venerdì 21 novembre 2008

Omaggio a Paul Newman


Un omaggio a Paul Newman. Una scena da Il Verdetto.








12 commenti:

Anonimo ha detto...

Il film, che ricordo ancora bene nonostante siano passati venticinque anni, è semplicemente un capolavoro !

E, una volta tanto, fa vedere a tutti come dovrebbe essere un avvocato, e come non dovrebbe essere un giudice !

Anonimo ha detto...

Io adoro questo film. Tanto e per molti motivi.

Condivido l'opinione di Anonimo delle 18.05 sul pessimo esempio di giudice che vi viene descritto e ci aggiungo di mio la rabbia nell'avere visto in molte occasione giudici come quello all'opera.

Per completezza di analisi, segnalo ad Anonimo che nel film il pessimo giudice risulta compiacente con un pessimo avvocato. Ma questo non toglie nulla alla mia piena condivisione della Sua osservazione.

Ma la cosa che a me piace più di tutto è la rassegnata cocciutaggine di uno sconfitto.

L'avv. Galvin è sconfitto nella vita, nell'amore, nella professione.

Ed è sconfitto anche nel processo.

Ma non ce la fa a mollare.

Considero bellissima la scena del rifiuto dell'assegno offerto dal vescovo.

Galvin confessa che aveva organizzato tutto per avere quell'assegno, ma aggiunge di rendersi conto che, se lo accettasse, sarebbe perduto.

E lo rifiuta.

Diceva una persona: "Le guerre le vincono i soldati stanchi".

Tutti tendono a immaginare i combattenti per un ideale come gente invasata ed entusiasta, che va incontro al martirio con spensierata incoscienza.

Ma le cose non stanno così.

L'eroismo dell'anima è nel percorrere fino in fondo un cammino che genera solo disgusto, paura, sconforto, amarezza, ma che è quello giusto.

Gesù Cristo pregò Suo padre di risparmiargli il calice.

Anche per Dio la croce non fu un martirio glorioso, ma disgustoso.

La gioa non è in ciò che appare fuori, ma nella pace interiore che dà l'aver fatto ciò che si poteva e si doveva.

Mi permetto di citare un altro video che c'è su questo blog, nel post “Ne vale la pena ed è doveroso”. Un commovente Giovanni Falcone risponde a una domanda sulla paura.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

E' verissimo, caro Dottor Lima, il giudice è colluso con il famoso avvocato, il quale dice alla collaboratrice fedifraga di Paul Newman : "cos'è che paga il diritto che lei pratica" ?

E' poi memorabile la scena finale, quando la stessa avvocatessa, forse "pentita", chiama al telefono Paul Newman ... e lui non risponde !

Un caro saluto dal Suo affezionato "anomimo".

Anonimo ha detto...

"Porte Aperte è il lucido e agghiacciante romanzo di un “vecchio” disilluso. Qui Sciascia è più pessimista che mai, un pessimismo consapevole e quasi rassegnato. Pessimismo derivante probabilmente dalla deprimente situazione di stallo che vedeva protagonista il nostro paese. Un paese amato ma che sembra non capire e non cambiare mai, il paese dei “grandi uomini” che lo stanno uccidendo lentamente. Il paese dell’ipocrisia, il paese in cui si vede benissimo quel che accade ma in cui si fa finta di non capire. Ma è anche il paese dei “piccoli uomini”, dei “piccoli giudici” onesti, il paese di chi non si inginocchia alle falsità della maggioranza, di chi non cede all’ingiustizia dilagante. Ma questi “piccoli uomini” sono per Sciascia troppo isolati, troppo pochi e in definitiva impotenti. Un paese dove una sentenza giusta e coraggiosa viene troppo spesso rovesciata da un appello più conformista e ipocrita, un paese dove tutto cambia per rimanere in definitiva uguale a sé stesso. La visione di Sciascia è qui fortemente agghiacciante, ed è agghiacciante perché sembra non prevedere nessuna via d’uscita. La vicenda narrata nel film e nel romanzo si svolge nel 1936-37 ma è ancora tristemente valida e credibile anche oggi, anche senza pena di morte. Non è quindi la pena capitale l’unico e principale tema di Porte Aperte e questo dovrebbe esserci chiaro sin da subito se si conosce anche poco Sciascia, se si conoscono anche poco la Sicilia e l’Italia. "

da: http://cristianpell.blog.lastampa.it/visto_da_spank/2006/04/porte_aperte_da.html

Saluti dr. Lima
Mathilda

Anonimo ha detto...

