giovedì 12 marzo 2009

La giustizia derubata






di Bruno Tinti
(ex Procuratore della Repubblica Aggiunto di Torino)





da La Stampa del 22 febbraio 2009


Se mai ci sono stati dubbi sulla precisa volontà della maggioranza di minare la credibilità dell’amministrazione della Giustizia, abbandonarla all’inefficienza, far convergere su di essa e in particolare sulla magistratura lo scontento e la sfiducia dei cittadini, la storia che segue li elimina del tutto.

Abbiamo, finalmente – dice il ministro della Giustizia –, una riforma del processo penale che lo renderà veloce e rispettoso delle garanzie dei cittadini.

Almeno sulla prima parte si può convenire: abolire di fatto le intercettazioni telefoniche, sottrarre al pm la polizia giudiziaria, impedirgli di acquisire autonomamente le notizie di reato, ridurrà drasticamente il numero dei processi.

Tanti delinquenti resteranno impuniti ma i processi che restano saranno così semplici (quelli complicati senza intercettazioni non si fanno; e poi iniziavano qua-si sempre per iniziativa delle Procure, che adesso non ci sarà più) che potranno essere conclusi rapidamente.

Resta il fatto che, come ognuno sa, per cantare messa servono soldi; e che in particolare la Giustizia è da tempo alla canna del gas.

Proprio per questo, quando è entrata in vigore la legge 13 novembre 2008 n. 181, gli uffici giudiziari hanno emesso un corale respiro di sollievo.

C’era la prospettiva di diventare ricchi.

Diceva infatti questa legge che le somme di denaro e i proventi derivanti dai beni confiscati nell’ambito di procedimenti penali o per l’applicazione di misure di prevenzione dovevano confluire in un «Fondo per la Giustizia»; da qui i soldi sarebbero stati prelevati per far fronte alle esigenze degli uffici giudiziari.

Finalmente! Si sarebbero comprati elaboratori, pagati gli straordinari ai cancellieri (così si sarebbero fatte le udienze anche di pomeriggio), realizzati quei progetti informatici fermi da anni per mancanza di fondi.

Finalmente! Stenotipisti, traduttori, consulenti sarebbero stati pagati e avrebbero ricominciato a lavorare.

Finalmente! Si sarebbero riparate le vecchie macchine e comprata qualche blindata nuova.

Era anche giusto, si diceva: la Giustizia produce un sacco di soldi, sequestra, confisca; se queste risorse fossero investite produrrebbero anche parecchi interessi.

E cosa c’è di più razionale che far pagare la Giustizia ai delinquenti? Cosa di più normale che autofinanziarsi?

Si scoprì subito che le prospettive non erano così rosee; perché di pretendenti alla torta se ne fecero avanti altri.

E così, dopo molti litigi parlamentari (leggersi il resoconto stenografico delle sedute in cui la legge venne discussa, è molto istruttivo), il bottino venne diviso in tre parti: un terzo all’Interno, un terzo al Bilancio dello Stato (ci sono tanti buchi da coprire) e un terzo alla Giustizia.

Una vera rapina, ma meglio di niente.

Poi è arrivato il decreto legge sulla violenza sessuale; anche qui naturalmente servono soldi, se non altro per pagare il gratuito patrocinio alle vittime.

E in effetti il «Fondo per la Giustizia» di soldi ne ha prodotti parecchi: adesso disponibili ci sono 100 milioni di euro.

Solo che, dice il comunicato stampa della presidenza del Consiglio dei ministri (20 febbraio 2009), questi soldi se li prende tutti il ministero dell’Interno.

Naturalmente non si può contestare che anche lì non si nuota nell’oro e che far girare le volanti e pagare gli straordinari ai poliziotti è certamente una buona cosa.

Ma anche le guerre tra poveri dovrebbero essere risolte con equità: si divida come era previsto dalla legge (anche se i soldi li ha guadagnati la Giustizia) dando un po’ di ossigeno a tutte due le amministrazioni.

Anche perché la povertà genera inefficienza e l’inefficienza genera delusione, rabbia e sfiducia nei cittadini.

Che alla fine se la prendono con chi non li tutela.

Ma guarda, forse la rapina di cui la Giustizia è rimasta vittima non è proprio così casuale: ancora una volta la sua inefficienza potrà essere attribuita ai magistrati; il Paese si potrà convincere più facilmente che i giudici sono dei fannulloni; la loro credibilità ne sarà ulteriormente diminuita; e la classe politica potrà ancora una volta protestare che le sue democratiche riforme sono osteggiate dalla magistratura «politicizzata».

E i cittadini ci crederanno.


13 commenti:

Vincenzo Scavello ha detto...

Se già adesso, per la troppa acqua alla gola, la Giustizia non riesce a celebrare i processi, cosa ne sarà dopo? I processi in corso (tantissimi) accelereranno, oppure cadranno in prescrizione per le oggettive difficoltà cui molti Magistrati si troveranno ad operare?

