di Donato D'Auria - Magistrato
Dopo la nomina di Alfonso Bonafede a ministro della Giustizia tanti - forse ingenuamente - pensarono che l’aria di rinnovamento che una parte della classe politica lasciava intravedere potesse incidere significativamente sulle stantie logiche correntizie che ammorbano la Magistratura.
Le iniziali dichiarazioni lasciavano ben sperare: «È scritto nel contratto di governo che si vuole pensare e ipotizzare un sistema elettorale per il Csm che possa combattere il fenomeno del correntismo. In questa intenzione credo di avere il consenso di gran parte dei magistrati e secondo me è sacrosanto portare avanti una battaglia di questo tipo.
All'interno delle ipotesi di possibile sistema elettorale ci sono quelle che prevedono una fase di sorteggio, non integrale» (tanto dichiarò partecipando ai lavori del Congresso nazionale forense che si tennero nell’ottobre 2018 a Catania).
Il ministro, nella consapevolezza che un sistema elettivo basato sul sorteggio secco avrebbe richiesto la modifica dell’art. 104 della Costituzione (a mente del quale i Consiglieri Superiori «sono eletti»), continuava affermando: «Sappiamo che non è possibile e nemmeno auspicabile un sorteggio integrale, prevederebbe una riforma della Costituzione, e quindi stiamo sicuramente studiando un sistema elettorale. Lo faremo non contro qualcuno ma a favore di tutti quei magistrati che ogni mattina lavorano seriamente per il buon funzionamento della giustizia, lo fanno nelle mille difficoltà in cui sono stati abbandonati nel corso degli anni da parte dei governi. Secondo me - ha sottolineato - dare un segnale di questo tipo è fondamentale».
Tali dichiarazioni immediatamente gettarono nel panico i vertici della Associazione Nazionale Magistrati (l’A.N.M.), che per bocca del presidente dell’epoca, Francesco Minisci, si affrettarono a denunciare come un sistema elettivo basato sul sorteggio fosse incostituzionale.
Altro passaggio importante fu quello relativo ai rapporti tra magistratura e partiti politici, che affrontò con riferimento alla elezione dell’attuale vicepresidente del C.S.M., l’on. David Ermini: «Ho sostenuto semplicemente che, essendoci su otto membri laici soltanto un parlamentare eletto in questa legislatura, se i togati hanno ritenuto di individuare proprio in lui la guida sostanziale del Consiglio superiore della magistratura, vuol dire che hanno deciso di continuare a creare un legame con la politica o quanto meno di non cogliere l’occasione di avere un vicepresidente del Csm che fosse libero da dinamiche di partito, qualunque sia il partito».
Sempre in occasione della elezione del vicepresidente del C. S. M., il ministro la commentava su Facebook nei seguenti termini: «Prendo atto che all'interno del Csm, c'è una parte maggioritaria di magistrati che ha deciso di fare politica!». Continuava, poi, affermando: «Penso che la franchezza sia un valore nelle relazioni istituzionali! Non posso non prendere atto che i magistrati del Csm hanno deciso di affidare la vice presidenza del loro organo di autonomia ad un esponente di primo piano del Pd, unico politico eletto in questa legislatura tra i laici del Csm. In questi anni, da deputato mi sono sempre battuto affinché, a prescindere dallo schieramento politico, il Parlamento individuasse membri laici non esposti politicamente. Una battaglia essenziale, a mio avviso, per salvaguardare l'autonomia della magistratura dalla politica» e chiosava: «Evidentemente sta più a cuore al ministro della Giustizia che alla maggioranza dei magistrati».
Una boccata d’aria per i tanti magistrati che da anni ormai denunziano le commistioni tra magistratura e politica, oltre che l’occupazione capillare della istituzione consiliare da parte delle correnti (organizzate come veri e propri partiti politici e ad essi più o meno collegate), che - si badi - non sono che associazioni di diritto privato, nate peraltro con tutt’altri scopi.
Purtroppo, quando dalle dichiarazioni di principio dovette passare alle azioni concrete, il ministro Bonafede già da subito operò scelte che andavano in una direzione diametralmente opposta alle belle dichiarazioni di intenti sbandierate a destra ed a manca. Prima tra tutte la scelta del capo di gabinetto, che cadde su un magistrato pienamente inserito nelle logiche del sistema che il ministro diceva di voler combattere, essendo militante di lungo corso di una delle più potenti correnti, quella di Palamara, per intenderci (ed al quale sembra facesse capo, a leggere i messaggi che i due si scambiavano: a Palamara, che gli chiedeva di parlare con il Direttore generale della Direzione Generale dei magistrati del Ministero di Giustizia per sistemare una collega fuori ruolo, lo tranquillizzava rispondendo: «Se no che cazzo li piazziamo a fare i nostri?») e, poi, a cascata le scelte dei magistrati che andarono ad occupare posti chiave all’interno del ministero della Giustizia, a partire dal D.A.P., tutti scelti in base al manuale Cencelli tra gli appartenenti ai vari gruppi che compongono l’A.N.M., senza disdegnare amici o compagni di università.