[1,20] […] Primo dovere della giustizia è non recare danno a nessuno, se non quando si è provocati da un torto; il secondo è di far uso delle cose comuni come comuni e di quelle private come proprie […].
[23] Fondamento, poi, della giustizia è la lealtà, vale a dire mantenersi fermi e sinceri in quanto si è pattuito. […] Dell’ingiustizia, invece, due sono le categorie: alla prima appartengono quelli che commettono un torto; alla seconda quelli, che pur potendolo, non lo stornano da chi lo subisce. Perché chi contro giustizia aggredisce qualcuno, mosso dall’ira o da un particolare stato emotivo, è come se mettesse le mani addosso ad un compagno; chi invece non lo difende, e pur potendolo, non si oppone a un torto è colpevole come se abbandonasse i genitori o gli amici o la patria.
[24] E le ingiustizie che sono fatte di proposito, con lo scopo di nuocere, generalmente prendono le mosse dalla paura: chi infatti medita di fare male al suo prossimo, teme se non lo fa, di essere lui a ricevere un danno. Ma nella maggioranza dei casi ci si accinge a commettere un’ingiustizia per ottenere quelle cose, di cui è maturato il desiderio: e in tale colpa è evidente che l’avidità ha un peso enorme.
[25] La ricchezza poi la si cerca non solo per i bisogni indispensabili della vita, ma anche per godere dei piaceri. In chi possiede un animo più ambizioso invece, la bramosia di denaro mira ad ottenere i mezzi per potersi conquistare la gratitudine altrui: non molto tempo fa, Marco Crasso sosteneva che nessuna ricchezza è mai abbastanza grande per chi vuole diventare il primo dello Stato, se, con i frutti di quella, non si è in grado di mantenere un esercito. Anche il piacere che procurano il lusso e un tenore di vita raffinato e ricco ha fatto sì che l’avidità di denaro non avesse limiti. Né d’altra parte si può condannare un accrescimento del patrimonio familiare che sia innocuo: ma il torto va sempre evitato.
[26] I più però, sono indotti a dimenticare la giustizia specialmente quando cadono nel desiderio di potere, di carriera, di gloria. Allora si manifesta ampiamente quanto è scritto in Ennio: nè sacre alleanze né lealtà al regno si confanno”. In effetti, ogni volta che le circostanze non consentono a più di una persona di primeggiare, allora, generalmente, si scatena una competizione così accesa che è davvero difficile osservare una “sacra” alleanza. Lo ha evidenziato, nel recente passato, l’audacia senza limiti di Gaio Cesare, che stravolse tutte le leggi, divine e umane, in vista di quel potere assoluto che, da solo e seguendo un’idea perversa, egli si era figurato. Un aspetto negativo di tale genere di ingiustizia consiste nel fatto che la brama di onore, di potere, di predominio e di gloria sorge solitamente negli spiriti più grandi e nelle menti più brillanti. Tanto più occorre evitare che siano commesse colpe di questa categoria.
[27] Ma in ogni genere di ingiustizia c’è una notevole differenza fra un torto originato da uno sconvolgimento mentale, che è per lo più di breve durata e temporaneo, e uno intenzionale e premeditato. Sono infatti meno gravi i torti accidentali, dovuti ad un improvviso moto dell’animo, rispetto a quelli premeditati e preparati in anticipo. Ma dell’ arrecare ingiustizie si è parlato a sufficienza.
[28] Suole esservi, poi, più di una ragione per trascurare la difesa e venir meno al proprio dovere; infatti o non ci si vuole procurare inimicizie, fatiche, o spese; oppure la superficialità, la pigrizia, l’incapacità, o alcuni interessi o impegni personali rappresentano un impedimento tale da permettere di abbandonare a sé stessi coloro che dovrebbero essere protetti.[…]
[30] Certo è difficile preoccuparsi degli interessi altrui , anche se il Cremete di Terenzio “ non ritiene altrui nulla di umano”. Tuttavia, poiché quanto di bene o di male accade a noi personalmente produce percezioni e sensazioni più forti rispetto alle cose che interessano gli altri (e che noi vediamo come da una lunga distanza), diverso è il giudizio che diamo di loro e di noi. Pertanto valido è l’insegnamento di chi vieta di compiere qualcosa su cui si dubita se sia giusto o ingiusto. La giustizia risplende di luce propria; il dubbio è segnale di un pensiero ingiusto […]. [33] Vi sono spesso ingiustizie che nascono da un inganno e da una interpretazione del diritto veramente sottile, ma volta alla frode. Perciò la frase “sommo diritto, sommo torto” è diventata un proverbio ormai logorato dall’uso. Molte ingiustizie di questo genere si commettono anche in circostanze che riguardano lo Stato : si pensi a quel tale che, dopo avere stabilito una tregua di trenta giorni con il nemico, ne devastava il territorio durante la notte, perché la tregua parlava,appunto di giorni e non di notti […].
[34] Vi sono, peraltro, doveri da rispettare pure nei confronti di coloro dai quali si è subita l’ingiustizia. Esiste infatti una misura nella vendetta e nella punizione e mi chiedo se non si sufficiente che il colpevole si penta del torto commesso; lo scopo è che egli in futuro non compia qualcosa di simile, e che gli altri in futuro non compia qualcosa di simile, e che gli altri siano frenati nel fare un’ingiustizia. E nello Stato occorre osservare con la massima precisione il diritto di guerra. Ora, vi sono due modi di contendere: il primo si avvale della diplomazia, il secondo della forza; e poiché il primo è proprio degli esseri umani, il secondo della bestie, a quest’ultimo bisogna ricorrere solo se non si può usare l’altro […].
[41] […] Dunque l’ingiustizia si commette in due modi, con la violenza o con l’inganno; l’inganno ci sembra proprio – per così dire- della volpe; la violenza del leone; l’uno e l’altra sono del tutto estranei all’essere umano , ma l’inganno si merita un odio più grande. Tuttavia, del complesso delle ingiustizie, nessuna è più grave di quella commessa da chi, proprio al culmine della frode, agisce in modo da sembrare un uomo perbene.
(Cicerone, Sui doveri, 1, 20; 23-28; 30; 33-34; 41 – trad. di B. Pieri).

