mercoledì 1 settembre 2010

Un Processo breve per incanto





di Massimo Vaccari
(Giudice del Tribunale di Verona)







In questi ultimi giorni è tornato prepotentemente alla ribalta il dibattito sul c.d processo breve, dopo che il governo ha annunciato l’intenzione di far approvare in tempi rapidi il disegno di legge relativo, che è stato licenziato dal Senato a gennaio di quest’anno, anche alla Camera.

Le ricadute che questa ennesima riforma, se entrerà in vigore nella sua attuale versione, avrà sul processo penale sono già state illustrate da autorevoli esperti su alcuni quotidiani. Meno noti sono gli effetti negativi che essa potrà avere nel processo civile e ritengo pertanto opportuno offrire qualche spunto di riflessione al riguardo, sulla base della mia esperienza di magistrato dedito al settore civile.

Innanzitutto è opportuno chiarire che il disegno di legge in esame non modificherà il codice di procedura civile ma la legge 89/2001, meglio nota come legge Pinto, che riconosce un indennizzo a chi abbia subito un processo di durata non ragionevole.

In estrema sintesi la legge sul processo breve intende fissare in due anni, aumentabili a tre, il periodo massimo entro il quale dovrà svolgersi ciascuno dei vari gradi del giudizio civile (primo grado, appello e cassazione), prendendo come momento iniziale quello della prima udienza e come momento finale quello del provvedimento che definisce il giudizio.

Una volta scaduto tale termine, senza che vi sia stata una decisione da parte del giudice, il processo proseguirà normalmente ma la sua durata non sarà più ragionevole e la parte interessata potrà chiedere l’indennizzo previsto dalla Legge Pinto, a condizione che in precedenza abbia presentato al giudice competente un’istanza di sollecita definizione del giudizio di cui lamenta la lentezza.

E’ questa istanza che, in concreto, secondo le intenzioni del legislatore, dovrebbe determinare l’accelerazione del giudizio perché, nel caso in cui venga presentata, il giudice sarà tenuto a fissare le udienze che fossero necessarie ad intervalli non superiori a quindici giorni l’una dall’altra.

Ora tale meccanismo non tiene conto che la durata dei processi civili dipende non solo dall’atteggiamento delle parti e del giudice ma anche da una serie di variabili imprevedibili e oggettivamente ineliminabili, come la complessità dei fatti da accertare, il numero delle parti, i vizi procedurali che si possono verificare nel corso di essi. E’ proprio per questo motivo che, attualmente, per stabilire se un processo abbia avuto una ragionevole durata o meno non si può prescindere dall’esame del caso specifico.

La nuova disciplina invece non considera le peculiarità di ciascun processo e la sua applicazione sarà vieppiù problematica in quei processi che richiedono una ampia attività probatoria, che è impossibile contenere in tempi predefiniti, se non a rischio di lacune ed errori.

In questi casi le norme approvate dal Senato, se non modificate, comprimeranno non solo i tempi del giudizio ma anche il diritto di difesa delle parti che avessero interesse, o necessità, di una attività istruttoria approfondita e in tempi congrui, ma che non potranno opporsi alla istanza di accelerazione del processo, non essendo previsto il loro consenso sul punto.

In questa prospettiva anzi l’istanza di accelerazione potrà essere strumentalizzata dalla parte che, sapendo di aver torto, non volesse far accertare compiutamente i fatti.

Ancora il progetto di legge rischia di provocare disparità di trattamento difficilmente giustificabili.

Il giudice, infatti, potrà trovarsi nella situazione di dare la precedenza a cause di valore modesto, a scapito di altre più rilevanti, sotto il profilo economico o sociale, qualora solo nelle prime venisse presentata l’istanza di accelerazione.

E’ facile prevedere, poi, che, qualora le istanze dovessero essere numerose, sarà pressoché impossibile rispettare i termini fissati dal disegno di legge, perché dovranno essere tutte trattate con pari celerità, con l’ulteriore conseguenza che per tutte maturerà il diritto ad ottenere l’indennizzo previsto dalla legge Pinto.

A fronte di tali molteplici inconvenienti davvero non si vede quali possano essere i benefici della disciplina attualmente in gestazione, tanto più se si considera che, solo a luglio del 2009, è entrata in vigore una riforma del codice di procedura civile che ha, tra le principali finalità, quella di abbreviare i tempi del giudizio civile (basti pensare alla possibilità per il giudice di comminare sanzioni pecuniarie alla parte che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, alla riduzione dei termini per lo svolgimento di determinate attività processuali, alla introduzione del processo sommario).

Peraltro molti commentatori hanno convenuto che nemmeno quest’ultima modifica normativa servirà ad ovviare ai ritardi della giustizia civile che spesso, anche se non sempre, sono obiettivamente intollerabili.

Infatti, a determinare le attuali condizioni della giustizia civile, come è stato evidenziato più volte a più livelli, concorrono, da un lato, l’elevato tasso di litigiosità degli italiani e, dall’altro, la cronica carenza del personale di cancelleria, un criterio di distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio superato e, per alcuni distretti di corte di Appello, l’inadeguatezza degli organici dei magistrati rispetto al numero degli abitanti.

Per incidere su tali fattori occorrono interventi strutturali ed organizzativi profondi di cui non vi è traccia nel disegno di legge sul processo breve.


10 commenti:

Francesco S. ha detto...

