venerdì 3 luglio 2020

L'importanza di parlarsi, Ernesto.


Sui quotidiani Il Corriere della sera del 2 luglio e su  La Verità del 3 luglio compaiono due articoli che, in relazione alla vicenda del giudice Amedeo Franco, il cui audio “postumo” agita le cronache di questi giorni, coinvolgono il dott. Ernesto Lupo, che ha rivestito la carica di vertice della magistratura giudicante quale Presidente della Corte di Cassazione ed, in seguito, dopo essere andato in pensione, il ruolo di consigliere giuridico del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.  

In questi articoli  vengono riferiti, sostanzialmente, due fatti. 

Il primo. 

Il giudice Amedeo Franco aveva tentato di comunicare il proprio tormento per la decisione sul caso di Silvio Berlusconi al dott. Ernesto Lupo il quale, tuttavia, ritenne corretto non ascoltarlo sul tema perché coperto dal segreto della camera di consiglio. 

Il secondo. 

Il giudice Franco aspirava ad un posto di presidente di sezione in Cassazione e provocò in proprio favore l’intercessione del dott. Ernesto Lupo che ne apprezzava le doti professionali. E’ lo stesso dott. Lupo a dichiarare che senza far parte delle correnti risulta piuttosto difficile far valere i propri meriti professionali. Evidentemente l’intervento - definito certo - del dott. Lupo, vuoi per la  sua autorevolezza, vuoi per il tepore  correntizio nel quale egli aveva comodamente trascorso la carriera, funzionò ed il dott. Franco ottenne la nomina sperata,  rientrando in uno di quei “pacchetti” di nomi che solitamente fanno transitare  all’agognata meta di carriera soltanto i fidelizzati delle correnti della magistratura, previa equa suddivisione tra loro (e soltanto tra loro) dei posti da distribuire. 
Lo stesso dott. Lupo, invero, stando a quanto riportato da La Verità, si dichiara un “tiepido sostenitore dei Verdi”. 


Sulla base di questi dati che allo stato non sono stati smentiti dal dott. Ernesto Lupo possono svolgersi alcune considerazioni. 

Il dott. Franco non avrebbe avuto alcuna ragione di discutere col suo ex presidente  della sentenza di condanna contro Silvio Berlusconi. Il dott. Lupo afferma di averlo sempre evitato e di aver riportato la discussione al suo tema  centrale, vale a dire l'aspirazione ad un posto di presidente di sezione in cassazione del dott. Amedo Franco.   

Ora di questo “fatto”, oggettivamente preso per come oggi narrato dall’unico “superstite”, vale a dire dal dott. Ernesto Lupo (al quale auguriamo lunga vita),  si possono dare due difformi interpretazioni.   

La prima. 
Il consigliere Amedeo Franco era tormentato nell’animo e voleva trasmettere la sua angoscia al collega più autorevole che potesse conoscere, il suo riferimento essendo stato presidente in cassazione. A leggerlo così,  il dott. Franco avrebbe quindi inteso comunicare al dott. Ernesto Lupo le stesse cose che avrebbe detto a Berlusconi.
Non sappiamo nulla del dott. Amedeo Franco come persona e riteniamo a dir poco inusuale il suo colloquio col condannato dopo la redazione della sentenza di condanna, quasi ad invocarne la comprensione  se non il perdono.  

L'alternativa. 
Il reiterato tentativo del dott. Franco  di innestare nel discorso col suo (ex) presidente – il cui oggetto era quello del suo approdo alla presidenza di una sezione della corte -  la vicenda della condanna di Silvio Berlusconi può assumere un significato diverso e forse più logico, coerente, conseguenziale: verosimilmente il magistrato ipotizzava che l’aver concorso a condannare Silvio Berlusconi potesse essere un titolo di merito da spendere nel sistema delle correnti della magistratura, in quell’epoca alquanto avverse a quel leader politico.Non già espiare una colpa, dunque, ma vantare un titolo di merito. Non avrebbe avuto senso logico confessare la sua debolezza di uomo e di magistrato proprio mentre invocava sostegno per essere nominato ad un alto incarico nella Corte di Cassazione.     

Resta tuttavia certo che il dott. Lupo si spese  - dall'esterno del CSM e della magistratura - per il collega esclusivamente per le sue doti professionali, non essendovi ragione  per  mettere in dubbio la versione fornita dal dott. Ernesto stante  la sua proverbiale correttezza, da lui stesso richiamata.

Che tuttavia non gli impedì di interferire in affari che non dovevano riguardarlo, non essendo più nè presidente della Corte, nè  membro del CSM;  sicuramente , nel panorama di quelli di rilevanza costituzionale,  l'organo più facilmente permeabile ai poteri esterni e non legittimati che agiscono  al di fuori di ogni procedura garantita. A meno che non si bestemmi l'esistenza della "corrente" del Presidente della Repubblica, con un suo specifico peso nella logica delle spartizioni clientelari.         

Ci sentiamo quindi di muoverle un rimprovero, strumentalizzando Oscar Wilde che amava smascherare ipocrisia ed apparenza della società inglese dei suoi tempi.    

L’importanza di parlarsi, Ernesto!

Lei è stato componente di diritto del CSM e, subito dopo la pensione, senza soluzione di continuità, consigliere giuridico del Quirinale.  

Lo aveva spiegato  al Presidente Giorgio Napolitano che in magistratura se non “appartieni” ad una corrente non hai alcuna chance di essere considerato? 

Gli aveva spiegato che questo modo di operare favorisce l’ideologizzazione della magistratura ed il suo schieramento politico, contro ogni volontà del Costituente? 

Gli aveva  consigliato di vietare ai consiglieri superiori di costituirsi in “gruppi” correntizi al CSM e di votare compatti in base alle appartenenze? 

E se non lo ha fatto, dott. Ernesto, accetti allora  - dall’alto della sua ineguagliabile “carriera”  - questa modesta critica che le viene da colleghi più giovani ed ingenui ma che da sempre rifuggono il “tepore correntizio”  e cercano di spiegare ai cittadini quanto alto sia il tradimento della Costituzione provocato dal correntismo in magistratura e , soprattutto, nel CSM. 


2 commenti:

bartolo ha detto...

Beh...a fare l'Oscar Wilde ancora più cattivo qualcuno potrebbe pensare che abbia confermato l'autenticità dell'inusuale confessione illecitamente captata...

francesco Grasso ha detto...

E' cosa ovvia che da una analisi logica dei fatti certi si evince che questa attività di consigliere del presidente della repubblica abbia preso inizio in tempi antecedenti il pensionamento. Ciò che appare rilevante, è capire se questi consigli erano venivano sempre da sola parte, o se li davano a vicenda. Soprattutto la natura: erano spassionati o si tratta di "impedimenta impedientia".