Penso che si possa affermare, senza timore di essere smentiti, che non ve ne sia uno che non appartenga o sia vicino ad uno dei gruppi associativi.
Non solo, perché le cose sono evolute fino al punto da portare il ministro della Giustizia a rinnegare apertamente, senza spiegarne plausibilmente le ragioni, gli iniziali propositi. Partecipando al congresso della A.N.M. a Genova lo scorso mese di novembre, infatti, dichiarò: «Non voglio sbilanciarmi, ma molto probabilmente nel nuovo sistema elettorale del Csm non ci sarà alcun meccanismo di sorteggio», precisando che «l’idea è quella di un ballottaggio in piccoli collegi tra i magistrati che ottengono più voti. Il ballottaggio rende un po’ più complicata la possibilità di quelle degenerazioni che purtroppo in passato abbiamo visto», così avviando una totale ed amorevole convergenza con le correnti, sotto l’occhio compiaciuto dell’alleato di governo.
In altri termini, fino alla fine di settembre 2019 l’ipotesi di sorteggiare i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura sembrava «una scelta difficile da accettare», ma che andava fatta «per estirpare le degenerazioni correntizie», ma di fronte al muro innalzato dalla A.N.M., dunque, da tutte le correnti che la compongono - che hanno interesse a che il sistema resti così com’è, altrimenti perderebbero tutto il potere conquistato negli ultimi decenni - il ministro fa una clamorosa retromarcia, che naturalmente gli vale una vera e propria standing ovation all’ultimo congresso nazionale della A.N.M.
Del resto, il ballottaggio tra i magistrati più votati in collegi elettorali dalle piccole dimensioni è un rimedio del tutto inefficace, se davvero si vuole combattere la degenerazione del correntismo, atteso che non evita l’ingerenza delle correnti nella designazione dei candidati, posto che le stesse hanno dimostrato di occupare in maniera capillare i singoli territori, ridotti a veri e propri feudi elettorali, assicurando protezione e distribuendo prebende tra gli associati.
Lo testimoniano ancora una volta gli scambi di messaggi pubblicati recentemente: così, ad esempio, in relazione alla nomina contemporanea di tre procuratori della Repubblica in Piemonte, uno dei ras locali, pur senza aver alcun titolo, briga perché quei posti siano attribuiti a colleghi di suo gradimento «per trovare una soluzione valida per tutto il distretto»; così, sempre solo a titolo di esempio, in relazione alla vicenda della nomina di presidente di sezione del tribunale di Ancona, atteso che la candidata si preoccupava in una conversazione con Palamara che non apparisse che la sua nomina fosse stata decisa lasciando fuori Gigi, il ras locale, in quel momento ancora non al C.S.M., dunque senza titolo per metter bocca).
Ora, di fronte alla seconda fase del “caso Palamara” (la prima è quella che portò alle dimissioni di cinque consiglieri superiori lo scorso anno), che ha fatto emergere ulteriori casi di interferenze indebite di generali e colonnelli correntizi nelle nomine a posti direttivi e semidirettivi, che dovrebbero essere appannaggio esclusivo del C.S.M. e la vicinanza di questo sistema ad alcuni partiti politici (primo tra tutti quello alleato di governo), il ministro della Giustizia ha dichiarato, naturalmente su Facebook: «Nel mio discorso al Senato di mercoledì, tra i progetti da cui ripartire nel settore della giustizia, ho fatto riferimento alla riforma del Consiglio Superiore della Magistratura: adesso non si può più attendere. Questa settimana porterò all’attenzione della maggioranza il progetto di riforma, su cui tra l’altro avevamo già trovato un’ottima convergenza poco prima che scoppiasse la pandemia».
«Un’ottima convergenza», afferma, dunque, il ministro.
Con chi? Con quei gruppi che non hanno alcun interesse a perdere peso nella gestione dell’intera magistratura? Al fine di individuare «un nuovo sistema elettorale sottratto alle degenerazioni del correntismo»?