La GIUSTIZIA è sotto assedio e la "provvidenziale" congiuntura economica sta distraendo la gente.

Peccato che quando ci sveglieremo saremo poveri di LIBERTA', privi del DIRITTO all'informazione, sommersi dagli stessi messaggi pubblicitari, dalle stesse trasmissioni a reti unificate, con i potenti immuni dal motto: "LA GIUSTIZIA E' UGUALE PER TUTTI".

In tanti, credendo che il Lodo uno sia troppo poco, auspicano, anche per loro, un Lodo due e, perchè no, tre!

Lodi, lodi, lodi, direbbe il buon Guardì ... Lodi all'Imperatore!

Un abbraccio (non da suddito)

salvatore d'urso ha detto...

Procura della Repubblica
presso il Tribunale ordinario di Milano
Comunicato Stampa del 12.3.09
In merito ai conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, relativi alla nota vicenda del sequestro di Abu Omar (Milano, 17.2.03), decisi l’11.3.2009 dalla Corte Costituzionale, si ritiene opportuno, a seguito delle inesattezze rilevate in articoli di stampa odierni, precisare quanto segue.
Secondo il contenuto dei ricorsi depositati il 15 febbraio 2007 dall’Avvocatura dello Stato per conto del Presidente del Consiglio pro tempore, le attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio in tema di titolarità del diritto di apporre e far valere il segreto di Stato sarebbero state menomate dalla Procura della Repubblica di Milano, nell’ambito del caso Abu Omar, in tre momenti dell’indagine:
a) intercettazioni telefoniche;
b) modalità di interrogatori;
c) utilizzazione, a fini di indagine, di documenti sui quali sarebbe stato opposto il segreto di Stato o che, comunque, la Procura avrebbe dovuto ritenere coperti da segreto di Stato a prescindere da ogni formale opposizione del medesimo, nonché degli atti dell’incidente probatorio disposto in relazione alle dichiarazioni di un indagato.
Nell’attesa rispettosa del deposito delle motivazioni della sentenza, è possibile sin d’ora affermare – sulla base del comunicato stampa diffuso dalla Corte Costituzionale – che sono stati respinti i primi due e più gravi motivi di doglianza del Governo, così risultando confermata la correttezza dell’operato della Procura di Milano.
E’ stato accolto, invece, il terzo motivo di doglianza in relazione al quale, con riferimento ai soli documenti, la stessa Avvocatura dello Stato, in sede di discussione orale, ha riconosciuto la cessazione della materia del contendere.
Infatti, tali documenti, sequestrati in una sede romana del SISMi, il 5 luglio 2006, senza che venisse opposto alcun segreto sono stati sostituite con le copie omissate successivamente trasmesse dal SISMi alla Procura. Il Tribunale ha accolto l’istanza di sostituzione formulata da questa Procura, ordinando la restituzione al PM dei documenti non omissati.
Nel prosieguo del dibattimento saranno valutati, in adesione alle indicazioni che potranno trarsi dalla motivazione della sentenza, gli eventuali riflessi sulle ordinanze adottate dai Giudici con utilizzazione di quei documenti e degli atti concernenti l’incidente probatorio e sui limiti di ammissibilità dibattimentale di alcune prove orali.
IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA Dr. Manlio MINALE

Anonimo ha detto...

Il problema della Giustizia è racchiuso nell'indagine del Dott. De Magistris Toghe Lucane.Quello che viene descritto in Toghe Lucane avviene in tutti i Tribunali Italiani ed è per questo motivo che il nostro Paese si trova in questa situazione disastrosa ed per questo motivo che il povero De Magistris è tanto perseguitato.Se tutti i Magistrati Italiani avessero la statura morale di De Magistris della Forleo e del pool di Salerno non ci sarebbe tanta corruzione.Troppe Toghe Lucane!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Nerviano ha detto...

Di tanto in tanto passo qualche minuto a leggere questo blog trovato per caso... spero possiate apprezzare il mio civico pensiero e la mia semplice opinione.
Credo molto nella giustizia, forse perché non mi è rimasto altro in cui credere nelle mie denunce di cittadino attivo e portatore sano di SensoCivico, tuttavia, il vostro pessimismo è davvero inquietante. Tenete duro e non lasciateci mai soli.
Buon Lavoro
Alessandro Ledda

io che speravo che :( ha detto...

