In
un articolo pubblicato su La Repubblica lo scorso 2 luglio, Gustavo
Zagrebelsky, Presidente emerito della Corte costituzionale e indubbiamente tra
i più autorevoli e credibili osservatori delle vicende politiche e sociali, ha
preso in esame il fenomeno della progressiva e apparentemente irrefrenabile
perdita di credibilità che attinge complessivamente la categoria dei
magistrati.
Accomunandoli
in quest’ottica ai politici e ai giornalisti, l’illustre costituzionalista
rinviene la ragione di tale generale fenomeno nel fatto che – Egli scrive – l’immagine
della dea Giustizia va rovinosamente in pezzi per tutti quando uno solo provoca
un cortocircuito tra rappresentazione e realtà.
Dunque,
a differenza di quanto accadrebbe per tutte le altre professioni, i cattivi
comportamenti dei singoli magistrati intaccano e coinvolgono negativamente
l’intera categoria, la Magistratura tutta: caso Tortora docet, con
conseguenti “referendum punitivo” e “legge sulla responsabilità
civile”, chiosa l’ex Presidente della Consulta.
Può
darsi che anche questa “eccedenza di significato” delle parole e delle
azioni dei singoli stia avendo un peso nel generale discredito e nella
complessiva perdita di credibilità dei magistrati - e, con essi, della
giurisdizione - a cui si sta andando incontro.
Tuttavia,
siamo inclini a ritenere che la causa principale del fenomeno vada ravvisata
nel fatto che la giustizia – come lo stesso Zagrebelsky non manca di rilevare –
è caduta preda di cricche, congreghe, “giri” di potere che hanno sbocco nel
Consiglio superiore della magistratura.
“Giri”
– scrive il Professore – che “si chiamano “correnti” e hanno il loro humus
nell’Associazione nazionale magistrati e da lì intrattengono rapporti
corruttivi con ambienti della politica interessati soprattutto alle nomine nei
posti dirigenziali”. Se il giudice “deve qualcosa a qualcuno, per
esempio il posto che occupa, e quel qualcuno è a sua volta espressione di
improprie influenze, queste transitano a chi ne è beneficiato. Le correnti e le
collusioni con certa politica non si arrestano al CSM; l’inquinamento si
scarica sui giudici che ne traggono vantaggio”. Le persone che compongono
il CSM sono “tutte inventariate per appartenenza a correnti e partiti […],
proiezioni di strutture di potere esterne”, dove “i singoli, salve
eccezioni, contano non in quanto tali ma in quanto mandatari di mandanti
esterni e in quanto capaci di organizzare gruppi consiliari, con accordi e
alleanze”.
Se
questo è il quadro desolante dell’attuale stato della “giustizia”,
altrettanto desolante è la risposta che Zagrebelsky dà alla domanda sul che
fare per rimediare.
Il
Professore, infatti, alza le mani e non trova di meglio che affidarsi alla
preghiera verso una sorta di laica Provvidenza, “in fervida attesa del rinnovamento
morale che tutti invochiamo”.
Il
discorso, però, appare contorto, apodittico, illogico e incoerente.
La
porta di questo approccio pseudoreligioso sta nel fatto che, afferma l’Emerito,
“le istituzioni sono importanti, ma più importanti sono le persone”.
Inutile,
dunque, riporre “troppe speranze” nelle “le riforme”: non
avrebbero “la forza di cambiare la sostanza” mentre questa avrebbe “la
forza di addomesticare le forme”.
Se il male sta proprio nel CSM, nelle “correnti”
e “nella collusione con interessi di politicanti e nella qualità degli
accordi” e se i singoli non contano in quanto tali ma solo quali
tessitori di trame e organizzatori di gruppi, non si comprende affatto perhé ogni soluzione
riguardante “i metodi di elezione del CSM” dovrebbe essere “malleabile” e
finirebbe per “dare ulteriori occasioni a quei giri che si vorrebbero
sconfitti”, ossia alle “correnti”, bastando alle stesse, a tal fine,
soltanto “un po’ di tempo”.
Le
persone saranno pure importanti, ma se la più grave falla nella giustizia è che
essa “è caduta preda di cricche, congreghe, “giri” di potere che hanno
sbocco nel Consiglio superiore della magistratura”, ossia di “correnti
che intrattengono rapporti corruttivi con ambienti della politica interessati
soprattutto alle nomine nei posti dirigenziali”, a noi sembra che quella “falla”
possa quanto meno essere contenuta da adeguate “riforme”.
Certo,
se si pensa a tocchi gattopardeschi come quelli che sembrano riempire
l’attuale madia governativa, meglio restare digiuni
Occorrono
interventi radicali, costruiti precludere alla radice l’impossessamento
del CSM – oggi pressoché totale – da parte di “cricche, congreghe,
“giri” di potere”.
E
che ciò sia possibile – da qui l’incoerenza con l’assunto dell’inutilità delle
riforme – lo riconosce implicitamente lo stesso Zagrebelsky.
All’affermazione
secondo cui “ogni soluzione è malleabile, basta aspettare un po’ di tempo”,
l’Illustrissimo costituzionalista infatti premette: “a meno di passare assurdamente
all’estrazione a sorte”.
Ah,
ecco! Anche Zagrebelsky lo riconosce, ci sarebbe una riforma capace di liberare
il CSM da “cricche, congreghe, “giri” di potere”: “passare
all’estrazione a sorte”.
E
questo spiega, molto semplicemente, perché le “correnti”, di ieri e di
oggi – più o meno aggregate, disgregate o rinominate – vedano il diavolo in questa
soluzione e ad essa si siano all’unisono sempre
strenuamente opposte.
Cambiare, dunque, si può mentre pregare, in questo campo, non serve a niente.
Dobbiamo
aggiungere che ci sorprende non poco che Zagrebelsky ritenga l’estrazione a
sorte, per quanto efficace a scardinare la correntocrazia, una soluzione assurda.
Egli – così profondo conoscitore della storia e così appassionato sostenitore
della democrazia – sa bene che proprio l’estrazione a sorte è il metodo
elettivo proprio della democrazia.
Quanto
alla convinzione che “passare all’estrazione a sorte” sarebbe “una
miserabile confessione d’impotenza”, è invece assolutamente evidente che
non è così e che, anzi, è esattamente il contrario.
“Passare
all’estrazione a sorte” dei componenti del CSM o – come si propone, a
Costituzione invariata, da parte di questo Blog – dei candidati, costituirebbe
espressione dell’idea costituzionale della piena legittimazione dei magistrati
in ragione delle loro professionalità e del loro statuto di indipendenza e imparzialità
previsto, a garanzia dei diritti delle persone, dalla stessa Costituzione
nonché una plastica esplicazione del principio secondo cui i magistrati si
distinguono soltanto per diversità di funzioni, necessaria e decisiva
sfaccettatura di quello fondamentale secondo cui tutti sono uguali davanti alla
legge.
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