Pare evidente che «un’ottima convergenza» con le correnti per combattere le degenerazioni del correntismo sia un vero e proprio ossimoro! Basti pensare che il segretario dimissionario della A.N.M., Giuliano Caputo, in una intervista pubblicata oggi su La Stampa ha avuto l’ardire di affermare - udite, udite - che «L'alternativa, di una magistratura senza correnti, sarà il prevalere della logica delle amicizie e del lobbismo».
Ma la seconda fase del “caso Palamara” ha fatto emergere anche collusioni e opachi rapporti tra il sistema correntizio ed alcuni partiti politici, primo tra tutti il PD. Si è letto di recente di ministri di quell’area che, interloquendo con i capibastone correntizi, manifestavano gradimento per la nomina di un magistrato piuttosto che di un altro per un delicatissimo incarico direttivo di rilevanza nazionale, o di una parlamentare che, anche in questo caso senza averne alcun titolo, sponsorizzava presso i vertici correntizi la nomina di questo o quel magistrato a questo o a quel posto direttivo o semidirettivo. Si tratta di comportamenti all’evidenza eversivi, posto che sono espressione di una indebita e grave ingerenza nelle prerogative dell’autogoverno della magistratura.
E che dire della nomina odierna del nuovo capo di gabinetto del ministro Bonafede?
Errare è umano, ma mai come in questo caso - specie a fronte degli obbiettivi sbandierati - perseverare è veramente diabolico!
La scelta è ricaduta nuovamente su un uomo di apparato, al pari di quello precedente, solo vicino ad altra corrente ed in piena sintonia con l’ex ministro della Giustizia del PD, che nel 2017 lo nominò direttore generale del Dipartimento per gli Affari di Giustizia.
Dunque, nonostante i proclami contro il correntismo, il ministro Bonafede ha perso l’ennesima occasione per combatterlo davvero: il sorteggio, tenuto conto di quanto è emerso dalla inchiesta perugina, come ha scritto Cataldo Intrieri, «appare sicuramente preferibile alle pratiche da basso impero in uso e accettate, senza distinzione di sorta, da gran parte della corporazione».
Difficilmente i magistrati della cui collaborazione il ministro si avvale, scelti secondo rigide spartizioni tra le correnti, sapranno consigliarlo disinteressatamente.
Il ministro, nella consapevolezza che un sistema elettivo basato sul sorteggio secco avrebbe richiesto la modifica dell’art. 104 della Costituzione (a mente del quale i Consiglieri Superiori «sono eletti»), continuava affermando: «Sappiamo che non è possibile e nemmeno auspicabile un sorteggio integrale, prevederebbe una riforma della Costituzione, e quindi stiamo sicuramente studiando un sistema elettorale. Lo faremo non contro qualcuno ma a favore di tutti quei magistrati che ogni mattina lavorano seriamente per il buon funzionamento della giustizia, lo fanno nelle mille difficoltà in cui sono stati abbandonati nel corso degli anni da parte dei governi. Secondo me - ha sottolineato - dare un segnale di questo tipo è fondamentale».
Tali dichiarazioni immediatamente gettarono nel panico i vertici della Associazione Nazionale Magistrati (l’A.N.M.), che per bocca del presidente dell’epoca, Francesco Minisci, si affrettarono a denunciare come un sistema elettivo basato sul sorteggio fosse incostituzionale.
Altro passaggio importante fu quello relativo ai rapporti tra magistratura e partiti politici, che affrontò con riferimento alla elezione dell’attuale vicepresidente del C.S.M., l’on. David Ermini: «Ho sostenuto semplicemente che, essendoci su otto membri laici soltanto un parlamentare eletto in questa legislatura, se i togati hanno ritenuto di individuare proprio in lui la guida sostanziale del Consiglio superiore della magistratura, vuol dire che hanno deciso di continuare a creare un legame con la politica o quanto meno di non cogliere l’occasione di avere un vicepresidente del Csm che fosse libero da dinamiche di partito, qualunque sia il partito».
Sempre in occasione della elezione del vicepresidente del C. S. M., il ministro la commentava su Facebook nei seguenti termini: «Prendo atto che all'interno del Csm, c'è una parte maggioritaria di magistrati che ha deciso di fare politica!». Continuava, poi, affermando: «Penso che la franchezza sia un valore nelle relazioni istituzionali! Non posso non prendere atto che i magistrati del Csm hanno deciso di affidare la vice presidenza del loro organo di autonomia ad un esponente di primo piano del Pd, unico politico eletto in questa legislatura tra i laici del Csm. In questi anni, da deputato mi sono sempre battuto affinché, a prescindere dallo schieramento politico, il Parlamento individuasse membri laici non esposti politicamente. Una battaglia essenziale, a mio avviso, per salvaguardare l'autonomia della magistratura dalla politica» e chiosava: «Evidentemente sta più a cuore al ministro della Giustizia che alla maggioranza dei magistrati».