Gentile Alessandro, faccio l'avvocato da quasi venti anni.
Me ne sono bastati cinque per maturare il convincimento che è meglio cambiare lavoro. Purtroppo non so fare altro, sicchè continuo. Ma quanto a fiducia nella giustizia ... se lei ce l'ha vuol dire che non ne ha mai avuto bisogno ... della giustizia intendo !
Utilizzi le sue notti per fantasticazioni più remunerative, la fiducia nella giustizia la lasci agli studenti universitari.
All'università nessuno ti spiega che quel che studi è quel sarebbe dovuto essere. Quel che è, è tutta un'altra cosa. E la cosa più bella è che se ti metti a cercare le responsabilità, ti imbatti in una giungla talmente fitta che solo un incendio devastante, che rada a zero la vegetazione cresciuta attorno alle leggi, potrebbe consentire di venire a capo di qualcosa.
Si dovrebbe ripartire dal solo codice civile.
Il resto è quasi tutto da buttare.
E di questo dobbiamo ringraziare le generazioni figlie del pensiero andreottiano: il nonno ha cominciato a dettare le regole e i nipotini le hanno applicate con scrupolo. E noi che siamo figli e nipoti dei nipotini ne subiamo le conseguenze. L'Italia è un paese gerontocratico: le carriere si costruiscono sugli scatti di anzianità, e mentre nel mondo i 40.enni danno il meglio delle risorse alla società, da noi escono dagli uffici di collocamento anche nelle professioni e nella magistratura, ed i 70.enni (con tutto il rispetto per quelli che danno i punti ai 40.enni, che pure ci sono, ed in questo blog ne ho letto gli scritti, ma son pochi) gestiscono ancora il potere. Nella società in cui gli affari ed i reati si fanno sui bit ed alla velocità della luce, il controllo e la gestione dei gangli è esercitato da gente che usa ancora la lente d'ingrandimento.
Ho ancora sotto gli occhi l'immagine del leader del pd, Franceschini, che in un dibattito in cui discettava del PIL, quando gli venne chiesto cosa fosse, cominciò a balbettare.
Ecco noi siamo così.
Chi pretende di porsi a capo del convoglio, sa soltanto girare il volante, ma non conosce nulla, assolutamente nulla di tutto il resto.
E' arrivato, dopo avere fatto la sua bella carrieruccia da portaborse, sul cocchio ed a quel punto vuole guidare. Il classico asino davanti ad una mandria di cavalli da corsa. Anche nella giustizia funziona così, ci sono tanti cavalli, tanti davvero. Ma anche molti asini.
Ed indovina un po': dove stanno gli asini?
E lei ha fiducia nella giustizia?
Ma si è accorto di quello che è accaduto a De Magistris, di quello che è accaduto alla Forleo, di quello che sta accadendo a Gioacchino Genchi (ieri ne hanno perquisito lo studio e la abitazione?).
Lei pensa che sul cocchio ci sia chi vuole giustizia o chi vuole impedirla?
Solo un asino può rispondere ad un certo tipo di ordini.
I cavalli sono bestie troppo fiere.
Non si piegherebbero.
Gentile Alessandro, non si senta attaccato dal mio scritto. Io e Lei parliamo la stessa lingua. L'unica cosa che ci separa è l'illusione ... Lei crede ancora al sistema, io credo che il sistema possa solo essere resettato

bartolo ha detto...

Caro Edoardo,
già mi hai dato una mazzata con il cambio del nome, adesso ti metti anche a scoraggiare le persone che vogliono sperare nella giustizia?
Su ... via: hai scritto un post bellissimo, ma che lascia l'amaro in bocca! Anni fa avevo usato la stessa metafora per spiegare la sfortuna dei disabili mentali. Dopo la de-istituzionalizzazione dei manicomi; si son ritrovati, loro, Cavalli di razza, ad essere allenati da perfetti asini, improvvisatesi nel ruolo di psichiatri e personale sanitario per la riabilitazione psichiatrica. Ebbene, la maggiore soddisfazioni è stata prendere atto che, quest'ultimi vengono commiserati proprio dagli stessi “matti”.

Anonimo ha detto...

Stia tranquillo Bartolo, ci vuole ben altro per scoraggiarmi... e comunque gentilissimo Edoardo, la sua tesi la trovo ineccepibile, anzi, se non l’avesse ancora letto, le consiglio il libro scritto da Pino Aprile, “elogio dell’imbecille” dove il giornalista e scrittore analizza scientificamente perché i cavalli di razza perdono sui somari, “gli imbecilli” appunto.
I due Magistrati nominati nel suo commento sono certamente 2 cavalli di razza capaci di correre fino allo sfinimento, c’è da chiedersi perché i cavalli di razza che seguono non siano altrettanto orgogliosi ed capaci di continuare la corsa... senza paura. Io ho esempi troppo provinciali, comunali per esser più precisi, e faccio un assurdo parallelo tra semplice Cittadino e Magistarto, giungendo a conclusione che il gene di tutti i mali sia la paura di “vivere seriamente”, valorizzando con coraggio e determinazione il proprio ruolo. Qualunque esso sia.
E’ vero! Parliamo la stessa lingua permetta solo un appunto: il sistema da lei descritto è composto da persone ed io e lei siamo tra queste.
Alessandro

io che speravo che :( ha detto...