Anonimo ha detto...

Grazie Redazione,
siete veramente d'aiuto...
Spesso invito avvocati a visitare questo sito, avrebbero molto da imparare!

Anonimo ha detto...

In "La vita a modo mio" del 94 di Robert Benton (Orso d'argento nel 95, Paul Newman, Melanie Griffith, Bruce Willis,..)

Anche qui cocciuto e sconfitto... nel ruolo di un edile, claudicante ...lavoretti modesti, inaffidabile, un figlio e 2 nipoti che non vede mai (poi si riscopre nonno...), convive con un'anziana (che all'occasione, i vista di raggiri vari ne prende le difese), spesso e volentieri finisce davanti a un giudice per spacconate.
Addirittura, quando prende atto che Willis (un ricco cialtrone, disonesto e donnaiolo che collaborava nel campo dell'attività), "legalmente" , per lui ingiustamente, gli ha sottratto dei beni tenta di farsi giustizia coinvolgendo il figlio (prof., che nel frattempo aveva
lasciato la moglie e con un figlio si era trasferito da lui) ; di notte dopo aver lanciato una polpetta con sonnifero al feroce doberman, impone al figlio di scavalcare il cancello e riprendersi il tagliaerba. La scena più divertende, tragicomica: con la sua auto furgonata transitava a cavallo del marciapiede, il solito poliziotto prevenuto, che ben lo conosceva, tenta di fermarlo e in estremis si ferma più avanti, scende e punta la pistola, Paul si ferma e scende, gli va incontro (la pistola è sempre puntata) e gli sferra un pugno che lo atterra.
Il fatto curioso è che questa volta il giudice incolpa il poliziotto (che aveva esagerato... con una faccia della serie "Scuola di polizia N°...") e la fa franca...
Ma come sempre non poteva mancare quella componente di umanità e di umiltà che un po' traspare nei suoi film ma che faceva parte della sua indole leale e generosa (si pensi che non ritira l'oscar, nell' 86-87). Da un po' di tempo la moglie di Bruce , la Griffth, stanca del marito, s'incontrava con N. sino a comprare 2 biglietti d'aereo per fuggire insieme.
Quando lei si decide lo cerca e lo trova a giocare a carte con amici e W., N. appena la vede dà la sua pistola in mano all'amico e gli dice di tenerla puntata contro
W, a cui con disprezzo fa capire che si accinge a umiliarlo nel modo peggiore immaginabile...e s'avviano verso l'auto, lei entra ma lui ci ripensa...e la convince ad andare senza di lui.
Cialtrone, imprevedibile ma onesto con sé stesso sino in fondo.

Anonimo ha detto...

