e per i suoi simili.

Per morire bisogna essere vivi.

Figlio di un generale medaglia d’oro al valor militare aveva il coraggio nelle vene e nella testa.

A 18 anni si guadagnò una medaglia al valor civile per aver salvato due che stavano annegando, per dire …

Le sue radici erano a Colledara, sul versante adriatico del Gran Sasso dove la piana comincia a respirare orizzontalmente, radici di abruzzese scabro di fuori e gentile di dentro rimasto legatissimo a quelle zolle: uno che poteva disquisire di tutto o quasi e infiammarsi o meglio infumarsi di colpo mandandoti rudemente a quel paese senza preavviso.

Dalle sue foto giovanili si affaccia un bel giovane biondo, minuto, attraente per le donne e insieme inquieto, un generoso “cuore granata” e un’aletta veloce nelle partite della squadra dell’Espresso in cui Scalfari sembrava quasi – per la gran barba quello di ora …

È stato un grandissimo, inarrivabile avvocato, ma per questo suggerisco ai giovani lettori de Il Fatto una semplice cliccatina su un motore di ricerca … Troveranno tanto su di lui, specie per le sue battaglie a favore della libertà di parola.

Considerarla però soltanto una pur decisiva e democratica questione di “stampa” è fare un torto a Oreste e alle sue intemerate.

Certo, era il punto di arrivo, come quando nel dicembre scorso provocò sul tema Wikileaks, interrogandosi su cosa sarebbe accaduto nel Paese dei Berlusconi e dei Frattini, ma anche dei D’Alema e dei Bersani, se quell’Assange fosse stato italiano …

Ma per Oreste, finissimo spirito dalla testa ai piedi e quindi uso a mischiare pandette e partite, aule di Tribunale e campagna con porchetta “ma delle mie parti”, alto e basso, istituzioni e strada senza lasciare mai il timone dell’onestà intellettuale, del rispetto di sé e degli altri, la libertà di espressione era la parte visibile di una libertà interiore che vedeva scarseggiare sempre di più.

La libertà di pensiero non si compra né si vende, non si vede dall’esterno ma si dimostra nei comportamenti, nelle scelte, nei prezzi pagati: Oreste è stato tutto questo, sanguigno e coraggioso.

Di raro, aveva anche un suo modo di “storicizzare la cronaca”: da sempre la sua idea era quella di pensare, parlare, esercitare la sua professione senza privarsi di un orizzonte che storicizzasse il suo lavoro, comunque ficcato ben dentro la quotidianità.

Ho perso il conto delle cause per diffamazione da lui sostenute difendendo L’Espresso per mezzo secolo in tutti i contesti, dalle more democristiane alle asperità comuniste, nelle stagioni del terrorismo come in quelle del lassismo berlusconiano, venendo ripagato ultimamente con una moneta d’ottone che gli ha fatto male: di certo so che le ha vinte tutte.

Un bel record, non vi pare?

E provate a chiedere di lui nel luogo mitico del cinema italiano più importante, nel ristorante romano da “Otello alla Concordia”, dove da avvocato, da amico (spesso in veste “Amici miei”) ma soprattutto da persona ha diviso il tempo, gli umori e l’aspetto professionale che gli perteneva con Germi, o Monicelli, o Scola, e un elenco lunghissimo di “addetti”, nel senso anche di addetti a stimarlo sempre, e spesso a volergli bene.

Per questo dico che lascia un cratere che non si colma se non in parte con la memoria del suo pensiero, dei suoi scritti, del resoconto delle sue “campagne”.

Forse una raccolta complessiva dei suoi scritti e delle sue arringhe gli renderebbe merito adeguato più del solito “parce sepulto” esibito come salvacondotto.

Muore giovanissimo, credetemi, anche se a 79 anni, avendo profuso impegno senza risparmio, emanando calore intellettuale e politico nel senso più pieno dell’aggettivo (ormai naturalmente dimenticato o considerato obsoleto), riuscendo vicino a chiunque avesse a che fare anche fuggevolmente con lui proprio per tale innata disponibilità che aveva trasformato nel motore del suo lavoro.

Per questo parlare solo di un formidabile avvocato specialista dei processi in merito alla libertà di stampa, che pure è sotto i tacchi come non mai ora e qui, rischia di ridurne la sagomatura e forse non gli basterebbe o non lo interesserebbe più di tanto.

Sia quando raccontava delle sue origini e dei suoi studi, e poi delle sue battaglie epocali in aula, sia ultimamente quando aveva pienamente scoperto internet continuando a pronunciare “e-mail” proprio come si scrive per un suo vezzo insuperabile, quello che davvero gli premeva era il fantasma della libertà che lui umanisticamente metteva in scena in ogni momento della sua giornata.

Ricordarlo come un uomo libero con tutte le virgolette di un concetto apparentemente astratto, un uomo che non aveva paura della libertà, circonda il bordo del cratere e ci permette forse di godercelo ancora un poco, vivissimo nella memoria mentre molti zombies gli sopravvivono.

Ciao, Oreste.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Colledara, non "Colle d'Ara"...tanto per dire...

"Uguale per tutti" ha detto...

Per Anonimo delle 19.00.

Grazie mille per la segnalazione.

Avevamo riportato l'articolo così come testualmente da Il Fatto Quotidiano.

Abbiamo apportato la correzione che ci ha segnalato.

La Redazione