Carissimo Alessandro, Carissimo Bartolo
è vero che io, Voi, tutti quelli che partecipano a questo blog, siamo parte del sistema, e quindi in quante parte, dovremmo essere in grado di contribuire alla sua formazione, ma il problema è dato dal rapporto numerico tra quanti avvertono il "diritto/dovere" di fare in modo che le eccellenze emergano, e quanti invece colgono proprio nelle crepe del sistema, che fa emergere per lo più gli imbecilli, la forza motrice della propria crescita.
Gli imbecilli sono in netta maggioranza, si autoalimentano di se stessi, e nelle democrazie le maggioranze hanno sempre prevalso.
Nel mio Comune, composto da circa 40.000 persone, da quando è stato introdotto il voto di preferenza, sono arrivati in Consiglio Comunale (prima gestito comunque da personalità di obiettivo rilievo, per quanto pur sempre "politici" di vecchio stampo), i seguenti soggetti:
1) portantini ospedalieri (600 voti);
2) “sindacalisti universitari” che avevano bivaccato per anni nell'ateneo locale in rappresentanza degli studenti, quelli veri, che non avendo tempo da decidere alle s.......te, erano presi a studiare (300 voti);
3) bidelli universitari (500 voti);
4) avvocati di scarsissima levatura, che hanno trovato un collocazione professionale solo dopo essere entrati in consiglio comunale (200 voti);
5) maestri di danza (300 voti);
6) commercianti sull'orlo di una crisi economica costante (200 voti),
7) bidelli, e così via dicendo, gli altri sono tutti dello stesso livello.
la cosa che accomunava tutti costoro era il solo fatto di avere famiglie molto numerose, ed un costante rapporto con l’utenza.
Non voglio mancare di riguardo a nessuna categoria, ma penso che se uno nella vita si occupa di danza (avendo una scuola frequentata di arzille signore), oppure di rappresentare studenti senza essere a sua volta un vero studente, difficilmente sarebbe papabile alla carica di amministratore di una società privata che maneggi milioni e milioni di euro.
Al massimo, lo mettono a rispondere al telefono ed a fare le fotocopie.
Nella nostra strana democrazia, invece, questo soggetto, grazie ai voti delle vecchiette che frequentano la sua scuola e di qualche suo amico (ne bastano circa 200 di voti, visto che in città si candidano in 2.000 e che pertanto la soglia di eleggibilità è frazionata e bassissima) assurge al ruolo di amministratore locale. E chi credete che venga avvantaggiato dalla sua posizione?
Chi merita, oppure quelli che l’eletto vede essere più simili a se stesso?
L’elettore locale, vota il proprio simile, e non chi vede distante culturalmente e socialmente da se.
Poiché le maglie della società vengono si dettate dalla politica nazionale, ma di poi in concreto sono il frutto della delegazione dei poteri a livello locale, il risultato concreto che ne consegue è che il potere centrale detta le regole e quello locale applicandole, ne impersonifica i fruitori.
La nostra societas premia la mediocrità per il semplice fatto che fa emergere i rappresentanti della maggioranza delle persone che la compongono.
E questo avviene in tutti i contesti.
Il mediocre sceglie di contornarsi di persone mediocri almeno quanto se stesso, se non di più: non darà mai spazio a persone di levatura superiore per la semplice ragione che, sapendo egli di essere inferiore, ne avverte la pericolosità, l’alternatività la non controllabilità.
I cittadini votano i propri simili, e non le persone che danno loro le maggiori garanzie di serietà e capacità, e ciò perchè a queste persone sanno di non poter chiedere spazi per il loro tornaconto.
Insomma, io, Voi e gli altri mille che si interessano a questo blog, siamo nulla rispetto alle centinaia di migliaia di persone che dall'alto delle loro posizioni di convenienza, traggono vantaggi dalla mediocritas e si trovano addirittura nella condizione di poter irridere a quelli che ancora credono nei meriti. Ci guardano dall’alto della loro posizione ed irridono anche alle nostre iniziative bollandoci, con un sorrisetto di compiacimento, come quelli che "non hanno ancora capito niente".
Forse hanno ragione loro: non abbiamo ancora capito niente.
Sarò pessimista, ma ho visto troppi imbecilli uscire dall’università con esami ripetuti più volte, e poi arrivare, dando cento lire a destra, una botta a sinistra ed un fiasco di vino al centro, in posizioni nelle quali difficilmente si arriva se non “aderendo” al sistema delle “aderenze”.
Lo sa che gli avvocati che lavorano per gli enti pubblici (che sono i migliori pagatori, lenti ma molto munifici, perché nessuno controlla le parcelle, anzi più sono alte più è pesante la torta da spartire) ricevono gli incarichi prezzolando gli amministratori che fanno loro arrivare gli incarichi?
Lo sa che questo avviene anche nel mondo delle assicurazioni?
Il maestro di danza o il commerciante sull’orlo di una crisi di nervi affidano gli incarichi all'avvocato che fino a qualche mese prima frequentava, non avendo nulla da fare, la sua scuola o che seguiva con scrupolo i suoi affari. Quell'avvocato spesso non sa neanche come si compone un atto. Non ha nessuna esperienza nella materia che deve affrontare, e nemmeno potrà formarsela perché il giro delle prebende porta a distribuire gli incarichi a pioggia, sicchè ci sono tanti singoli incarichi per quanti sono i professionisti votanti o questuanti.
Però hanno singoli incarichi che comportano responsabilità spaventose.
E' anche accaduto che un collega non sia neanche riuscito a depositare un atto nei termini di rito (perchè non sapeva che ci fosse una scadenza); il Comune ha subito un danno per diversi milioni di euro, e nessuno ne risponderà.
Di fronte a queste situazioni, che ovviamente facilitano la vita a tanti (ma proprio tanti) cosa pensa che possano fare quei pochi che sono bravi a svolgere il proprio lavoro ma che sono meno bravi a procurarselo?
Di fronte a queste realtà, che compongono la fitta trama della nostra società (in tutti i settori; tutti) da dove si deve cominciare?
Io un gommone ce l’ho.
Non lo ho mai usato per importare clandestini, ma potrei utilizzarlo per esportare me stesso e chi volesse con me condividere il brivido della clandestinità :)
Ovviamente scherzo, ma francamente nemmeno poi così tanto !