Salve a tutti.
In primo luogo una caro saluto a Felice Lima.
Permettemi poi di parteciparvi un mio ricordo personale e qualche considerazione da cinefilo.
a) Quando il film "uscì" nelle sale non ero affatto intenzionato alla sua visione (in un'altro cinema davano "Jesus Christ superstar" che avevo visto dodici volte e che volevo vedere per la tredicesima) ma fui costretto dalla mia fidanzata -poi divenuta moglie- ad accompagnarla a vedere Paul Newman.
Il risultato è che "Il verdetto" l'ho poi rivisto un numero di volte superiore a "Superstar".

b) Ho sempre trovato "mitica" la frase dell'avvocato dell'Ospedale Santa Caterina che, durante la riunione del suo "megalattico" studio associato, ordina con garbo feroce che siano inviato un "mazzo di rose" alla compagna di uno degli avvocati (la donna, insieme al marito aveva organizzato una vacanza che "saltava" per studiare il caso giudiziario)

c) Non se avete notato che, al momento in cui il "giudice" rigetta la richiesta di acquisizione della fotocopia della cartella clinica, decidendo sulla eccezione dell'avvocato dell'ospedale Santa Caterina, il dottore gli pone una mano sulla spalla, evidentemente compiaciuto per la decisione favorevole.
A quel punto il difensore, però, senza girare la testa e degnarlo di uno sguardo, si protende in avanti con le spalle, sfuggendo a quella stretta con malcelato fastidio; quasi a dire: "ho fatto il mio lavoro ma il risultato mi disgusta". E il dottore cambia del tutto la sua espressione, incupendosi.

Più tecnicamente:
1) Nel sistema americano "ha ragione chi vince, e non sempre vince chi ha ragione".
Con tutte le conseguenze nefaste dell'estremizzazione di una tale regola.
Essa è paradigmaticamente esemplificato nella famosa battuta rivolta dal difensore alla Rampling quando gli consegna l'assegno: "noi siamo pagati per vincere, non per fare del nostro meglio".

2) Anche se la causa descritta nel film è di natura civile, molti mi hanno chiesto cosa sarebbe accaduto in un processo penale italiano.
In sostanza: il gudice poteva acquiste agli atti del processo quella fotocopia proveniuente dalla infermiera Catherine Costello Price?
Sì, indiscutilmente.
E anche se si dovesse interpretare quel documento come non tipizzato nelle forme di legge.
Si tratta di una prova atipica che può formare oggetto del libero convincimento del giudice sorretto da idonea motivazione.
L'acquisizione della fotocopia poteva essere disposta anche a seguito di esclusivo provvedimento del giudice.
La norma di riferimento del nostro sistema processuale penale è il noto art. 507 c.p.p. che consente al giudicante di esercitare poteri istruttori AUTONOMI -senza cioè l'intervento NECESSARIO delle parti processuali- al "fine dell'accertamento della verità".
E' un principio tipico della tradizione giuridica occidentale e, in particolare, del diritto greco classico (la famosa "skepsis").

3) Il film descrive benissimo l'importanza della prossemica e della cinesica nel processo penale.

Con riferimento alla tecnica oratoria utilizzata da Frak Galvin nella sua arringa di discussione della causa, viene offerto allo spettatore il trionfo del c.d."pathos", elemento dell'arte oratoria insieme all' "ethos" e al "logos".
Quanto al risultato finale, sia l' "ethos" che il "logos", anch'essi finalizzati ai fini della decisione, sono però superati dal "pathos".
Attualmente in Italia le cose sono abbastanza mutate in conseguenza di una evoluzione della cultura giuridica in generale e della normativa processuale in vigore dal 1989.

E infine.
Non ho mai condiviso la mancata risposta da parte di Galvin alla telefonata finale di Charlotte Rampling.
:-)

Francesco Messina, giudice Tribunale Trani

Anonimo ha detto...

A Francesco Messina.

Carissimo Francesco,

grazie di cuore del tuo prezioso contributo.

Ti devo confessare che quando ho proposto questa scena de "Il Verdetto", mi vergognavo un pochino.

Perchè anche io, come te, ho rivisto il film enne volte e lo adoro proprio, ma le critiche cinematografiche più "altolocate" lo giudicano come un film discreto, ma non eccezionale.

La tua solidarietà di spettatore - dopo quella di Anonimo del 21.11.2008 alle 18.05 - mi rassicura nella scelta di proporre il film.

Quanto alla mancata risposta alla telefonata della Rampling, permettimi di non essere d'accordo.

Io trovo ineccepibile l'esito del film.

Come si potrebbe rispondere a una persona (nella specie, donna, ma la situazione avrebbe anche potuto darsi a parti invertite, con un uomo che tradisce una donna) che ha fatto una cosa così orribile come tradire la fiducia di qualcuno?

