giovedì 4 marzo 2021

Il cavallo zoppo


di Natalia Ceccarelli - Magistrato 

La corruzione  consiste nell’accordo (c.d. pactum sceleris) tra un funzionario pubblico e un soggetto privato, per il quale il primo accetta dal privato un compenso non dovutogli, in sostanza  vendendogli le proprie attribuzioni.

Il ricorso alle intercettazioni, anche tramite captatore informatico,  per l’accertamento dei reati di corruzione è stato introdotto dal dlgs. 216/2017, che ha attuato la delega 103/2017, di modifica al codice penale, di procedura penale ed all'ordinamento penitenziario.


Tra le principali novità del decreto legislativo vi è,  all’articolo 6, l’ammodernamento della disciplina sui trojan horse, ovvero quelle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni mediante immissione di captatori informatici in dispositivi elettronici portatili. Che, in virtù di detta normativa di recente introduzione, non possono essere mantenuti attivi senza limiti di tempo o di spazio, ma devono essere governati da remoto secondo specifiche indicazioni del pubblico ministero e che, per legge, vanno disattivati in ambiente domiciliare salvo che si abbiano elementi per ritenere che proprio in tale ambito si stia svolgendo l’attività criminosa oggetto dell’indagine, limite  che non opera solo per i  delitti più gravi, quelli di mafia e terrorismo, di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del Codice di procedura penale.

L’accertamento dell’attività criminosa, ove s’ipotizzi un’attività corruttiva ancora in corso, come quella che aveva  condotto all’iscrizione del nominativo di Luca Palamara nel registro degli indagati presso la Procura della Repubblica di Perugia, implicherebbe la “presa diretta” di due condotte: quella del corruttore e quella del corrotto.

Difficilmente all’accertamento dell’una non si accompagna analoga attenzione anche all’altra. Perché certe cose si fanno (almeno) in due.  

Era pertanto piuttosto  logico domandarsi  - come ha fatto Nino Di Matteo che,  essendo anche giudice disciplinare dei compresenti di Luca Palamara all’Hotel Champagne,  lo ha a sua volta domandato agli agenti di polizia giudiziaria - come mai l’indagante non avesse pensato di sottoporre a captazione anche il corruttore (l’imprenditore Fabrizio Centofanti), anziché limitarla al solo presunto corrotto. 

 V’è da dire, inoltre, che per altri soggetti nei cui confronti s’era tentata analoga operazione intrusiva, essa non andò a buon fine (Longo, Amara e Calafiore). 

Di qui la domanda che il dott. Nino Di Matteo ha rivolto agli operanti interrogati nel corso del giudizio disciplinare “Come mai si è scelto di intercettare il presunto corrotto e non il presunto corruttore?” 

Le cronache riferiscono di un certo imbarazzo dei finanzieri che, alla fine, eseguono le direttive loro impartite da altri e quindi la legittima curiosità del dott. Di Matteo andrebbe soddisfatta ripetendo quella stessa domanda a chi può rispondere con cognizione di causa.  

Domanda, peraltro, che nessuno sembra aver posto nel processo disciplinare contro il dott. Luca Palamara  già conclusosi con la sua velocissima  condanna alla destituzione. 

Vero è che il trojan inoculato nell’apparecchio telefonico di Luca Palamara -  per quanto “unilaterale” pur a fronte di un’ipotesi di reato necessariamente plurisoggettiva -   ha comunque illuminato un fenomeno molto più ampio che s’era meritato, quando ancora non coinvolgeva magistrati di tutte le appartenenze, l’accostamento alla famigerata P2 ad opera di un consigliere superiore. 

Salvo sminuire il tutto a fatti irrilevanti -  persino disciplinarmente  - quando è poi emersa la vastità del fenomeno che coinvolge centinaia di magistrati. 

E tutto ciò scrutando nel telefono di uno solo dei tanti consiglieri superiori.

Sebbene certe cose si facciano necessariamente in gruppo ... 

2 commenti:

bartolo ha detto...

Il più famoso scrittore in Italia è Kafka: ha fatto immaginare un apparato giudiziario elefantiaco che si muoveva su umili cittadini calpestandoli, senza neppure accorgersi. Ci vorrebbe un altro Kafka, per descrivere la deriva degli elefanti.

francesco Grasso ha detto...

Repetita iuvant. Palamara dice a Giletti di non reputarsi un pentito in quanto non ha nulla di cui pentirsi. Il sistema non lo ha inventato lui e lui faceva ciò che il sistema voleva. Solo oggi capisce di avere sbagliato e si comporta cercando di correggere il sistema: dicendo la verità su quanto è accaduto. Può sembrare impossibile che un magistrato del ramo requirente non si renda conto quando un comportamento integra precise fattispecie di reato. Purtroppo può accadere che all'interno di sistemi strutturati in modo rigido, poter subire una sorta di " anestesia della coscienza". Si pensa ad un "dolus bonus", il c.d. licet mercatoribus sese invicem circumvenire. Osservandolo in viso sembrava come se il fatto fosse a lui estraneo. Questa è la enorme pericolosità di codesti sistemi che pertanto vanno considerarti eversivi dell'ordine democratico.