Anonimo ha detto...

Gentile Edoaro, le sue parole esprimono magistralmente il mio pensiero e trovo il suo commento superlativo, tuttavia, le parole incomprese rimangono le mie, quelle che peraltro continuo a ripetere ai miei concittadini. Io sono un imprenditore ottimista, per nulla al mondo desideroso di lasciare l'impegno professionale intrapreso in giovanissima età, per passare ad incarichi pubblici di governo. Ciò non toglie che nella società "democratica" in cui vivo, ho anche dei doveri/diritti da onorare, pertanto, quando dico che Noi facciamo parte del sistema, intendo che dobbiamo supervisionare e contestare su tutto ciò che riteniamo sbagliato, come? Partendo proprio dal basso descritto nel suo commento, scrivendo lettere alle amministrazioni comunali, partecipando alle stesse commissioni consiliari ed ascoltando progetti e obiettivi intrapresi dagli amministratori comunali: l’ex vigile urbano, il professore di religione, la maestra di danza e via così... guarda caso è così anche nel mio comune.
Io che vivo in un territorio di 14 kmq di superficie con 18.000 abitanti, meno della metà del suo, sa quanti cittadini vedo in queste pubbliche occasioni? Sei o sette, tutti miei amici sensibilizzati a dovere da me stesso, gli altri che sporadicamente frequentano la sala espressione del potere, sono proprio quelli che hanno interessi trasversali, (architetti, geometri, costruttori), o quelli che attendono sommessamente il loro turno per entrare nelle maglie della politica di paese per gli interessi che conosciamo. Mancano i cittadini che compongono il sistema vero e proprio che, a parte il pensionato, lo studente, la casalinga il commerciante o l’imprenditore, senza nulla togliere alle categorie elencate, mai si abbasserebbero a frequentare quel luogo, gli avvocati, i magistrati, i notai, lo studente universitario, eccetera. Quindi, converrà con me, che anche là dove si potrebbe far valere facilmente la propria opinione, imponendo scelte oculate a chi essendo imbecille si sta giocando la possibilità di dare un parco pubblico per favorire chissà quale progetto privato, si preferisce mantenere un colpevole distacco per paura di uscire allo scoperto sedendosi magari affianco all’umile e semplice cittadino.
Questo civico disinteressamento aiuta molto gli imbecilli nella gestione amministrativa del territorio comunale, piccolo o grande che sia, ma si moltiplica diventando assolutamente incontrollabile là dove il cittadino non ha più il contatto diretto con l’amministratore provinciale o regionale.
Non le pare poi, che sia difficile lamentarsi globalmente che non funziona niente se si manifesta un atteggiamento indignato e repulsivo, movente della propria assenza nel corso delle scelte comunali?
Spero tanto che lei possa leggere anche questo mio pensiero e sappia demolirlo dandomi nuovamente dell’illuso. Mi creda, ne ho bisogno almeno per capire se chiederle o meno un passaggio sul gommone.

io che speravo che :( ha detto...