A me sembra che Galvin faccia ciò che è giusto. Guarda il telefono che squilla con il dolore di chi sa che ci sono mille ragioni per avere pietà del gesto della donna, ma con la consapevolezza che quel rapporto non sarebbe mai più potuto tornare quello di prima.

Non ne faccio una questione di "imperdonabilità".

Credo convintamente che il perdono sia un dovere e un dovere da adempiere con la serena maturità e consapevolezza dei nostri propri e numerosi peccati.

Dunque, dò per scontato che Galvin abbia ampiamente perdonato.

Ma un conto è perdonare un conto è che dopo una cosa come quella c'è spazio solo per un dolore profondo e solitario.

Ma ovviamente sono consapevole che in amore non ci sono regole certe e, dunque, questa è solo la mia modestissima opinione.

Un caro abbraccio.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Felice,
il mio giudizio sulla Rampling probabilmente era anche motivato da una mia personale tendenza verso la riappacificazione (almeno nei film).
Ma considero la tua diversa valutazione un elemento di ricchezza nel valutare le situazioni della vita e le opere cinematografiche.
Mi pare importante anche considerare che la causa civile Galvin la vince perchè è la Rampling che non lo fa (o non gli consente) di mollare; che lo sprona sino a frustargli l'anima, chi gli elimina ogni scusante scusante autoassolutoria.
"La causa non è persa sinchè non c'è il verdetto", dice la protagonista; così come straordinario è il macerante soliloquio "non esiste un'altra causa, c'è solo questa causa"..ripetuto da Galvin all'infinito.
Vale a dire: non c'è un'altra vita, c'è solo questa vita, questa occasione, questa battaglia in cui ci deve prendere le proprie responsabilità nel cercare di raggiungere un determinato fine.
E quando arriverà "il verdetto" -questo secondo me è il messaggio (come si diceva una volta) del film- si deve poter dire di aver fatto tutto quanto di moralmente corretto perchè esso ci sia favorevole.
A far comprendere il valore di questa assunzione di responsabilità è l'azione di una donna; è una donna a fare la differenza e a far riscoprire/restituire a Galvin il suo valore di Uomo.
E' poco, anche a fronte del tradimento della fiducia?
Mah..non so...

Entrambi da sconfitti nella vita, ritrovano una loro dignità scoprendosi a vicenda.


Alle considerazioni di Mathilda, comprensibili e più che rispettabili, penso che si possa contrapporre una diversa prospettiva delle cose.
A mio avviso impegnarsi per strappare anche una sola persona all'oblio della memoria, alla negazione ragione, alla sterilità dell'intelligenza, è obiettivo sufficiente a lottare senza ritenersi sconfitti in partenza.

"Quando salvi una vita, salvi il mondo intero", dice un antico detto ebraico.
La nostra visione di vittoria e sconfitta troppe volte è legata a una visione "macro".
Forse, e lo dico con pudore, bisognerebbe considerare che il nostro essere finiti implica di per sè il limite nei risultati.
Ho visto anche "porte aperte" e ricordo la frase del giudice popolare bucolico che riprende l'esempio delle radici delle vite; dopo che essa viene espiantata, se ne perde la memoria. Ma un pezzo di quelle radici rimane sempre nel terreno e un giorno improvvisamente rispunterà.
Naturalmente bisogna aver radici profonde.
Ma questa è un'altra storia, per dirla alla Carlo Lucarelli..

Francesco Messina, giudice Tribunale Trani

Vanna Lora ha detto...

Grazie per aver postato uno spezzone di un film che adoro e che lo stesso Newman considerava il suo preferito (come ho letto recentemente in occasione della sua scomparsa). Non ho nulla da aggiungere a quanto è stato scritto se non ricordare la frase ripetuta con ostinazione da Newman nel film: "Non c'è un'altra causa, c'è QUESTA causa, non c'è un'altra causa, c'è QUESTA causa". La trovo straordinariamente efficace.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Paul Newman (il cognome, tradotto, significa uomo nuovo) era un attore di eccezionali doti artistiche, esprimeva un fascino ed esercitava una fascinazione in ogni suo film, era adorabile.
Ma le sue doti e qualità umane erano ciò che lo facevano, assieme all'immenso talento, capace di interpretare personaggi come pochi e da sempre.
Come tutti i grandi, non appariva, ciò che faceva a beneficio del suo prossimo era tenuto gelosamente nascosto.
Così io lo vedo.