Una boccata d’aria per i tanti magistrati che da anni ormai denunziano le commistioni tra magistratura e politica, oltre che l’occupazione capillare della istituzione consiliare da parte delle correnti (organizzate come veri e propri partiti politici e ad essi più o meno collegate), che - si badi - non sono che associazioni di diritto privato, nate peraltro con tutt’altri scopi.
Purtroppo, quando dalle dichiarazioni di principio dovette passare alle azioni concrete, il ministro Bonafede già da subito operò scelte che andavano in una direzione diametralmente opposta alle belle dichiarazioni di intenti sbandierate a destra ed a manca. Prima tra tutte la scelta del capo di gabinetto, che cadde su un magistrato pienamente inserito nelle logiche del sistema che il ministro diceva di voler combattere, essendo militante di lungo corso di una delle più potenti correnti, quella di Palamara, per intenderci (ed al quale sembra facesse capo, a leggere i messaggi che i due si scambiavano: a Palamara, che gli chiedeva di parlare con il Direttore generale della Direzione Generale dei magistrati del Ministero di Giustizia per sistemare una collega fuori ruolo, lo tranquillizzava rispondendo: «Se no che cazzo li piazziamo a fare i nostri?») e, poi, a cascata le scelte dei magistrati che andarono ad occupare posti chiave all’interno del ministero della Giustizia, a partire dal D.A.P., tutti scelti in base al manuale Cencelli tra gli appartenenti ai vari gruppi che compongono l’A.N.M., senza disdegnare amici o compagni di università.
Penso che si possa affermare, senza timore di essere smentiti, che non ve ne sia uno che non appartenga o sia vicino ad uno dei gruppi associativi.
Non solo, perché le cose sono evolute fino al punto da portare il ministro della Giustizia a rinnegare apertamente, senza spiegarne plausibilmente le ragioni, gli iniziali propositi. Partecipando al congresso della A.N.M. a Genova lo scorso mese di novembre, infatti, dichiarò: «Non voglio sbilanciarmi, ma molto probabilmente nel nuovo sistema elettorale del Csm non ci sarà alcun meccanismo di sorteggio», precisando che «l’idea è quella di un ballottaggio in piccoli collegi tra i magistrati che ottengono più voti. Il ballottaggio rende un po’ più complicata la possibilità di quelle degenerazioni che purtroppo in passato abbiamo visto», così avviando una totale ed amorevole convergenza con le correnti, sotto l’occhio compiaciuto dell’alleato di governo.
In altri termini, fino alla fine di settembre 2019 l’ipotesi di sorteggiare i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura sembrava «una scelta difficile da accettare», ma che andava fatta «per estirpare le degenerazioni correntizie», ma di fronte al muro innalzato dalla A.N.M., dunque, da tutte le correnti che la compongono - che hanno interesse a che il sistema resti così com’è, altrimenti perderebbero tutto il potere conquistato negli ultimi decenni - il ministro fa una clamorosa retromarcia, che naturalmente gli vale una vera e propria standing ovation all’ultimo congresso nazionale della A.N.M.
Del resto, il ballottaggio tra i magistrati più votati in collegi elettorali dalle piccole dimensioni è un rimedio del tutto inefficace, se davvero si vuole combattere la degenerazione del correntismo, atteso che non evita l’ingerenza delle correnti nella designazione dei candidati, posto che le stesse hanno dimostrato di occupare in maniera capillare i singoli territori, ridotti a veri e propri feudi elettorali, assicurando protezione e distribuendo prebende tra gli associati.
Lo testimoniano ancora una volta gli scambi di messaggi pubblicati recentemente: così, ad esempio, in relazione alla nomina contemporanea di tre procuratori della Repubblica in Piemonte, uno dei ras locali, pur senza aver alcun titolo, briga perché quei posti siano attribuiti a colleghi di suo gradimento «per trovare una soluzione valida per tutto il distretto»; così, sempre solo a titolo di esempio, in relazione alla vicenda della nomina di presidente di sezione del tribunale di Ancona, atteso che la candidata si preoccupava in una conversazione con Palamara che non apparisse che la sua nomina fosse stata decisa lasciando fuori Gigi, il ras locale, in quel momento ancora non al C.S.M., dunque senza titolo per metter bocca).