Caro Alessandro il suo commento è di assoluta qualità, lo condivido appieno nelle intenzioni ed anche nel contenuto. Lei ha ragione quando dice che anche solo con il semplice impegno partecipativo si può e si deve se non altro assicurare il controllo. E' così che dovrebbe essere ed è così che in concreto avveniva nelle prime democrazie. Poi la situazione è cambiata. Le maggioranze si sono invertite. Prima la maggioranza dei cittadini era al fruitrice dei servizi della pubblica amministrazione, ed in quanto fruitrice dei servizi ne era al tempo stesso il controllore. Dopo gli anni della democrazia cristiana, il meccanismo si è invertito: la maggioranza dei cittadini elettori attivi, è diventata non più fruitrice dei servizi, ma fruitrice delle prebende dei pubblici amministratori,i quali avevano capito che per assicurarsi il profitto dovevano essere solo un po’ altruisti, sicchè piuttosto che lavorare bene nell'interesse di tutti, era per loro più conveniente, e soprattutto non incontrava conseguenze repressive di alcun genere, nella assoluta mancanza di alcuna capacità di punizione da parte del sistema giustizia (colluso per decenni con la politica), distribuire parte della torta, sottoforma di vantaggi diretti, a quei sottogruppi di cittadini che potremmo definire grandi elettori, che a loro volta aggregavano ulteriori sottogruppi di cittadini i quali, così beneficiati, acquisivano la condizione di “debitori del consenso”, i quali a loro volta alimentavano ulteriori sotto gruppi, fino a giungere i micro sottogruppi familiari.
Il voto da anni, soprattutto a livello locale, non è più libero, ma è fortemente influenzato da questa scellerata gestione clientelare del potere incentrata strutturalmente in maniera piramidale e teleologicamente in maniera angolare: immagini un cerchio e dal centro di questo (dove viene esercitato il potere) tiri due rette fino alla circonferenza. All'interno di questo spicchio immaginario che culmina nella circonferenza ci sono i cittadini aggregati dall'intento comune di convergere tutti verso lo stesso centro. I più vicini al centro hanno gli interessi maggiori, e mano a mano che si allontanano dal centro elargiscono parte di quello che ricevono ai sottogruppi che li alimentano. E' il vecchio meccanismo del baratto. Io ti do' il voto e tu mi dai direttamente, e non genericamente, un po' del mio benessere.
Chi non fa parte dello spicchio beneficiato aspetta il prossimo turno, e si aggrega attorno allo spicchio alternativo, caratterizzato dalle stesse regole. Questo spicchio alternativo, è comunque ben alimentato anche quando sta alla opposizione, perché attraverso patti di convenienza con lo spicchio che governa, riceve comunque una piccola parte delle utilità, che poi distribuisce.
Chi non fa parte neanche del secondo spicchio non aspetta mai nessun turno, perchè non prende mai nulla.
Il sistema degli spicchi si è assestato numericamente.
Una volta la maggior parte dei cittadini faceva parte del terzo spicchio, oggi fa parte di uno dei primi due. All’interno dei primi due spicchi, poi, si sono collocati anche quelli dovrebbero essere i controllori. E per controllori non intendo solo i semplici cittadini, ma purtroppo anche quelli che dovrebbero esercitare i controlli istituzionali. Inciso: appena in un Tribunale viene nominato un nuovo presidente o un nuovo procuratore, i primi che vanno ad omaggiarli sono i sindaci. I sindaci sono bravissimi adulatori e talvolta senza nemmeno accorgersene, o almeno creando le condizioni affinchè possa sembrare che non se ne accorgano, i presidenti dei tribunali e i procuratori capi, vengono attratti in uno dei due spicchi.
I battitori liberi, che un tempo erano di più, sono andati via via diminuendo perchè si sono accorti che stare nel terzo triangolo non pagava, sicchè, obtorto collo, sono andati a confluire in uno dei due.
Questo è secondo me, ed ovviamente a grandi linee il quadro generale che si è formato dopo i primi decenni della democrazia occidentale (non che prima la situazione fosse migliore: gli spicchi erano assai più piccoli, e verso il lato curvo v’erano cittadini che si accontentavano del granone).
Quando poi Lei correttamente dice che in consiglio comunale non ha mai visto notai, avvocati, medici, ecc. ecc. dice una cosa verissima. Il problema però è che anche queste categorie sono inserite nel sistema degli spicchi. Partiamo dalla petizione di principio che quando lei si riferisce a queste persone le colloca in una condizione potiore, nel senso che attribuisce a queste la possibilità di intervenire con maggiore incidenza sul sistema. Dovrebbero essere insomma la classe pensante dello stesso.
Quella più arredata e con maggiori possibilità di cognizione.
Ebbene, siccome, come ho già detto, anche per queste categorie vale il principio degli spicchi, le stesse si sono collocate, al pari delle altre, in uno dei tre.
Analizziamo pertanto le ragioni della loro latitanza.
Quelli inseriti nei primi due spicchi, di norma sono molto vicine al centro. Sono tra i primi fruitori delle prebende, che spesso ridistribuiscono addirittura verso il centro. Ricevono gli incarichi della pubblica amministrazione (che nel sistema che io immagino non dovrebbe affatto distribuirli) e restituiscono una parte del maltolto alla stessa PA. Le stesse prestazioni se rese a privati hanno un costo di 5, se rese alla PA hanno un costo di 50.