Si sente spesso parlare, in questi giorni di dibattito sulla giustizia, del “Lodo Alfano costituzionale”. A quanto ho avuto modo di capire tale norma ripristinerebbe in toto, e stavolta seguendo la procedura di cui all'art. 138 della Costituzione, le norme tese a garantire uno “scudo processuale” a favore del Presidente del Consiglio e delle alte cariche dello Stato, così come già come introdotto dalla legge 124/2008 cosiddetta “Lodo Alfano”, il cui art. 1 è stato dichiarato contrario agli articoli 3 e 138 dalla Corte Costituzionale (con la nota sentenza del 7 Ottobre 2009).
La questione che pongo riguarda la legittimità, qualora venisse prodotta, di una siffatta legge costituzionale, ed è la seguente: determinando necessariamente la deroga all'art. 3 Cost., così come stabilito dalla citata sentenza di Corte Costituzionale e cioè di una norma, l'art. 3, contenuta nei “Principi fondamentali” della nostra Carta; e contenendo questa stessa norma alla quale si derogherebbe la chiara enunciazione, art. 3 comma I, del principio di eguaglianza formale, da sempre ritenuto dai giuristi non solo tra i principi fondanti della Costituzione (così come enuncia a chiare lettere il titolo nel quale è contenuta), quelli cioè che declinano la Forma di Stato italiana, ma in quanto tale anche vero e proprio limite, sia pure implicito, alla revisione costituzionale, mi chiedo e vi chiedo:
_ se questa legge costituzionale potrebbe essere considerata costituzionalmente legittima, seppure alterante una norma e un contenuto costituzionale di tale importanza e centralità, e anche alla luce di quanto giudicato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza;
_ se la Costituzione prevederebbe un meccanismo a garanzia dei propri limiti impliciti alla revisione costituzionale, e se questo potrebbe essere attivato in questo caso.

Besugo ha detto...
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Besugo ha detto...
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Besugo ha detto...
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Unknown ha detto...

Non capisco perchè analizziamo nei minimi particolari leggi farlocche.
Sotto un certo punto di vista questo è un articolo stupido perchè:

1)Un processo è un lavoro intellettuale e non può essere soggetto a tempo.

2)Al giusto processo ci si arriva con buoni codice e risorse proporzionali al lavoro da svolgere.

E noi ancora qui a spezzare il capello in quattro?
La mia è una considerazione amara perchè anch'io, nel mio piccolo non posso fare a meno di indignarmi e scrivere, scrivere,scrivere cose ovvie scontate e quindi stupide.

Arriveremo al punto che le cause civili verranno risolte a testa e croce ma qui basta un articolino molto semplice:

Art 1) D'obbligo l'uso della moneta da 1 euro.

Anonimo ha detto...

Se qualche giornale pubblicasse (almeno a puntate) la motivazione della sentenza SU 15208 del 2010 relativa al processo Mills gli italiani comprenderebbero per incanto perchè è importante il processo breve (e solo quel processo)e persino la proposta di rendere inutilizzabili le sentenze di cassazione.
Forse si teme anche il sequestro dei beni conseguiti con l'evasione fiscale.
Che pacchia per un avvocato avere il cliente imputato che può far approvare leggi su misura da portare in giudizio rivestendo anche la carica parlamentare pagata dai cittadini con tanto di auto blu con autista.
Alessandra

Unknown ha detto...

Nell'immediato dopoguerra la popolazione italiana si distingueva in analfabeti, semianalfabeti ed alfabetizzati.
Il passaggio da analfabeta a semianalfabeta avvenne, spesso, grazie al vituperato servizio di leva obbligatorio e non pochi fecesro il passaggio successivo: da semianalfabeta a alfabetizzato.

Oggi esiste l'alfabetismo funzionale che è l'analfabetismo moderno: terminati gli studi, anche universitari, non si legge più o al massimo solo testi tecnici o utili nel mondo del lavoro. La dimostrazione?

Il caso Mills, ed è una notizia che non hanno potuto nascondere, è iniziata in INGHILTERRA, è stato in quel paese che ha avuto l'input e trovato tracce di reato la palla è balzata in Italia.
Subito dopo si parlato delle solite toghe rosse politicizzate.

Unknown ha detto...

L'approvazione del lodo Alfano mira la credibilità della Corte Costituzionale agli occhi della gente, non tutta ma buona parte di essa, quanti? il 40% della popolazione superiore ai 16 anni? E vi pare poco?

Non si scrive mai che la Costituzione è nata anche e sopratutto, fissando le regole fondamentali del gioco, a ridurre il rischio di una guerra civile.
Cosa ci dice lo spirito democratico?

1)Nessuno è figlio della gallina bianca.

2)Tutti siamo utili e nessuno indispensabile.

3)Morto un papa se ne fa un altro.

Anonimo ha detto...

l'art 3 é derogato in diversi articoli della costituzione:si ritiene che una norma costituzionale possa derogarvi.D'altronde l'art 68 costituzione prima di essere modificato,prevedeva che i parlamentari non potessero essere indagati,se la camera di appartenenza non avesse dato il proprio parere positivo e mai nessuno ha messo in dubbio che questa norma non fosse costituzionale.
Seconda cosa,processo breve:ma come mai nessuno dice niente sul progetto di legge che la Finocchiaro ed altri avevano presentato nel 2006 che prevedeva la stessa prescrizione processuale della proposta presentata da questo governo?I soliti due pesi e due misure?

francesco Grasso ha detto...

Gli artt. 1-12 della Costituzione sono
PRINCIPI FONDAMENTALI.
Gli articoli dal 13 in poi possono essere derogati,ma senza entrare in contrasto con questi Principi, poichè il contrasto li pone in stato di incostituzionalità, ancorchè emessi con legge costituzionale.
La modifica dell'art. 68 non è in contrasto con i PRINCIPI.