Ora, di fronte alla seconda fase del “caso Palamara” (la prima è quella che portò alle dimissioni di cinque consiglieri superiori lo scorso anno), che ha fatto emergere ulteriori casi di interferenze indebite di generali e colonnelli correntizi nelle nomine a posti direttivi e semidirettivi, che dovrebbero essere appannaggio esclusivo del C.S.M. e la vicinanza di questo sistema ad alcuni partiti politici (primo tra tutti quello alleato di governo), il ministro della Giustizia ha dichiarato, naturalmente su Facebook: «Nel mio discorso al Senato di mercoledì, tra i progetti da cui ripartire nel settore della giustizia, ho fatto riferimento alla riforma del Consiglio Superiore della Magistratura: adesso non si può più attendere. Questa settimana porterò all’attenzione della maggioranza il progetto di riforma, su cui tra l’altro avevamo già trovato un’ottima convergenza poco prima che scoppiasse la pandemia».
«Un’ottima convergenza», afferma, dunque, il ministro.
Con chi? Con quei gruppi che non hanno alcun interesse a perdere peso nella gestione dell’intera magistratura? Al fine di individuare «un nuovo sistema elettorale sottratto alle degenerazioni del correntismo»?
Pare evidente che «un’ottima convergenza» con le correnti per combattere le degenerazioni del correntismo sia un vero e proprio ossimoro! Basti pensare che il segretario dimissionario della A.N.M., Giuliano Caputo, in una intervista pubblicata oggi su La Stampa ha avuto l’ardire di affermare - udite, udite - che «L'alternativa, di una magistratura senza correnti, sarà il prevalere della logica delle amicizie e del lobbismo».
Ma la seconda fase del “caso Palamara” ha fatto emergere anche collusioni e opachi rapporti tra il sistema correntizio ed alcuni partiti politici, primo tra tutti il PD. Si è letto di recente di ministri di quell’area che, interloquendo con i capibastone correntizi, manifestavano gradimento per la nomina di un magistrato piuttosto che di un altro per un delicatissimo incarico direttivo di rilevanza nazionale, o di una parlamentare che, anche in questo caso senza averne alcun titolo, sponsorizzava presso i vertici correntizi la nomina di questo o quel magistrato a questo o a quel posto direttivo o semidirettivo. Si tratta di comportamenti all’evidenza eversivi, posto che sono espressione di una indebita e grave ingerenza nelle prerogative dell’autogoverno della magistratura.
E che dire della nomina odierna del nuovo capo di gabinetto del ministro Bonafede?
Errare è umano, ma mai come in questo caso - specie a fronte degli obbiettivi sbandierati - perseverare è veramente diabolico!
La scelta è ricaduta nuovamente su un uomo di apparato, al pari di quello precedente, solo vicino ad altra corrente ed in piena sintonia con l’ex ministro della Giustizia del PD, che nel 2017 lo nominò direttore generale del Dipartimento per gli Affari di Giustizia.
Dunque, nonostante i proclami contro il correntismo, il ministro Bonafede ha perso l’ennesima occasione per combatterlo davvero: il sorteggio, tenuto conto di quanto è emerso dalla inchiesta perugina, come ha scritto Cataldo Intrieri, «appare sicuramente preferibile alle pratiche da basso impero in uso e accettate, senza distinzione di sorta, da gran parte della corporazione».
Difficilmente i magistrati della cui collaborazione il ministro si avvale, scelti secondo rigide spartizioni tra le correnti, sapranno consigliarlo disinteressatamente.
1 commenti:
Per riorganizzare una società complessa come quelle plasmatesi sul modello occidentale del mondo, anzi, per riedificarne proprio i cardini, le maggiori istituzioni, non serve "un anelito d'amore", nemmeno la speranza di "un mondo migliore". Non basta. Il Ministro grillino, come la stragrande maggioranza degli eletti nel suo movimento, hanno peccato di irrimediabile ingenuità, colpevole, perchè fondata su una visione ignorante e stupida e pressappochista della politica italiana, dunque, la metamorfosi di Bonafede era tristemente annunciata ed indefettibile. Per quello che mi riguarda, da cittadino, penso che solo un cambiamento culturale possa influire profondamente alla riedificazione della Istituzione Magistratura, alla rinascita migliorata del potere giurisdizionale. Bisogna immediatamente agire sulle metodiche di reclutamento e sulla formazione dei prossimi magistrati. Questa cosa appare più praticabile perchè non riguarda direttamente gli interessi attualissimi dei potentati presenti (gli interessi beceri, anche se diffusi e incancreniti, non hanno futuro) che, se non sono disposti minimamente a tralasciare i loro personali affari di potere, sanno, nel loro intimo che senza cambiamenti, non ci sarà futuro per nessuno.
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