Quelli che invece appartengono al terzo spicchio non partecipano come ha detto lei per una sorta di snobismo. Lei lo ha definito, in maniera assai corretta, alla stregua di un atteggiamento indignato e repulsivo, Ha usato parole assolutamente corrette: chi appartiene al terzo spicchio, trova proprio nella repulsione e nella indignazione la ragione stessa della sua appartenenza. Repulsione ed indignazione sono alla base, ma allo stesso tempo, al vertice del loro atteggiamento.
Quei cittadini si collocano fuori dai primi due spicchi perché hanno in origine una condizione che consente loro di non questuare, e non sempre perché sono i migliori, ma spesso perché hanno una dignità che pongono al di sopra del loro stesso benessere.
Quello stesso atteggiamento di indignazione e repulsione che aveva all’origine condizionato la loro collocazione nel terzo spicchio, poi nel corso degli anni e della crescita evolve. E come evolve? Crescendo l’uomo affina, attraverso l’esperienza, le proprie conoscenze e le proprie consapevolezze, ed ovviamente indirizza i suoi comportamenti al raggiungimento dei suoi obiettivi in maniera sempre più consapevole. Cambiando i mezzi di cognizione, talvolta cambiando anche gli obiettivi.
Chi mantiene la collocazione nel terzo spicchio, anche dopo avere capito che quella collocazione ne determina una sorta di ostracismo sociale e professionale, lo fa perché evidentemente riesce a mantenere il proprio equilibrio personale (che concentra quello sociale, quello economico, quello familiare ecc. ecc. ) attorno alla stessa condizione che gli aveva consentito di non aderire alle leggi dei primi due spicchi: il giovane uomo passa dalla condizione della speranza a quella della consapevolezza della immutabilità del sistema, non ne accetta le regole, non pensa di poterle modificare, e quindi ne resta fuori.
Se invece egli comincia ad interessarsi del sistema e ritiene di volersi spostare verso uno dei due spicchi, di norma può essere spinto da due ragioni.
Una prima ragione si colloca nel fatto che si è indebolita, crescendo, la illusione di potersi realizzare restando nel terzo spicchio, e poiché si rivelano più forti delle sue originarie resistenze, decide di passare in uno degli spicchi in una prospettiva remunerativa. Voglio partecipare al sistema, dice questo individuo, perché mi sono scocciato di non riuscire a crescere nella mia condizione di illibatezza.
Il soggetto passa quindi direttamente dalla condizione della illusione a quella della consapevolezza.
La seconda possibilità è quella data invece a coloro che, più forti nella loro convinzione, decidono di entrare nei primi due spicchi pensando di volerne modificare le regole.
Il soggetto resta pertanto nella sua condizione di partenza, illudendosi di poterla trasferire allo spicchio. Di solito questa si avvicina al sistema con l’animo (quello da Lei individuato) del controllore, essendo il suo scopo quello non di approfittare della collocazione negli spicchi ma di volerli cambiare. Ma se resta spettatore controllore, non sposta neanche di un millimetro la situazione.
Se invece entra a fare parte, per mera avventura, dei gangli dello stesso dopo un po’ o ne resta coinvolto (ed il mutamento è lento, a volte neanche consapevole, ma è fatale), ovvero ne viene sputato fuori.
Caro Alessandro, secondo me quel che ci separa non è un diverso sentire, ma la nostra diversa età.
Ho l’impressione che Lei sia un po’ più giovane di me o forse che sia assai più forte e più capace di me.
Per quanto mi riguarda, guardo con vera ammirazione quelli che riescono a dedicarsi anima e corpo alla modifica delle regole degli spicchi. Io devo dire la verità, dal basso della mia condizione che non è mai arrivata neanche a quella di spettatore, avrei davvero poche ragioni per lamentarmi. Il mio problema è che, essendo rimasto sempre nel terzo spicchio, al pari di tanti, devo impiegare tutto il mio tempo per non affondare. Chi non ha il lavoro “assicurato” non può limitarsi ad assicurare prestazioni di mezzi (quali sono quelle dei legali) ma deve assicurare “risultati“.
In un sistema giustizia nel quale il “risultato” per lo più può essere assicurato solo a quelli che avendo commesso reati di varia natura aspirano alla “assoluzione”, condizione questa che assai spesso si verifica, quelli che invece si trovano ad esercitare o nel civile dalla parte di coloro che di norma non delinquono, trovano nella totale inconsistenza del sistema giustizia una zavorra enorme che ti porta giù dalla linea di galleggiamento data dal raggiungimento dei risultati.
Insomma, caro Alessandro Lei ha pienamente ragione, e forse sono io ad essere in errore … su una cosa però le assicuro che non erro. Risalire in terzo spicchio per chi opera nella giustizia è impresa ardua … per fortuna però ci sono molte persone ben attrezzate, e non tutto è nelle mani dei primi due spicchi.
Comunque quando deciderò di intraprendere la traversata, glielo farò sapere :)

Anonimo ha detto...

Per capirci: 40'anne da poco, felicemente sposato, padre di due figli liceali (imprenditore). Leggo e rileggo il suo commento, rileggo anche i precedenti. Tutto molto chiaro, Edoardo. Permetta un'ultima considerazione: per l'argomento trattato, questo confronto di opinioni che lei gentilmente mi ha regalato, è stato largamente più costruttivo di tutti gli altri che ho avuto in passato. Sorpreso persino di me stesso ne esco pure più carico e battagliero; la mia paura maggiore, è indubbiamente quella di conformarmi, educando i miei figli a conformarsi e così via coi nipoti etc, consapevole di aiutare il "Sistema Italia" ad implodere "vergognosamente" in quanto più vicino alla mafia che alla legalità.
Per cui di certo non chiederò alcun passaggio, rimango e ripongo nuovamente sincera fiducia nella giustizia ed in gente come lei che mi auguro sappia sempre difendere il battitore libero capace di far punto.
Come detto al mio esordio in questo blog: tenete duro e non lasciateci mai soli.
1000 grazie a lei ed alla redazione che ha pubblicato tutto.
Buon Lavoro

io che speravo che :( ha detto...

Gentile Alessandro, la ringrazio per l'attestato di stima che ricambio, e visto l'oggetto del nostro scambio di opinioni le posto un mio scritto di qualche anno fa.
Il tema è sempre quello della speranza e della fiducia.
Sia indulgente nel leggerlo, è solo una serie di pensieri disordinati

LA DELUSIONE DI UN BAMBINO

da bambino pensavo che sarebbe stato bello diventare “grande”
che sarei entrato nel mondo, in quello dei grandi
che in quello si fa la storia
e che grande tra i grandi anche io sarei stato la passione, le idee, gli slanci

credevo che avrei detto la mia
che le intuizioni, piccole da piccolo
sarebbero diventate grandi da grande
e che il mondo dei grandi si sarebbe accorto che le cose sono semplici
perché viste da piccolo le cose dei grandi sono strane, contorte

sognavo una vita di slanci, battaglie, divisioni e poi unioni
e momenti di dolore e poi gioie,
condivisioni, letti disfatti e pranzi e risate, amici persi e trovati
e schegge di mondo che si infilassero nei cassetti dove si custodiscono i ricordi
e che lì, scaldassero la memoria


da grande ancora penso e credo, ed anche sogno
penso che è bello essere bambini dentro e fuori
che è brutto essere bambini dentro e grandi fuori
credo che i grandi conservino solo granelli di memoria di quando erano bambini
che poi distrattamente ignorano, che altrimenti si sentirebbero “piccoli”
e allora sai gli altri grandi che pensano

sogno ancora un po’
di trovarmi un giorno da vecchio a guardare il cielo dal buio di una stanza
col calore della luce di fuori che illumina e scalda il freddo che è dentro
ed alla fine salutare la vita pensando che è stato bello viverla tutta da piccolo

Anonimo ha detto...

Grazie Edoardo,
con permesso le descrivo un mio ricordo spunto di riflessione,
...sempre che i redattori non prendano male le nostre divagazioni.

E’ e sarà sempre nei miei ricordi una Persona che ho avuto l’immensa fortuna di conoscere. Estremamente Intelligente, Colto e Riflessivo, l’ho stimato profondamente. Non era un lottatore e neanche un sognatore, era semplicemente amante e rispettoso della vita in tutte le sue infinite forme. Portava rispetto a tutti e ne veniva puntualmente contracambiato. Spesso, peccavo d’invidia per questo Uomo giusto e così diverso da me. Più e più volte pensavo che il magico mondo che lo circondava, fosse dovuto alla sua professione di medico, ma poi ho trovato un’altra logica nell’onestà e nella coerenza di cui lui era valido rappresentante.
Se nei primi anni della sua calda vicinanza cercavo di somigliare a lui per le prime tre doti, il che era per me decisamente impossibile, verso la fine del suo percorso terreno, colsi l’essenza più grande che non farò fatica ad emulare per il resto dei miei anni. Onestà e Coerenza.

Questo stile di vita tutto sommato semplice, per alcuni poco remunerativo, è diventato per me una ricchezza inestimabile, tanto che mi ha lasciato una traccia che non perderò mai. Una traccia piena di VALORI che cercherò di trasmettere donando a mio modo un contributo per il bene delle generazioni che seguiranno. In questo, anche il significato dei miei commenti precedenti ed il mio sogno, quello di lasciare, (il più tardi possibile) questo bellissimo pianeta, nell’intima speranza d’aver almeno provato ad essere un “grande” come Lui.